Autore: Giorgio Gregori

  • Coltiviamo la memoria – il progetto

    Un progetto ideato e realizzato da Giorgio Gregori nel 2025 per l’Associazione Culturale Celacanto APS, in collaborazione con l’Associazione Amici della Cascina Riscatto ODV.

    DESCRIZIONE PROGETTO

    il nostro territorio ha al suo interno persone con capacità, esperienze di lavoro, passioni e hobbies, che troppo spesso rimangono confinate tra le mura di casa, e che invece potrebbero dimostrarsi un utile strumento di collaborazione e coesione sociale.

    Proponiamo di coinvolgere gli abitanti del quartiere, vecchi e nuovi, riprendendo la pubblicazione scritta da Lucia Marchitto in occasione di BGBS 2023, contenente alcune memorie dei primi abitanti del quartiere di San Polo, espandendola con nuove memorie (fotografie, video, canzoni) e con le esperienze di chi ha vissuto un quartiere in grande trasformazione.

    Il quartiere si sta rinnovando, gli anziani lasciano il posto a nuovi nuclei familiari. La ricerca delle memorie quindi potrebbe espandersi alla città di Brescia, alla Lombardia, all’Italia, all’Europa, al resto del mondo. Ognuno potrebbe avere una storia da condividere.

    E’ il territorio, quindi, che si racconta.

    REALIZZAZIONE DEL LAVORO

    I cittadini “informatori” sono invitati a portare materiale cartaceo, libri, documenti, fotografie, materiale sonoro (che viene digitalizzato e restituito), oltre a condividere le loro memorie ed esperienze.

    Gli incontri si svolgono preferibilmente negli spazi della Cascina Riscatto, un luogo nel quale accogliere chi ha delle memorie, esperienze, capacità da condividere. Ciò che viene raccolto nel corso degli incontri viene elaborato e riversato in un apposito spazio web.

    OBIETTIVI DEL PROGETTO:

    • Coinvolgere gli abitanti del quartiere, favorendo una maggiore coscienza collettiva dell’appartenenza allo stesso.
    • Rendere disponibili a tutti i materiali e le esperienze raccolte, tramite apposito spazio web attualmente pubblicato sulla pagina degli “Amici della Cascina Riscatto”

    INCONTRI DI PRESENTAZIONE E DI “RESTITUZIONE”

    Sono previsti momenti di incontro con la popolazione del quartiere per presentare il progettoun incontro per una virtuale “restituzione” del materiale e delle esperienze raccolte.

    La Cascina Riscatto metterà a disposizione uno spazio, negli orari pomeridiani o serali, che permetterà incontri con chi volesse condividere i propri ricordi, dotato di collegamento internet wifi.

    I

  • Bibliografia

    Bibliografia essenziale su San Polo a Brescia, con libri e riferimenti utili per approfondire la storia e la cultura del quartiere.

    📚 Libri dedicati al quartiere San Polo

    Primo Gaffurini e Urbano Gerola “Dal ciancol alla playstation”

    (2012) Appunti per una storia di San Polo Storico, corredato da numerose fotografie

    Primo Gaffurini – “Come eravamo – memorie di un tempo” (2025) Raccolta di memorie, fotografie e racconti del quartiere, con attenzione alla vita quotidiana e alle relazioni sociali.

    Come eravamo è un sentito omaggio di Primo Gaffurini alla sua infanzia, alla sua terra, agli amici di una vita e al tempo che fu. Pagina dopo pagina riaffiorano usi, gesti, tradizioni e quella semplicità che un tempo vestiva la giovinezza. Tra le righe riaffiorano volti, voci e risate. Sono i “ragazzi della via Nobili” amici, compagni di giochi e di sogni, che hanno condiviso con l’autore ricordi e testimonianze.

    San Polo – quartiere di Brescia – una verifica a 10 anni dal progetto (Comune di Brescia – Grafo edizioni 1986)

    Lucia Marchitto – Viaggio in periferia (San Polo si racconta) (2023)

    Libretto con molte interviste, riportato in questo sito ed integrato da immagini non contenute nella versione originale

    “San Polo” di Giacomo Mantelli Editore: Ilmiolibro (2010)

    Un testo agile e sintetico che esplora la storia del quartiere San Polo, con l’obiettivo di rafforzare l’identità sociale e il senso di appartenenza. L’autore, sociologo, affronta anche temi ambientali e urbanistici.

    🏛️ Biblioteche e archivi locali

    Biblioteca San Polo – Parco dei Libri Situata in Via del Verrocchio 328, è una sezione distaccata della Biblioteca Comunale di San Polo. Ha un patrimonio di libri italiani e stranieri, molti dei quali legati alla storia locale. È parte della Rete Bibliotecaria Bresciana e Cremonese.

    Biblioteca Comunale San Polo In Via Tiziano 246, è un centro culturale attivo con eventi e laboratori. Può essere una risorsa preziosa per consultare riviste locali, pubblicazioni storiche e materiali d’archivio.

    🏙️ Urbanistica di San Polo

    San Polo è uno dei più grandi quartieri pianificati d’Italia, frutto di un progetto urbanistico ambizioso:

    Leonardo Benevolo – Progetto urbanistico San Polo (1972–1990) Coordinatore del piano urbanistico, Benevolo concepì San Polo come “città satellite” con 17.500 alloggi su 350 ettari, integrando verde pubblico, servizi sociali e edilizia residenziale pubblica.

    Leonardo Benevolo – Brescia S. Polo – Un quartiere di iniziativa pubblica

    Contiene l’evoluzione dei vari progetti presentati al Comune, con molti esempi di edilizia simile in varie città europee.

    Brescia moderna – La formazione e la gestione urbanistica di una città industriale


    a cura di Leonardo Benevolo e Rossana Bettinelli – saggi di Luigi Bazoli, Robert S. Lopez, Leonardo Benevolo, Enrico Guidoni
    Editore: Grafo edizioni, 1981
    Il volume, di notevoli dimensioni, raccoglie i materiali esposti alla mostra «Brescia moderna», allestita nel Palazzo della Loggia, a cura dell’Assessorato all’Urbanistica del Comune di Brescia.

    Il nuovo quartiere di S. Polo viene descritto da pag. 339 a pag 360

    Censimento delle Architetture Italiane dal 1945 ad oggi – Ministero della Cultura https://censimentoarchitetturecontemporanee.cultura.gov.it/ Scheda dedicata agli edifici residenziali di San Polo, con dettagli su progettazione, autori e cronologia.

    Urbanistica, Paesaggio e Territorio – Università di Parma https://www.urbanistica.unipr.it/ Include studi e progetti di rigenerazione urbana e pianificazione sostenibile, con riferimenti al quartiere San Polo.

    Franco Robecchi – Navigare nella Bassa (2003)Compagnia della Stampa – Massetto Rodella Editori

    Il volume ripubblica un testo bresciano del 1803, riferito ad un progetto di canale navigabile la cui prima stesura era del 1673, mai realizzato. Lo storico Franco Robecchi annota ogni pagina, e sono molto interessanti i riferimenti alla zona di San Polo, in particolare una cartina conservata nella Biblioteca Queriniana.

    🧑‍🤝‍🧑 Storia sociale e trasformazioni

    San Polo ha vissuto profonde trasformazioni sociali, da borgo agricolo a quartiere urbano:

    Enciclopedia Bresciana di Mons. Fappani – Voce “San Polo” Traccia la storia del quartiere dalle origini preistoriche alla sua urbanizzazione moderna, con riferimenti a reperti archeologici e studi antropologici.

    Giornale di Brescia – “Gli anni ‘70 a Brescia tra la nascita di San Polo e l’ospedale negato” Articolo che analizza il contesto sociale e politico della nascita del quartiere, con focus sulla crescita demografica e le tensioni urbanistiche.

    Il luogo di residenza come stigma – Il caso del quartiere San Polo a Brescia. Università Ca’ Foscari tesi di laurea di Paola Trapelli

    2013-2014 –https://unitesi.unive.it/handle/20.500.14247/4931?mode=simple

    Il lavoro di ricerca (aggiornato al 2011) si sviluppa a partire dal progetto iniziale di realizzazione del quartiere, passando per la ricostruzione storica della vita del quartiere, ponendo particolare attenzione alle torri e alla costruzione del problema “San Polo” nei discorsi e nell’opinione pubblici.

    2013/2014

    Giorgio Pedrocco – Alfa Acciai 1954-2004″ stampa IGB Group

    Bollettino Parrocchiale n.1, aprile 2011 – “La comunità di S. Polo Storico”

    Giulio Schiannini e Carlo Simoni – “L’acqua e il cotone” Ercole Lualdi ed i fratelli Schiannini nell’archivio di una famiglia cotoniera” in “Storia in Lombardia” n. 1 – 1992

    Giuseppe Zanardelli – “Sull’esposizione bresciana” pag 181

    Bollettino parrocchiale numero unico 1960 – “benedizione e inaugurazione 17-18 marzo 1960”

    1980-1990 San Polo Nuovo – La Parrocchia di S. Luigi Gonzaga
    La nuova Parrocchiale – Documenti e testimonianze – Inaugurazione Nuova Chiesa Parrocchia
    di S. Luigi Gonzaga 25 Novembre 1990 (inserire link)

    📚 Dove consultare

    Biblioteca San Polo – Rete Bibliotecaria Bresciana Catalogo online: OPAC San Polo

    Fondazione Civiltà Bresciana Custodisce l’Enciclopedia Bresciana e documenti storici sul territorio.

    Archivio del Comune di Brescia – Sezione San Polo Case Informazioni generali e storiche sul quartiere.

    Parrocchia di S. Polo storico – archivio parrocchiale

  • La storia di San Polo (dalla Enciclopedia Bresciana)

    di Mons. Fappani (aggiornata al 1999) www.enciclopediabresciana.it

    (le note di aggiornamento al 2025 sono a cura di di Giorgio Gregori)

    San Polo nel 1600

    SAN POLO (in dial. San Pól)

    Frazione e poi grande quartiere di Brescia (m. 124 s.l.m.) a più di 4 km. da Brescia a cavallo della strada Brescia-Mantova e compresa fra la ferrovia Venezia-Brescia-Milano e il torrente Garza che si congiunge col Naviglio per buttarsi poi nel Mella. Non necessariamente la contrazione del nome di S. Paolo in S. Polo è da attribuire all’occupazione francese giacché era già in uso a Venezia e altrove.

    Il torrente Garza

    è formato da depositi alluvionali wurmiani. Nel 1962 e nel 1974 vennero rinvenuti reperti di Capra ibex L. (stambecco) e altri segni di presenza animale preistorica.

    In epoca preistorica il territorio conobbe la presenza umana come hanno rivelato i due nuclei di abitazioni venuti alla luce nell’agosto 1994 e studiati da Raffaella Poggiali Keller e E. Starnini. Sorgevano su un suolo forestale su un dosso, salvatosi da esondazioni. La Poggiali Keller e la Starnini hanno appurato che il più antico abitato è dell’età del Rame e appartiene alla Cultura del Vaso Campaniforme, diffusasi tra gli ultimi secoli del III millennio a.C. e gli inizi del II millennio a.C. Ne è stata accertata la presenza nella parte settentrionale dell’area dove nel 1995 la Soprintendenza ha dato avvio ad uno scavo in estensione su un’area di 1200 mq. Sono stati portati alla luce i livelli d’abbandono dell’abitato senza tuttavia che si sia ancora individuata la delimitazione delle singole strutture abitative che pure sono ipotizzabili per la presenza di piccoli buchi per palo – alcuni dei quali con inzeppature in sassi e ciottoli – per la diversa consistenza dello strato antropico e per la discontinua concentrazione dei reperti. Si tratta, dato il modesto spessore del deposito antropico (meno di 15 cm.) e la labilità dei resti strutturali, di fondi di capanna in materiale povero e facilmente deperibile con pareti presumibilmente in legno di cui si conservano i buchi per i montanti lignei perimetrali. Molti i frammenti ceramici di bicchieri o vasi campaniformi confrontabili con esemplari della cultura di Sant’Ilario di Enza, manufatti di selce, ecc.

    Il secondo abitato in un’area contigua a sud del precedente, venne assegnato all’età del Bronzo antico. Come sottolineano Poggiali Keller e Starnini «del tutto particolare e rilevante è la scoperta di una tavoletta enigmatica in terracotta, un oggetto caratteristico dei contesti poladiani del Bronzo antico in significativo rapporto con i gruppi di Madarovce-Veterov presenti nella parte meridionale della Slovacchia e quello di Dubovac-Cirna nei territori del basso Danubio, dove tali manufatti compaiono in forma del tutto simile a quella degli esemplari provenienti da abitati padani, tra cui si annoverano, in territorio bresciano Cattaragna, Polada, Lucone e Polpenazze».

    Documentata è anche la presenza romana. Infatti nell’attuale via S. Polo (all’attuale n. 19) nella proprietà che fu dei Bucchieri e poi dei Sala venne trovato nel 1784 un cippo in pietra di Botticino, ornato di festoni floreali e due geni, fatto erigere da Gaio Cornelio Firmino “per se stesso e per il padre Gaio Cornelio Firmino”. Inoltre vennero rinvenuti due cippi uno dei quali eretto da Verina al gladiatore Aether. Un cippo non anteriore alla seconda metà del sec. I d.C. venne trovato nel 1981-1985, un’ara funeraria in pietra di Botticino con l’epigrafe dedicata a Sesto Cornelio Firmo dai “Mikari vici Minervi” venne scoperta nel 1981 presso il Garza. Un altro frammento epigrafico, venuto alla luce nel 1987, nomina la famiglia degli Arri. Sporadici materiali di età romana (oggetti di vetro, ceramica, ecc.) vennero rinvenuti tra via Tiepolo e la ferrovia Milano-Venezia nel 1994. Alla prima metà del II sec. d.C. con collegamenti gallici, Alberto Albertini ascrive il monumento ai Samilli, trovato nel 1972 nella zona delle cave, nome quello dei Samilli non ricordato in altre epigrafi bresciane. In via Fiorentini poi nel maggio 1978 venne alla luce una tomba ed altro materiale sparso nel terreno che ha fatto pensare al prof. Aslan all’esistenza di una seconda necropoli di tempi tardo-romani o barbarici. Di tempi posteriori ma non di molto è la necropoli scoperta nel 1973, della quale vennero alla luce tre tombe contenenti i resti di 3 maschi, 9 femmine e 4 bambini; tombe datate dalla fibbia di una cintura alla prima metà del sec. VII.

    Probabilmente ancora in epoca romana esisteva già un canale, derivazione, secondo qualcuno, di quello che verrà chiamato il Naviglio sul quale venne realizzato un piccolo porto o “Portezolo” per il trasporto di prodotti, merci, ecc. ma soprattutto di sabbia di cui il terreno è particolarmente ricco, specie nel bacino del torrente Garza.

    Franco Robecchi (in “Acqua brixiana”, 116) individua nella seriola Resegotta o Naviglio tale canale che si stacca dal ramo principale a S. Eufemia.

    Da documenti antichi risulta che nell’alto medioevo vi esisteva una vasta proprietà del Vescovo e del Capitolo della Cattedrale che, nei documenti antichi, era chiamata “Pratum Episcopi”. In mezzo a questo prato sulla strada Brescia-Mantova il vescovo stesso fondò un ospizio per viandanti con annessa una chiesa dedicata a S. Paolo ap. che prese il nome di “Hospitale Sancti Pauli in Portezolo”. Attorno all’ospizio e alla chiesa sorsero case di contadini e di cavatori di sabbia che costituirono forse un vicus o villaggio.

    I primi documenti finora conosciuti riguardano i tempi della grande ripresa economica e sociale del sec. XI. Infatti il nome Portazolo è ricordato in un contratto privato dell’anno 1071, dove si legge dell’esistenza di un pezzo di terra arata; come pure nei Regesti di S. Pietro in Oliveto in un documento del 3 gennaio 1094 nel quale si dice che il Prevosto Mayfredo investe Marcio dell’Ospitale e Ventura suo figlio, di un fondo “ad Portizolum”.

    Assieme al monastero di S. Pietro la maggior parte delle proprietà vescovili passarono poi, agli inizi del sec. XII per donazione del vescovo Landolfo II, al Monastero di S. Eufemia da lui fondato dal quale S. Polo dipese per lungo tempo. Con l’ampliamento delle mura cittadine e lo sviluppo della città, avvenuti negli ultimi decenni del sec. XII, le “sablonere” cioè le cave di sabbia assunsero sempre più importanza che continuò a causa dei nuovi ampliamenti di mura operati tra il 1237 – 1254.

    Nel “Liber Potheris” all’anno 1233 si registra la sablonera o cava di sabbia che era collocata presso il Portezolo chiamata col nome di “turche” i cui cavatori venivano accolti senza alcuna deroga o riserva. Negli stessi anni si registra la presenza di un fra’ Giovanni priore “Sancti Pauli de Portezolo” amministratore dell’ospizio e capo di una piccola comunità di addetti alla stessa.

    Trovandosi su una strada importante e vicina alla città, per tre secoli, fino al ‘500 al centro di contese e di assedi, anche il territorio di S. Polo conobbe spesso passaggi di eserciti, saccheggi e distruzioni. Fra gli avvenimenti più ricordati è l’assedio avvenuto quando, nel 1311, l’imperatore Enrico VII, dopo la ribellione di Tebaldo Brusato assediò la città e proprio nel “Prato del Vescovo” eresse la sua tenda e il suo accampamento cingendoli di una grande fossa e di forti difese. A quanto racconta Jacopo Malvezzi, i bresciani, non potendosi avvicinare al campo imperiale, lo bombardarono con delle catapulte fino a quando dovettero arrendersi per fame.

    Nella decadenza del Monastero di S. Eufemia sempre più accentuatasi si stanziò nel territorio una classe imprenditoriale particolarmente attiva, formata da nobili ma in maggior parte dalla nuova borghesia, che popolò il territorio di cascine e di imprese agricole. Accanto a permanenti proprietà monastiche ed ecclesiastiche (la cascina S. Antonio, la strada Canonica, il “locale delle monache”, ecc.) sorsero la Cà di Miglio (casa degli Emigli), Cadizzoni (Casa degli Zoni), la Fenarola, la Bora, la Fusera, la Bergognina, la Tirale, il Chioderolo.

    Cessata nel sec. XV l’attività dell’ospizio e venduto a privati, anche il piccolo borgo sorto accanto ad esso cambiò fisionomia. Accanto alla chiesa nel `500 venne costruita (ora al n. 255 di via S. Polo) una grande abitazione dalle linee cinquecentesche curiosamente chiamata dalla popolazione come “el palass del Mago”. In esso Angelo Cretti ha visto un rifacimento di altre costruzioni risalenti al sec. XIII e seguenti. La chiesa divenne sempre più patrimonio della comunità che la ricostruì ed arricchì per cui S. Polo andò fin dal secolo XV assumendo l’aspetto di un borgo in mezzo ad una campagna sempre più fertile, contrappuntata da fattorie e case padronali, pur senza mai acquistare indipendenza civile dal comune e religiosa dalla parrocchia di S. Eufemia.

    Sul Naviglio, prima della sua confluenza con il Garza, e sulla Rasegotta sorsero mulini e “razziche” anche se le loro acque provocarono nella piana di S. Polo frequenti alluvioni e straripamenti con gravi danni alle campagne.

    Un gruppo di case sorgeva nel sec. XVII in via Ponte, presso il Garza; sui loro muri si leggono le date 1611, 1665, mentre la costruzione di una casa padronale dei Truzzi, ad un km. e mezzo da S. Polo, e di case per i contadini, diedero origine ad un piccolo borgo a sè chiamato le Case di S. Polo .

    Le proprietà rimaste al Monastero di S. Eufemia vennero incamerate nel 1797 dal Governo Provvisorio e passate all’Ospedale Maggiore di Brescia. Da parte sua il Comune di S. Eufemia istituiva una scuola.

    Nel 1816 S. Polo aveva una popolazione di 272 abitanti, le Case 139. Sulla fine del sec. XIX nel palazzo Truzzi alle Case veniva aperta una casa di riposo modificata a più riprese e radicalmente ampliata specie dal 1998. Già negli anni ’60 dell’800 il Comune di S. Eufemia aveva aperto una scuola in casa di Caterina Venturini. Alla povera popolazione venne incontro il maestro Giovanni Ontini che per sfamarla inventò “i banchetti di S. Polo”. Nel territorio verso gli anni ’90 venne aperto il grande Istituto di S. Maria, affidato alle Suore della carità.

    Nel 1905 arrivava attraverso la ditta Porta e C. la luce elettrica. Nel 1909, per evitare i continui allagamenti della strada e l’impossibile esercizio della tranvia, gli abitanti di S. Polo costrinsero l’amministrazione provinciale a trasportare a quota più alta la sede stradale e la tranvia per un tratto creando una golena di sicurezza fra la strada e il Naviglio-Garza. Ma essendo rimasta la golena di proprietà privata venne coperta in gran parte da abitazioni per cui, restringendo sempre più lo scolo delle acque, gli allagamenti (fra cui grave quello del 1930) continuarono.

    Nel 1936 venivano avviate nuove imprese come l’Officina del Molino e negli stessi anni tra le imprese edili nacque la ditta Marmaglio.

    Molte le osterie fra le quali la “Gatta”, il “Brentatore”, “alla Pesa”, “al Poleto” ecc.

    Accese anche le contese politiche nel dopoguerra culminate il 31 giugno 1924 con bastonate inflitte ad un fascista e al ferimento di altri tre alla cascina Franzini in seguito a solenni bastonature e colpi di forca da parte dei contadini. L’ordine venne poi ristabilito dai fascisti di S. Eufemia per cui l’11 luglio 1926 si potè tenere una festa patriottica con la benedizione del gagliardetto del manipolo della scuola locale.

    Il miglioramento viario, la costruzione della tranvia Brescia-Mantova e la congiuntura economica facilitarono la nascita di alcuni opifici fra i quali il cotonificio Schiannini, il calzificio Franzini e Bravi, una fabbrica di birra cui si aggiunsero una piccola fabbrica di sapone e alle Case una cartiera, mentre buono sviluppo ebbe l’agricoltura.

    Con il nuovo sviluppo urbanistico ed edilizio della città e del territorio dagli ultimi decenni dell’800 le cave di S. Polo ripresero vita fornendo materiale a quasi tutta l’edilizia cittadina particolarmente attraverso due imprese, una delle quali nota in tutta Italia. Nel 1951 esistevano undici cave di sabbia e altri due cantieri meccanizzati. Nonostante ciò l’economia rimaneva in sostanza agricola. Fino a pochissimi anni fa, sul muro di una cascina si leggeva l’eloquente ingiunzione “Malghesi di Collio qui non ne voglio”.

    Ancora nel marzo del 1951 il “Giornale di Brescia” elencava i desiderata di S. Polo “acqua, luce, scuola e ufficio postale”. Segni di una certa vitalità del borgo sono l’erezione di un monumento ai caduti alpini e nel 1958 la nascita del Gruppo alpino. Luoghi di ritrovo rimanevano l’Enal, il Circolo Combattenti e il Circolo Acli.

    Negli anni ’60 gli anziani ricordavano ancora la lotta condotta per avere una terza lampada a carburo per illuminare qualche breve tratto di strada centrale e per costruire un permanente abbeveratoio per i cavalli all’inizio dell’attuale via Vittorio Arici.

    Solo superati gli anni ’60 S. Polo perde la configurazione ultracentenaria di borgo contadino con la costruzione di abitazioni fra le quali spicca il villaggio “La Famiglia” inaugurato il 25 settembre 1971.

    Il vero decollo si verificò tuttavia negli anni ’70 con il lancio del progetto di un vasto quartiere che stravolse completamente la fisionomia della zona. Ideato, pensato fin dal 1972 dall’arch. Leonardo Benevolo, con tutto l’appoggio dell’assessore all’urbanistica del comune di Brescia Luigi Bazoli, discusso, contestato (ad un certo momento si temette perfino che si volesse ad esso sacrificare il centro storico cittadino) il progetto veniva avviato dopo un serrato dibattito; il 2 febbraio 1977 il Consiglio Comunale di Brescia approvava assieme alla variante al piano regolatore la costruzione del nuovo quartiere, denominato San Polo Nuovo, i cui lavori iniziarono il 2 gennaio 1979.

    Concluso un primo lotto, nel 1984, una ventina di cooperative e dodici imprese si mobilitarono per la costruzione di numerose nuove abitazioni, villette a schiera, condomini. Seguirono nuove imponenti costruzioni nella porzione più settentrionale. Già nel 1981 vennero aperti i primi negozi e l’ambulatorio. Lo sviluppo dell’edilizia abitativa è continuato nel 1993 e nel 1998. Gli edifici furono costruiti dall’IACP e dall’OPAC 38 di Grenoble (francese) nell’ambito del programma europeo Eurotex dell’ALER. Nel luglio 1981 veniva aperto un mercatino bisettimanale mentre dal 1983 il comune di Brescia affidava agli arch. G.A. Jellicol, Cagnardi, Benevolo e a Fulco Pratesi il progetto di un parco urbano con un grande stagno per il riposo di uccelli migratori.

    Assieme alle abitazioni sono avvenuti insediamenti di rilievo istituzionale e sociale. In via Botticelli è sorta nel 1984 su progetto dell’ing. Eugenio Mori la nuova sede della Polizia di Stato o Questura; nel 1988 sorge un centro della Croce Bianca, dono della Banca S. Paolo ampliato poi nel 1992. Nel 1998 si insedia la nuova grande Poliambulanza mentre nel 1999 prende forma un centro assistenziale ANFFAS. In costruzione nel 1999 il centro AISM per la sclerosi multipla. Di fronte al centro commerciale “Margherita d’Este” è in fase di realizzazione nel 2000 la nuova sede dell’Aci Brescia (aggiornamento – realizzata). Si ampliano i servizi fra i quali tre farmacie, un mercatino di quartiere, i trasporti. Sorgono via via nuovi edifici scolastici cui seguono nel 1993, in via Cimabue una scuola materna, in via Verrocchio scuole elementari e medie, l’auditorium ed una palestra. Fra le altre iniziative si deve ricordare la Scuola Bottega avviata nel 1979 sistemata nel 1986 nella Cascina Riscatto (aggiornamento: la Scuola Bottega è traslocata in via Carducci , attualmente la cascina Riscatto ospita la Biblioteca e il Centro Anziani). Da parte della Cooperativa “Elefanti volanti” veniva promosso il centro “Crescere insieme” con l’asilo “Magicomondo” e Spaziogioco.

    I problemi di convivenza e di assistenza, suscitati da nuovi agglomerati abitativi e vagliati in molti dibattiti e polemiche impongono presto interventi pressanti sotto i più diversi profili. Per la sicurezza del quartiere viene aperto nel 1996 un distaccamento della polizia urbana, nel luglio 1999 in via Allegri si apre un nuovo Ufficio Postale. Nel 1994 viene aperto all’interno della Casa di riposo Arici-Sega un centro diurno per anziani. È prevista la costruzione sulle aree del lascito Arvedi di un Centro diurno e di alloggi per anziani.

    Nuovi problemi da risolvere si impongono nel 1997 con l’arrivo in via Maggia di un nutrito numero di Rom. Iniziative di aggregazione sociale vedono la nascita nel 1992 del centro sociale della Torre Cimabue, e poco dopo nasce la Casa delle Associazioni. Nell’ottobre 1993 la Cooperativa “Elefanti volanti” apre la sua sede nella Torre Tintoretto. Nel 1994 viene fondato in via Cimabue il Circolo ACLI (con bar, bocciodromo) della parrocchia di S. Luigi Gonzaga che si aggiunge a quello esistente dal 1943 di S. Polo vecchio. Nel 1995 la VII Circoscrizione apre nella cascina Aurora di via Raffaello un suo centro sociale. Nascono inoltre alle Case di S. Polo il Gruppo pensionati e il gruppo culturale la “Secaróla” e il gruppo volontari. Attiva in luogo la Consulta della pace che nel giugno 1997 dedicava un cippo in ricordo di Guido Puletti, Fabio Moreni e Sergio Lana uccisi in Bosnia e alle Suore Poverelle stroncate dal morbo “Ebola” in Zaire. Per il tempo libero fin dal 1968 viene progettato un Lido; nel 1975 viene creato il centro Hobbyland e nel 1977 un laghetto. Nascono attività ricreative presso i Circoli ACLI. Nel maggio 1978 alle Case viene inaugurato il gruppo sportivo AVIS. Nel 1980 viene fondato il Circolo del tennis. Nello stesso anno si disputa per la prima volta il Palio delle Contrade. Nel 1982 è stata aperta la discoteca “Paradiso”. Nel 1995 nella cascina Aurora si insedia ad iniziativa dell’ARCI una Ludoteca. Da anni è in funzione su un’area appositamente attrezzata il Luna Park estivo.

    Ad attività caritative e assistenziali per alcuni anni padre Pippo Ferrari utilizza la cascina S. Antonio (v. S.Antonio, cascina) (aggiornamento: nella cascina attualmente ha sede l’Associazione Idea Salute). Nel 1993-1996, villa Elisa, già destinata all’assistenza di ragazze madri, viene trasformata in residenza sanitaria assistenziale per anziani non autosufficienti. Nel 1984 nella cascina Albrisà trova sede, per iniziativa di p. Reati, “Progetto uomo” per tossicodipendenti. Gruppi volontari nascono nella parrocchia di S. Luigi Gonzaga.

    Parallelamente rapido in confronto allo sviluppo urbanistico ed edilizio si manifesta quello economico e industriale che vede l’impianto nel territorio, nel giro di pochi decenni, di industrie di grande rilevanza quali la Lonati S.p.a., l’ALFA-Acciai, l’AEB s.p. dei fratelli Piero e Enzo Giacomini (1963), la Baribbi passata poi all’IVECO Mezzi Speciali, la Greiner qui trasferita da Lumezzane. È prevista la sistemazione a verde dell’area che circonda l’Alfa Acciai (aggiornamento: realizzata una collina intorno all’Alfa, con piantumazione e pista ciclabile).

    Sul piano commerciale ebbero rilievo il Centro Commerciale Margherita d’Este (supermercato GS e 60 negozi). Nel 1987 veniva aperto il Centro Commerciale di via Carpaccio. Nel 1989 presso il Centro Margherita d’Este venne aperta la sede di un’agenzia della Banca Valsabbina (aggiornamento: chiusa). Nel 1988 veniva realizzata a S. Polo Nuovo su 23 mila mq. per 27 imprese artigianali la cosiddetta cittadella artigianale. Ultimamente (1999) è oggetto di discussioni e critiche il progetto denominato “Sanpolino” che prevede la costruzione nel quartiere di 1700 alloggi. (aggiornamento: Sanpolino è una realtà in continua espansione)

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    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025



  • La Cascina Aurora

    La Cascina “Aurora”, in Via Raffaello Sanzio 163 a San Polo (Brescia) dal 2023 ospita il Museo Dolci, che conserva ed espone 41 opere di Martino Dolci delle oltre duecento di proprietà della Fondazione omonima. Sito al piano terreno della Cascina Aurora, il museo consta di 3 ampie sale in cui è possibile ripercorrere la vicenda artistica di uno dei più noti pittori bresciani del Novecento.  

    la prima sala del Museo Dolci

    Oggi la Cascina si presenta così, ma chi si ricorda di quando era una cascina agricola, e poi con varie ristrutturazioni e cambi d’uso ha ospitato gli Uffici del Comune, un negozio di alimentari, una farmacia, la sede dell’ENPA, e oggi ha una sala comunale nella quale si svolgono varie iniziative, assemblee dei cittadini e riunioni del Consiglio di Quartiere?

    l’esterno della Cascina, lato est – foto Giorgio Gregori
    la Cascina Aurora vista da sud, con l’ingresso del Museo Dolci – foto Giorgio Gregori
    cortile della Cascina Aurora durante l’inaugurazione della mostra dedicata al pittore Garosio, nov 2025 – foto Giorgio Gregori

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  • I corridoi delle case a spina

    Chi si ricorda di quando questi corridoi non erano chiusi da cancelli?

    foto Giorgio Gregori
    foto Giorgio Gregori

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  • Le vecchie cartine di San Polo

    di Giorgio Gregori (work in progress)

    Questa bella cartina data circa 1600, presenta la città di Brescia circondata da mura, intorno la campagna e qualche piccolo borgo, spesso solo poche case intorno a una chiesa.

    E’ il caso di San Polo, collegata alla città da una strada che conduce a Porta Torrelunga, (ora Piazzale Arnaldo) dove c’era il casello del dazio, con un tracciato che potrebbe coincidere con l’attuale Via Mantova, incrociando quello che oggi è viale Venezia e che porta a S. Eufemia (San Francesco di Paola) e ad una “Pietra del Gallo” .

    Nel dialetto bresciano c’è un detto che, tradotto, significa “non hai mai passato la pietra del Gallo”, per dire non ti sei mai allontanato dalla città, non hai mai viaggiato. Il detto rimanda all’esistenza di una pietra in zona S. Eufemia a Brescia fino al 1718, anno in cui fu sbriciolata per potere allargare la strada. vedi anche spifferi bresciani – la pietra del Gallo (1)

    Sono molto chiare le strade che conducono in città e si collegano alle varie porte: vediamo il borgo della Volta, le strade che dalle Fornaci, Roncadelle e altra località non definita convergono verso la Porta S. Nazaro (ora P.le Repubblica), la strada che dalla Mandolossa attraversa la Mella, incontra un “Borgo” e arriva a Porta Milano . Vediamo a nord di questo percorso il borgo di Fiumicello.

    A Nord alcune strade convergono verso la Porta che ora è Piazzale Battisti, in evidenza sono i borghi di S. Eustachio e Borgo Trento.

    (1) Cristina De Rossi, in un articolo del 2021 su gardapost.it, scrisse: camminando sulle colline gardesane nell’area di Toscolano-Maderno e, più precisamente, percorrendo il sentiero Cai n. 223, che da Magnico conduce in Vesegna, c’è un grande masso in pietra che i locali conoscono bene, se non altro per sentito dire, detto la prea del gal.

    Un soprannome curioso. Mi sono sempre chiesta il significato e da dove traesse le sue origini. Secondo un detto dialettale locale, come scrive il Prof. Foglio nel suo “Vocabolario del dialetto di Toscolano-Maderno“ gli sciocchi vengono invitati ad avvicinare l’orecchio per sentire cantare il gallo, ricevendo invece un bell’assestato scappellotto tale da fargli sbattere la testa contro il muro”.

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  • La Cascina Lazzarino

    (dal volume “dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola)

    La cascina Lazzarino, attualmente proprietà dei coniugi Sergio e Liliana Gaffurini, si trova a sud ­ovest di S. Polo, in via Campagna, tra la cascina Fusera e la cava di sabbia di Gaffurini. Ora, dopo la splendida ristrutturazione, non possiamo più definirla una cascina, ma piuttosto, come lo fu nel ‘700 e ‘800, casa padronale, palazzo. Dallo stato di totale abbandono fino agli anni ’60 del Novecento, gli attuali proprietari l’hanno riportata agli antichi splendori settecenteschi.
    Posta nel verde di un grande parco che si affaccia sul laghetto della cava, cascina Lazzarino si presenta come una grande costruzione su tre ali attorno all’ampio cortile, al cui centro è situata una grande fontana in marmo, di recente fattura ma stilisticamente ben inserita nel contesto.
    Il bianco del marmo di Botticino domina un po’ ovunque, dai grossi pilastri sormontati da vasi di fiori della cancellata in ferro battuto che si apre verso sud, al porticato con cinque colonne dell’ala est, agli stipiti, alle architravi, ai davanzali, creando un’atmosfera di grande eleganza. Due guglie, sempre in “botticino”, svettano sul tetto dell’ala ovest, donando al complesso una particolare nota di signorilità. L’ala ovest doveva servire, probabilmente, a rustico, oggi ristrutturato ad abitazione; l’ala est al piano terra a deposito carrozze ed a fienile al piano superiore; a nord c’era la casa padronale.
    Da notare che nelle mappe napoleoniche dell’inizio Ottocento compare il nome di Palazzino, mentre il nome Lazzarino, che resterà fino ai nostri tempi, compare per la prima volta nelle mappe asburgiche del 1843, epoca in cui gli austriaci rivedono con metodicità e precisione tutto il sistema catastale del Lombardo-Veneto.
    La denominazione Lazzarino deriva sicuramente da “Lazzaretto”, sinonimo di ospedale in cui venivano ricoverati gli ammalati affetti da malattie contagiose (peste, colera, malattie veneree, vaiolo), frequenti nel periodo di guerre della prima metà dell’Ottocento (guerre napoleoniche, di indipendenza, moti rivoluzionari). Nella bassa bresciana i nomi “Lazzarino” e “Lazzaretto” compaiono di frequente, riferiti a cascine o località di campagna isolati da paesi o città, proprio ad indicare luoghi adibiti ad ospedale lontani dalla popolazione onde evitare contagi.
    Che il complesso sia di chiara architettura settecentesca lo conferma la data incisa sulla maniglia della cancellata: “GIO BATT. REBOLDI FECIT 1773”.

    Nell’ala nord ritroviamo gli elementi artisticamente più interessanti con gli affreschi su soffitti e pareti ed i pavimenti in stile palladiano, composto da frammenti di pietra accostati come tessere di un mosaico a comporre motivi geometrici o floreali stiiizzati. Il pavimento è stato purtroppo tolto, perché troppo sconnesso e rovinato, al punto da essere irrecuperabile.
    L’interesse maggiore è destato senz’altro dagli affreschi distribuiti sui due piani, di mano veneta del ‘700. Essi riproducono scene di vita campestre, paesaggi e temi religiosi. Una Madonna, ascensione di santi, contadini e domestiche, gentiluomini e dame adornano pareti, soffitti e scale, illustrano scorci di vita e costumi settecenteschi.

    Per risalire agli antichi proprietari che fecero costruire l’edificio, bisogna osservare e decifrare i due stemmi, uno dipinto sul muro esterno dell’ala est, l’altro scolpito sulla chiave di volta dell’ingresso. Il dipinto rappresenta un leone rampante sormontato da una cotta d’arme, il secondo un bassorilievo con sette stelle poste sopra un ramo con foglie.
    Essi non appartengono però a famiglie bresciane. Potrebbero appartenere ai Panciera di Zoppola, che tennero la cascina fino al ‘900. La panciera è appunto la cotta d’arme presente sopra il leone rampante dello stemma. I Panciera erano nobili conti provenienti da Zoppola nel Friuli e la loro venuta a Brescia è legata ai Martinengo. Resta l’interrogativo del leone rampante che non compare in nessun stemma dei precedenti proprietari; non in quello della nobile Giulietta Mompiani e tantomeno dei Galletti, proprietari fino alla fine dell’Ottocento, e dai quali i Mompiani l’avevano acquistata. Questi non erano nobili e non potevano essere i committenti del Palazzino. Bisogna risalire oltre, ma mancano del tutto documenti, pertanto non resta che concludere che il Palazzino, divenuto poi Lazzarino, sia stato edificato da signori veneti, il cui stemma era quello scolpito sulla chiave di volta del portale est. Questa ipotesi può essere supportata dal fatto che Brescia per lungo tempo fu sotto il dominio di Venezia. I nobili provenivano un po’ dappertutto e tutti ambivano costruirsi una villa in campagna. La Serenissima era poco precisa nel censire la sua gente, pertanto ricostruire con completezza quale era la situazione all’origine diventa arduo. Resta comunque il fatto che la cascina Lazzarino, magnificamente ristrutturata, è una delle più belle testimonianze del passato di S. Polo e merita tutta la nostra attenzione.
    Di seguito sono riportati due esempi di catasto del sito attorno alla cascina Lazzarino. Uno è del catasto napoleonico del 1810, generico e non rispettante distanze e dimensioni in scala; l’altro è del catasto asburgico del 1843, preciso, rispettante distanze e dimensioni in scala, suddiviso e numerato in lotti, indicanti addirittura la destinazione funzionale per ogni lotto.
    Dal catasto austriaco (asburgico) si può rilevare la destinazione funzionale dei lotti attorno alla cascina Lazzarino:

    n. 996 aratorio e vitato (coltivato a vite)

    n. 997 casa di villeggiatura

    n. 998 orto
    n. 999 prato vitato, adacquato, fruttato con moroni {gelsi] e così via.

    Tratto dal volume “dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

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  • Le Gerole


    La frazione è parte del comune di Borgosatollo, ma appartenente alla parrocchia di San Polo. Località totalmente immersa nella campagna lavorata dalle famiglie Ballerini, Boldini, Medeghini e Sandrini residenti nelle rispettive cascine. La frazione è caratterizzata dalla chiesetta dedicata ai Santi Faustino e Giovita festeggiati il 15 febbraio. In questo giorno molte persone di San Polo vi si recavano percorrendo la via Chioderolo e inoltrandosi poi per il viottolo che costeggiava il torrente Naviglio, raggiungevano le Gerole attraversando un bellissimo panorama agreste.
    Da molti anni ormai le Gerole sono raggiunte attraverso la più comoda via Cadizzoni, percorribile in automobile.
    Secondo l’Enciclopedia bresciana il termine “Gerole” non deriverebbe da “gera” (ghiaia­sabbia), ma dalla nobile famiglia Gerola, che nel Seicento circa aveva possedimenti nella località. All’interno della chiesa c’è una lapide marmorea che ricorda personaggi del Seicento che contribuirono con i loro lasciti alla costruzione della chiesa ed alla celebrazione di messe.
    Riportiamo di seguito, il testo e la traduzione della lapide tratti dal fascicolo parrocchiale:
    “La Comunità di S. Polo storico”
    Numero 1, Aprile 2011,articolo “Speciale Gerole”

    ANTONIO MOROTTO
    Ad Antonio Morotti
    CUIUS PIETATEM EGREGIE CONTESTATI HAEREDES
    del quale la pietà egregiamente avendo ereditato gli eredi
    IULIA SOROR ET PETRUS MASOTTUS CONIUGES
    Giulia sorella e Pietro Masotto coniugi
    EROGARUNT
    erogarono
    X DEC(embris) MDCXXXIV
    il 10 dicembre 1634
    DECIES QUINGENTAS PL(anetas) LlB(rarias) AB EODEM IN DIU(tu)RNAE
    dieci volte cinquecento planeti dal peso di una libbra dal medesimo destinate/aggiunte
    AC PERPETUAE MISSAE CELEBRATIONEM ADDICTAS
    per la celebrazione di una messa continua e perpetua
    TEST(amento) ROG(ato) PER MARCUM GANDELLUM
    con testamento rogato da Marco Gandello
    BRIX(iensem) NOT(arum)
    notaio bresciano
    PRIDIE IDUS SEPT(embres) MDCXXX
    il giorno precedente le Idi di settembre del 1630
    TRANSLATIS HUC EIUSDEM AC FRATRUM SORORIAEQUE OSSIBUS
    traslate qui le ossa del medesimo dei fratelli e di una zia paterna
    IO(annis) PAULUS GLEROLA
    Giovanni Paolo Gerola
    AETERNUM VOLENS AETERNUM POSUIT.
    eterno volendo eterno pose

    . CI ÐI ÐC XXXV .
    1000 500 100 35

    Giovanni Paolo Gerola, volendo (un ricordo) eterno, nel 1635 eresse (questo sepolcro) eterno – dopo aver qui traslato le ossa del medesimo, dei fratelli e di una zia paterna – per Antonio Morotti, i cui eredi, la sorella Giulia e Pietro Masotti, coniugi. avendone ereditato nobilmente la pietà, erogarono il 10 dicembre 1634, 5000 lire planete* dal peso di una libbra destinate o aggiunte (a quelle fissate) dal medesimo con testamento rogato da Marco Gandello, notaio bresciano il 12 settembre 1630 per la celebrazione di una messa quotidiana e perpetua.

    *moneta bresciana diffusa dal 1257 a rutto il ‘600. Il peso di una libbra corrisponde a gr. 0,32 I di argento.

    Dall’epigrafe è stato possibile ricostruire la vicenda. Il nominato Antonio Morotti aveva depositato presso il notaio Marco Gandellini di Brescia un testamento, con cui costituiva una cappellania della chiesa delle Gerole per una messa quotidiana e perpetua.
    Il Morotti morì di peste (la stessa narrata dal Manzoni nel suo “I promessi sposi”) e gli eredi erogarono altre 5000 lire (planetas librarias) per aumentare il capitale della cappellania.
    Successivamente un altro erede, G. Paolo Gerola, raccolse le salme dei nominati eredi Giulia e Pietro Morotti e di una zia paterna nel sepolcro eretto nel 1635, di cui l’epigrafe.
    La vicenda fa supporre che la famiglia fosse la committente della costruzione della chiesa delle Gerole o ne fosse comunque la proprietaria.

    Tratto dal volume “dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

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  • Edifici e Borgate di S. Polo

    Da completare con nuove fotografie.

    La vecchia Chiesa
    Situata sulla via Mantova era dedicata alla Conversione di San Paolo. Accanto la piccola canonica legata al grande “Palass del Mago”. A nord della Chiesa sorge casa Reboldi.

    Le Scuole
    All’incrocio tra via Mantova e via Fiorentini, un ampio edificio a corte era sede della scuola elementare e dell’asilo infantile. La scuola media unica ancora non esisteva. Due lati contenevano le aule scolastiche a piano terra e primo piano. Nel terzo lato servizi igienici e refettorio. L’abitazione del custode e la stanza dei bidelli esaurivano tutti gli spazi disponibili. Sul lato opposto della strada sorgeva la cascina Miglio (el “Mei”).

    Palass del Mago (vedi articolo dettagliato)

    Nome con il quale la popolazione identifica una costruzione risalente al 1500 e adibita ad abitazione. All’interno trovarono posto il cinema-teatro parrocchiale e la bottega di riparazioni di biciclette e tricicli di Pietro Bandera, meglio conosciuto col soprannome di “Stria” per il suo carattere burlonesco.

    Casa Bonetti
    Situata al centro di San Polo, ospitava un bar e la tabaccheria di Gianni Filippini meglio conosciuto come “Giani tabachì”.

    Accanto, la Pesa pubblica per carri, carretti e, più tardi, i Dodge (camion militari americani dismessi e adibiti al trasporto di ghiaia). La pesa pubblica era situata sotto un porticato che dava nel cortile del palazzo. Ora è chiuso ed è stato trasformato nella sala del bar Pesa.
    “La pesa mi ricorda un episodio divertente accadutomi. Provenivo in bicicletta dalle Bettole, dove ero stato a portare del materiale da lavoro a mio padre. In fondo al cavalcavia mi aspettavano due poliziotti in moto. Mi fermarono ed ispezionarono la bicicletta che, ovviamente, non era in regola: il fanalino posteriore non c’era, quello anteriore c’era, ma non funzionava, le pedivelle non erano a norma, un freno era rotto. Conclusione: 500 lire di multa ed a nulla valse l’osservazione che tanto era ancora chiaro . Non avendo né documenti, né soldi mi scortarono a casa, uno davanti ed uno dietro.
    Giunto davanti alla pesa mi fermai dicendo che abitavo li dentro e non appena scesero dalla moto, lasciandoli di stucco, partii in velocità nel cortile, uscendo nella via Arici e, senza mai voltarmi per il timore di vedermeli dietro, infilai la prima trasversale e scesi per uno scivolo di un garage, aspettando alcuni minuti prima di riprendere la via per casa. L’avevo scampata.” (Primo Gaffurini). Il palazzo fu costruito nel 1911.

    Nel Centro si trovavano casa Venturelli, un cascinale che ospitava l’officina di fabbro ferraio della stessa famiglia ed il Circolo Combattenti e Reduci; la casa del maniscalco Kinì Mainetti; la drogheria Falappi, la forneria, la casa Fogazzi, la trattoria di Bepi Averoldi ed il piccolo cascinale Lodrini-Codenotti.

    La cascina Bersini
    Con alle spalle la stalla dei Bortolotti. Di fronte alla cascina il grande giardino dei “musigni” e, all’incrocio tra via Ponte e via Mantova, l’osteria del Brentatore di “Trani” Marmaglio. Tra la cascina ed il palazzo dei Bersini c’era la Fabbrica Lampadari dei Sigg. Pellegrini. Luigi Pellegrini acquistò l’edificio nel 1961 dal nobile Cesare Luzzago di Brescia. L’interno dell’abitazione era composto da colonne in pietra bianca e volte a vela in cotto: erano le vecchie ed antichissime stalle, magnificamente restaurate e trasformate in abitazione da Mario Pellegrini, subentrato al padre Luigi. La fabbrica chiuse nel 2002 e l’edificio trasformato in nuove residenze.

    Palazzo Bersini: “la casa rosa” (vedi articolo dettagliato)

    La Draga
    Località così chiamata per l’esistenza della cava di sabbia Salvi, funzionante con una funicolare e carrelli ad immersione nel laghetto dal quale si estraeva sabbia “pulita”.

    Vicino alla cava le case Perghem, Lombardi, Beretti, Filippini, Marcon e del “Magiur” (un ex ufficiale dell’Esercito).

    Portale d ‘ingresso est di via Casotti

    Il Borgo
    Grosso agglomerato di case e cascine a sud di S. Polo, che ha sempre avuto una sua identità, spesso sfociante in campanilismo. Un tempo era chiamato “Borgo rosso” in quanto la maggior parte delle persone si dichiarava comunista o socialista. Al Borgo il sentimento di appartenenza era così vivo che è sorta un’associazione chiamata “I s-cècc del Borgo”, formata da persone rigorosamente originarie della zona. Qui erano situate la trattoria “Paletti” ed i suoi giochi di bocce coperti da secolari ippocastani; il cascinale Pagani­Bordiga-Consoli con il pozzo di acqua potabile e, vicino, il forno del pane di Emanuele, con annessa salumeria; il cascinale dei Bravo che periodicamente ospitava spettacoli di burattini (i giupì); la cascina dei “Zola” con una bella ortaglia ed un magnifico vigneto; la trattoria “Gatta” di Apostolo Alberti con annessi giochi di bocce; vicino alla “Gatta” le abitazioni delle famiglie Fra e Gussago, detto “el strasino” (straccivendolo);
    all’incrocio tra le vie Casotti­Ponte-Chioderolo nella casa di “Trani” furono ospitate per qualche tempo le scuole elementari. Il grande cascinale Pagani-Bordiga-Consoli fu proprietà dei Conti Calini e sul grande portale d’ingresso di via Casotti si può vedere, sotto la chiave di volta, la data 1611 e la scritta :
    “SOLI DEO HONORE E GLORIA” (Solo a Dio onore e gloria)
    a testimonianza dell’epoca di appartenenza dell’edificio. Era la casa di campagna con allegate abitazioni dei contadini che lavoravano le terre di proprietà dei signori, secondo uno schema sociale tipico del ‘600-‘800. L’edificio si estendeva in Via Ponte fino al cortile degli “Apostoli” ed era dotato di tre entrate: quello carraio in via Casotti a sud; uno all’inizio di via Casotti ed il terzo in via Ponte. L’interno era un unico grande cortile e vi si poteva accedere da via Casotti uscendo in via Ponte.

    Il Chioderolo

    La ruota del vecchio mulino del Chioderolo
    Situato alla confluenza dei torrenti Garza e Naviglio-Cerca. Torrenti che frequentemente straripavano mandando sott’acqua l’abitazione della famiglia Saetti, il bel brolo annesso e la trattoria Cavallino che la stessa gestiva. Le famiglie Bettinzoli, Rivetta, Bravo, Rezzola, Savoldi, Gerola, Ferrari, Bandera, Bertoletti, Vecchi, rappresentavano il nucleo storico della contrada.
    Ciò che caratterizza più di tutto il Chioderolo è la presenza del vecchio mulino ad acqua, con le grandi pale spinte da una cascatella ricavata dal Naviglio.
    Il mulino era gestito da tre famiglie di cugini Bandera: Angelo, Giacomo e Mario col fratello Luigi. Secondo don Angelo Cretti dall’analisi di mura, travi e strutture, l’edificio si può far risalire al ‘500.
    Il termine Chioderolo pare derivi dalla presenza nella località, anticamente, di un’officina in cui si producevano chiodi.

    La Colombera
    Un grande cascinale abitato dalle famiglie Massardi, Pasinetti, Zizioli e Bandera. Quest’ultima, proprietaria di un grande frutteto e vigneto. Di fronte, la casa Romanenghi, anche loro possidenti di vigneti, periodicamente inondati dagli straripamenti del torrente Garza, perché piantati nel terreno di una ex cava di sabbia, probabilmente la prima di San Polo, nella quale l’estrazione avveniva con piccone e pala, il classico “pic e badil”.

    Il Gerolotto
    Agglomerato comprendente le cascine Bacchetti, Gregorelli e Medeghini, dedite oltre che alla coltivazione dei campi, anche all’allevamento di bovini, spesso lasciati liberi di pascolare nei terreni circostanti. Le vicine famiglie Franzoni e Volpi erano dedite alle cave di ghiaia.

    La Fusera.

    Con il cascinale degli Zubani e la chiesetta dedicata ai SS. Pietro e Paolo, meta di molti pellegrinaggi durante i tridui, sempre ben vissuti dalla gente.

    Le Gerole (vedi articolo dettagliato)
    La frazione è parte del comune di Borgosatollo, ma appartenente alla parrocchia di San Polo. Località totalmente immersa nella campagna lavorata dalle famiglie Ballerini, Boldini, Medeghini e Sandrini residenti nelle rispettive cascine.

    La cascina Cadizzoni (Ca ‘ de Zoni)

    _Segue: antico portale d’ingresso con arco in pietra

    le Cadizzoni
    A metà via sorgeva la grande cascina Orizio con le sue attività agricole, mentre all’inizio della stessa strada vi era l’importante cascina Cavalieri, del conte Cavalieri.
    Fittavoli le famiglie Lorini e Lumini .
    Sulla parete est della stessa, che si affacciava sullo “stradone” (via Mantova), era collocata in bella vista una targa in pietra con la scritta:
    Malghesi di Collio qui non ne voglio”, fatta collocare dal proprietario dopo essere stato gabbato da un malghese valtrumplino che aveva fatto pascolare la propria mandria nei terreni Cavalieri senza rispettare i patti stipulati.
    Secondo la tradizione dell’epoca i valligiani in inverno, con la transumanza, scendevano in pianura per “mangiare il fieno”, cioè portavano le mucche nelle stalle della pianura ricche di fieno.
    Il patto fra malghese e fattore prevedeva che il pagamento awenisse quando il malghese avesse staccato le cavezze delle mucche dalla “traiss”, la tramoggia, al termine della stagione.

    Il furbo malghese di Collio al momento di partire sfilò la cavezza dal collo delle mucche e la lasciò legata alla tramoggia. Nulla poté fare contro di lui il fattore, ma a scanso di ulteriori gabbate fece apporre la targa_

    La Transumanza
    S. Polo fino agli anni cinquanta del Novecento, come già detto, era una realtà prettamente agricola e lo testimoniava la presenza delle numerose cascine situate anche nel centro e pertanto era partecipe diretta del fenomeno della transumanza. Esso avveniva in due momenti: il primo in autunno, quando le mandrie e le greggi scendevano dagli alpeggi, dove il pascolo era terminato, verso la pianura per svernare; il secondo momento consisteva nel fenomeno inverso, quando in primavera le mandrie venivano riportate dalla pianura agli alpeggi. In tali occasioni si vedevano mandrie di decine di mucche condotte dai mandriani attraversare città e paesi per recarsi nelle cascine della pianura, dove svernavano. Veniva allora stipulato un contratto fra il mandriano valligiano ed il proprietario della cascina per cui le mucche potevano pascolare nei campi ad erba per il tardo autunno ed in inverno le mucche venivano nutrite con ilo fieno delle cascine stesse. Il pagamento avveniva nel momento in cui la cavezza delle mucche veniva staccata dalla “traiss” (tramoggia) per il ritorno all’alpeggio. In tale contesto si pone l’episodio avvenuto nella cascina Cavalieri che portò alla famosa targa: “Malghesi di Collio qui non ne voglio” narrato sopra. Era un fenomeno vistoso : per intere giornate si assisteva al passaggio di mandrie scampanellanti, che percorrevano decine di chilometri per portarsi nelle cascine della bassa. Per i ragazzi era sempre una novità e destava meraviglia, in realtà era un fenomeno secolare. La transumanza è scomparsa con l’introduzione degli allevamenti intensivi e con l’aumento del traffico veicolare sulle strade, per cui le poche mandrie presenti negli alpeggi nel nostro tempo in autunno vengono portate nelle stalle di pianura con gli autocarri.

    Corte Manfredi e dintorni
    Nella zona nord e a ridosso della via Mantova oltre alla corte Manfredi esistevano le cascine “Rödä”, “Nssa”, “Scagnel”, “Bridina” e la casa cantoniera, abitata dallo storico “stradino” Gabrieli .
    I terreni adiacenti alle cascine erano lavorati dalle famiglie Frassine, Spagnoli e Spalenza. Un poco più a nord-est era stata abbandonata la cascina “Albrisà”, ora recuperata e sede della comunità CEBS.

    “El Mei”-Cà di Emilio
    Sorge subito dopo l’Acciaieria Alfa, era abitata da varie famiglie fra cui i Fusi, che lavoravano i terreni allegati alla cascina. Oggi versa in una stato di abbandono penoso.

    L’Americana (delle Suore Mariste)
    Proseguendo ancora verso nord si trova un’antica e prestigiosa casa padronale attorniata da uno stupendo parco di cedri del Libano ed altre specie di alberi secolari. Il nome deriva dalla proprietaria, la signora Cellina Botturi, che viveva in Argentina, e perciò americana, e periodicamente veniva con il marito a passare la bella stagione in Italia.
    Secondo quanto testimoniato dalla Signora Cellina, la villa fu vinta dal marito al gioco delle carte. Durante un viaggio di ritorno in America, il marito fu ucciso. La signora si stabilì definitivamente nella villa , che da lei prese il nome di “Villa Cellina Botturi”, meglio conosciuta come “Americana”. Alla fine degli anni cinquanta l’immobile fu ceduto alle Suore Mariste. La Villa ha origini ben più lontane. Fu casa padronale con allegati terreni coltivati risalente al XV secolo, infatti sul muro della facciata d’entrata si può notare il resto di un affresco con la data 1473 ed all’interno sotto il porticato uno stemma. Ad uno sguardo non attento la data sembrerebbe un 1273, ma non sarebbe coeva allo stile dell’edificio. Ad un più attento esame, fatto ingrandendo l’immagine, si può decifrare correttamente il 1473, data che giustifica lo stile del caseggiato, tipico dell’epoca. La scritta, sotto riportata, è di difficile decifrazione in quanto incompleta e rovinata da crepe o intonaco rifatto. Il graffito è una probabile dedica ad un reggente del re in Brescia o a memoria di un fatto legato al reggente nominato.
    Vicino all’Americana la vecchia trattoria “Da Pini”, meta degli amanti del ballo, e le cascine Masserdotti e Zanola. “Da Pinì” divenne poi Birreria 501.

    Partendo dall ‘alto:

    La Cascina Maggia
    A metà dell’ omonima via la grande cascina gestita dagli Scaroni con annessa una piccola chiesetta, e la cascina Salvalai . Poco più avanti, verso la Volta, vi erano “Le Squane”, ossia il deposito del rifiuti urbani della ditta Ceresetti e Rossi, appaltatrice della raccolta rifiuti e pulitura delle strade per conto del Comune di Brescia. Nel deposito avveniva poi la suddivisione e lo smista mento dei materiali, (la plastica ancora non era in uso). Le “squarie” (rifiuti) venivano utilizzate come concime per i campi ed erano oggetto di ulteriore cernita da parte della popolazione, che vi rovistava alla ricerca di materiale riciclabile.

    le Case
    Un borgo compatto, nel passato frazione del comune di Sant’Eufemia. Si caratterizzava per la presenza della chiesa di San Girolamo, la Casa di riposo Arici-Sega, la presenza di una comunità di Suore delle Poverelle che gestiva l’asilo infantile, oltre che dare assistenza agli ospiti della casa di riposo. Il complesso della Casa di riposo non è mai stato ristrutturato per vicende legate prima al fallimento delle ditte appaltatrici, poi per manifesta inidoneità dell’ edificio a rispondere ai requisiti richiesti dalle normative regionali e nazionali introdotte negli ultimi anni. L’amministrazione comunale ha deciso di mettere in vendita l’intero fabbricato e parte del parco e costruire ex novo una nuova RSA accanto a quella preesistente.
    Come tutti i borghi antichi racchiudeva anche alcune cascine: Caraffini, Faini, Sandrini. La casa di riposo Arici-Sega aveva sede in un palazzo di proprietà prima dei nobili Truzzi, poi della famiglia Arici. Vittorio Arici lasciò alla congrega della carità di S. Eufemia l’immobile a fini filantropici. Il lascito, unito a quello della famiglia Sega, permise la realizzazione della casa di riposo che porta il loro nome.

    Cascina Lazzarino (già Palazzino) (vedi articolo dettagliato)

    “Le notizie principali sono tratte dalla ricerca inedita di Romana Bertocchi e liberamente elaborate da P. Gaffurini.

    NOTE:

    (1) Giulio Schiannini e Carlo Simoni: “L’acqua ed il cotone. Ercole Lualdi ed i fratelli Schiannini nell’archivio di una famiglia cotoniera”
    (2) Ibidem.
    (3) Ibidem.
    (4) Giuseppe Zanardelli: “Sulla esposizione bresciana “, pag. 181.
    (5) Archivio Schiannini, lettera 13 aprile 1935-XIIl di Giulio Schiannini al Prefetto di Brescia.

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    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

  • Palazzo Bersini

    Il palazzo che si trova quasi all’uscita del paese, sulla sinistra in direzione di Castenedolo e che occupa i numeri dal 9 al 15 di via Bettole, appartiene da tre generazioni alla famiglia Bersini.

    Fu costruito nella seconda metà dell’Ottocento e rappresentava la casa padronale attorno alla quale si snodava poi la cascina provvista di abitazioni per affittuari e mezzadri, di stalle e di una corte centrale, formando così un vero e proprio quadrilatero. Oltre si estendevano i campi lavorati a maggese, frumento e granoturco, posti alcuni a destra ed altri a sinistra di un lungo sentiero sterrato costeggiato da un fossato e da grossi platani, chiamato da sempre “la strada delle vacche’.

    Ricordi di Federica Bersini

    Il primo proprietario del complesso fu un certo Conte B. di Milano, nonché illustre onorevole che qui trascorreva il suo tempo libero, lontano dalle occupazioni politiche e dal frastuono della vita cittadina. Era, in sostanza, la sua residenza di campagna, che tuttavia non condivideva con la famiglia bensì con l’amante, alla quale aveva affidato il controllo del palazzo in sua assenza e che raggiungeva non appena i gravosi impegni pubblici glielo consentivano. Si narra che dopo qualche anno il Conte sorprese la donna in compagnia di un altro, un certo “fra sercòt”, allora intenzionato ad intraprendere la strada conventuale e che invece, folgorato dal fascino di questa donna, capì quanto quell’incontro fosse stato per lui provvidenziale ed illuminante: decise infatti nel giro di poco di consegnarsi alla vita secolare e pare che in seguito sposasse la donna.

    I coniugi Lucia Ruggeri, originaria di Dello, ed il consorte Enrico Bersini, di Trenzano, acquistarono la proprietà, attratti anche dall’esteso parco che era da poco stato interrotto dal nuovo tracciato stradale (in precedenza infatti arrivava fino in via Lapidario) e che comprendeva un orto ed un frutteto. Lucia Ruggeri ed Enrico Bersini trascorsero qui il resto della loro vita.

    La cascina fu ben presto abitata da contadini e mezzadri che lavoravano i campi attorno ed allevavano il bestiame. Tra i primi vi abitarono i Gamberini, i Calestani ed i Doninelli, cui poi nel corso dei decenni subentrarono i Verzelletti (1961). gli ultimi a risiedervi prima della definitiva ristrutturazione della corte. Nel 1919 proprio nel palazzo nacque l’ultimo figlio dei coniugi, Pietro Bersini detto anche Lino, soprawissuto al tifo che si portò via il suo gemello a pochi mesi dalla nascita. Era Lucia Ruggeri la vera “risidora”, colei che si occupava del menage della casa. Era sempre lei che in tempi di grossi disagi, allestiva sotto il porticato una sorta di mensa per i più poveri, mentre il consorte Enrico, che non mancò mai di starle a fianco, distribuiva buoni che consentivano di acquistare del pane alla bottega. Le donne di casa erano impegnate nei lavori domestici, specialmente il bucato, eseguiti in tinozze di acqua bollente mescolata a cenere ed in seguito a lisciva. Nelle allora limpide e trasparenti acque del Naviglio, esse andavano a risciacquare la biancheria, mentre i ragazzi, nelle afose giornate estive, sempre qui trovavano conforto alla calura rinfrescandosi tra schiamazzi e risa. Si dice che, decenni prima, l’amante del Conte si fosse fatta costruire sulle sponde del Naviglio un gazebo posticcio che le permetteva di farsi il bagno indisturbata, senza essere vista. Sulle rive dello stesso canale, anni dopo si sarebbero ritrovate le ragazze figlie dei mezzadri, che qui si bagnavano e recitando la filastrocca:

    “acqua acquente, bevuta dal serpente, bevuta da Dio, lo bevo anch’io”

    sorseggiavano l’acqua dopo essersi fatte il segno della croce.

    Nei tempi della seconda guerra mondiale il palazzo fu spesso oggetto di visite frequenti, quanto inopportune, di soldati tedeschi, che qui avevano modo di ben rifornirsi e ben approvvigionarsi. Lucia non dimenticò di aiutare i fratelli più svantaggiati; lei come il marito erano profondamente devoti e conformi alla dottrina morale cristiana, tanto da rallegrarsi quando il penultimo figlio Francesco decise di prendere i voti entrando nell’ordine dei Gesuiti. In seguito divenne avvocato del tribunale ecclesiastico della Sacra Rota.

    Affresco interno del Palazzo Bersini

    Fu questa profonda spiritualità che portò, il 28 aprile 1945, Lucia Ruggeri a perdonare colui che forse senza intenzione, il giorno della sospirata liberazione sparando dalla strada, la colpì, con un proiettile che attraversò ben tre porte. La donna intenta ad ascoltare alla radio la lieta notizia non ebbe scampo.


    Negli anni sessanta il giovane Lino, dotato di spirito intraprendente, divenne l’artefice di un’impresa di costruzioni stradali che operava nell’intera provincia. Una volta sposato apportò varie migliorie alla casa, cambiando un po’ anche l’assetto delle stanze e dell’area esterna (giardino ed aia), pur mantenendo pressoché inalterata la struttura originaria del palazzo, confermando così il forte attaccamento ai ricordi ed alle tradizioni di coloro che lo avevano preceduto.
    Ora è Enrico, il suo secondogenito, ad occupare le stanze affrescate della “casa rosa’.

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.