da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto
Fa caldo, il ventilatore acceso, la tenda abbassata, la penombra avvolge la stanza, il frinire delle cicale è la musica dell’estate, le parole accompagnano la musica come il testo in una canzone. Francesco parla della sua infanzia segnata da tappe, da luoghi diversi, dalla figura del padre che ne determinò il cammino.
- Sono nato a Belluno, mio padre era di Gianico e mia mamma è di Brescia Centro. Dopo un anno dalla mia nascita siamo andati a Vicenza, poi a Rimini dove siamo rimasti tre anni, da Rimini a Chioggia dove siamo rimasti 5 anni, sono arrivato a Brescia nel 1962 che avevo dieci anni. Ho fatto fino alla IV elementare a Chioggia, la V elementare a Brescia, le medie le ho fatte a Brescia in due posti diversi, una volta abitavamo da una parte, una volta dall’altra, la nostra era una famiglia sempre in movimento. Appena arrivati siamo andati ad abitare in via del Sebino vicino alla vecchia sede dei vigili del fuoco, ci sono rimasto tre anni. Poi ci siamo trasferiti vicino all’Ospedale per altri tre anni, dove ho fatto la terza media, la prima e la seconda superiore, poi da lì siamo tornati in città in contrada delle Bassiche, ci sono rimasto fino alla morte del mio papà, avevo 18 anni e lui 50 anni. Mia madre non voleva più abitare nella casa dove era morto mio padre e ci siamo trasferiti in via Francesco Lana, ho vissuto lì dai 18 ai 23 anni quando mi sono sposato nel 1975 e sono andato ad abitare in fondo a via Volta, che ora è via Lamarmora, dove ho abitato fino al 1981 quando sono venuto qui (via Tiziano). –
L’idea iniziale era quella di andare ad abitare a San Polo Case perché ci abitava sua sorella, si era iscritto alla cooperativa ma, quando arrivarono i progetti non avendo abbastanza soldi, dovette rinunciare. Dopo due – tre anni fu promulgata la legge 167 sulla edilizia economico popolare, tra le aree designate c’era anche San Polo e Francesco colse al volo l’occasione.
- Acquistai questa casa che era disegnata in terra, e insieme agli altri acquirenti cominciammo a vedere cosa c’era da fare. Tre schiere di queste qui (via Tiziano) le abbiamo seguite dall’inizio, sia dal punto di vista degli incontri che delle cose da fare, dalla fase dei progetti al capitolato, fino a tutte le varie cose. Siamo venuti ad abitare il 28 febbraio dell’81. –
Le difficoltà che incontrarono, durarono circa un anno e furono legati principalmente alla mancanza di servizi come il trasporto e i negozi e alle strade non ancora asfaltate.
- Quando siamo venuti sembrava di entrare nel lager perché la strada non c’era ancora, non c’erano i lampioni, c’era un palo in fondo alla via con un grande lampione che tentava di illuminarla, era desolante, poi quando pioveva c’era fango da tutte le parti, i giardini non erano ancora fatti, mancavano ancora tutti i muri perimetrali. Uno è venuto ad abitare che c’era ancora il cantiere da cui si attaccò alla corrente, abbiamo dovuto fare una riunione per deliberare il fatto perché aveva lo sfratto e, dato che i tempi della costruzione si erano allungati, fummo tutti d’accordo. –
A sentirlo parlare e descrivere dettagliatamente i particolari sembra che racconti le gesta degli eroi, come gli antichi cantori popolari.
- Andare in città era abbastanza complicato. A piedi passavi dalla stradina che c’è qui che è rimasta la stessa per arrivare alla cascina Maggia ed era la strada principale, questa era la strada principale. Di bello, diciamo così, era che la cascina Maggia era piena di animali, e si portavano i bambini piccoli a vederli. I miei figli sono nati qua tutti e tre. Tra l’altro il trasloco ha fatto nascere il primo figlio perché era due anni che cercavamo di avere figli e non ci riuscivamo. Mia figlia è nata nell’81, poi tornando indietro con le date abbiamo stabilito che era stata concepita proprio con il trasloco. Probabilmente con il fatto della casa c’era una tensione che non favoriva il concepimento, infatti, nell’arrivare qui tac! e Valentina è arrivata. Michele nell’86 e Patrizia nell’87. I miei figli hanno fatto tutti e tre le scuole qui, si sono trovati bene, sia con gli insegnanti dell’asilo che dell’elementari, abbiamo ancora dei contatti con loro, ci si sente ancora, ci si parla. Noi non abbiamo mai avuto problemi con la nostra schiera. I primi anni e, anche quando c’erano i bambini piccoli, alla sera eravamo sempre fuori, fino a che i bambini hanno avuto una certa età la sera c’era sempre gente fuori, si facevano le tavolate sotto il portico, quando ancora c’era il vecchio. Abbiamo organizzato il primo torneo di pallone nel campo (giardini Borghetti), abbiamo chiesto e ottenuto dal comune le due porte per giocare che ci sono ancora oggi. La cosa positiva che ho vissuto è il fatto che, essendo un quartiere nuovo, la gente non si è chiusa, perché noi bresciani siamo un po’ chiusi, un po’ introversi, essendo poi arrivate soprattutto coppie giovani con bambini piccoli si è creata una compartecipazione, un legame che c’è ancora oggi, anche perché le persone sono arrivate e ci sono rimaste per 30 – 40 anni. Per quanto mi riguarda non ho mai voluto cambiare casa, forse dieci anni fa l’avrei cambiata con una casa su un unico piano perché la mia è su tre livelli, abbiamo anche la cucina sfalsata rispetto alla sala. All’inizio erano le case più belle e ricercate però poi col tempo … perché quando si è giovani è una cosa poi quando se ne ha 60 la cosa è un po’ diversa. Però sin dall’inizio io, avendo avuto un’infanzia dove non ho mai radicato amicizie, ho voluto rimanere e dare la possibilità ai miei figli di poter crescere nello stesso ambiente; una volta adulti si sono trasferiti però parlano sempre bene di quando erano qua, perché il quartiere lo hanno vissuto e qui hanno ancora amicizie. Questo è stato sicuramente positivo, la cosa migliore in assoluto. –
Più che alle gesta degli eroi popolari ora mi sovviene la canzone di Francesco Guccini: Radici
… La casa sul confine dei ricordi /La stessa sempre, come tu la sai / E tu ricerchi là le tue radici / Se vuoi capire l’anima che hai / Se vuoi capire l’anima che hai …
Il racconto di Francesco prosegue con l’accurata descrizione di chi ha partecipato, ha visto, ed ha vissuto la nascita di un quartiere.
– Non c’era niente, la chiesa è nata come un capannone. I palazzi erano tutti in costruzione. Alla cascina Riscatto ci abitava la famiglia Scaroni, uno degli Scaroni era quello che gestiva il bar di fronte all’oratorio, dove c’è il centro commerciale la Mela. Lui ha gestito la cascina per tanti anni, poi è morto e l’ha gestita suo figlio. Erano 4 o 5 fratelli, abitavano lì, dietro avevano un pezzo di campo che utilizzavano e che era ancora del loro nonno, probabilmente. Loro volevano comprarla quella cascina lì, ma non è stato possibile, perché in quell’area era previsto che non si poteva vendere ai privati. A loro fu data la possibilità di costruire delle casette diverse dalle nostre, che sono appena passato il parco, le prime tre o quattro case, sono leggermente diverse dalle altre, sono state costruite a compensazione del fatto di lasciare la cascina, che poi la cascina metà l’hanno ristrutturata e hanno fatto degli appartamenti con una cooperativa, mentre la parte storica, diciamo così, è rimasta perché nell’idea iniziale ci doveva essere un centro di accoglienza e servizi per il quartiere. So anche che c’era la scuola bottega ma non me la ricordo, la mia collega, con cui faccio i turni con il Touring, faceva l’insegnante alla scuola bottega e inizialmente era alla cascina, dove c’è la biblioteca, poi si sono trasferiti a san Polo case, storico. Il primo negozio alimentari era dove adesso c’è la sala delle riunioni del quartiere, alla cascina Aurora dal versante di via Raffaello e poi ce n’era un altro al primo piano della torre dei postali, c’era anche una cartolibreria e un giornalaio, hanno creato tre o quattro negozi lì sotto, intanto che cresceva tutto il quartiere. È durato poco perché poi è cominciata la costruzione del Centro Margherita e della Mela e quindi quei negozi sono spariti. Durante i primi anni potevi fare tutti i camminamenti poi hanno cominciato a girare con le biciclette e i motorini, facevano le gare avanti e indietro e allora hanno messo i cancelli, pertanto, tutto quello che era il progetto iniziale, che potevi salire da una parte e scendere da un’altra parte, fu cambiato. Inizialmente era quella l’idea di copiare i quartieri che c’erano in Francia, perché il quartiere nasce da un progetto francese, là non so come è finita, qui di fatto hanno dovuto chiudere. (1) –
I problemi, che si crearono all’interno delle torri, dove alloggiavano inquilini che venivano da situazioni di disagio sociale, fece sì che San Polo acquisisse la cattiva nomea che perdura ancora oggi.
- Quando è cominciato il problema all’inizio ne abbiamo risentito, anche chi voleva vendere casa aveva qualche difficoltà, alcuni si trasferirono perché c’era questa delinquenza anche minorile che girava. Diciamo che noi, qui in fondo, l’abbiamo sentita poco, c’è stato qualche episodio ma niente di particolare, mentre nelle torri la cosa era un po’ più evidente. –
Se il padre era sempre in movimento con le case Francesco è sempre in movimento tra le cose da fare, soprattutto volontariato. In principio, quando arrivò a San Polo, diede una mano all’oratorio, oggi segue un gruppo di anziani al Centro Pampuri con il quale fa la cenetta agostana, lo spiedo, delle uscite in città andando per chiese e musei, è volontario con il Touring dove fa accoglienza ai visitatori seguendoli lungo il percorso con informazioni sui luoghi che si visitano. Ogni tanto va anche alla Croce Blu occupandosi della parte amministrativa relativa alla sicurezza. Infine, fa parte del gruppo di lettura presso la biblioteca.
- La biblioteca la frequentavo poco, lavoravo, poi non sono mai stato un gran lettore. Mi piace leggere la storia di Brescia, mi piace leggere su quei fatti accaduti, sulla storia e poi ho deciso di far parte del gruppo di lettura per fare un’esperienza diversa. Erano anni che ci pensavo, ma non mi sentivo all’altezza. Ho sempre avuto una lettura tecnica per me i libri erano libri tecnici, non avevo l’idea del romanzo, il romanzo non mi ha mai attirato. I libri che ho letto con il gruppo solo alcuni mi hanno lasciato delle tracce e sono quelli collegati a dei fatti realmente accaduti. Comunque, è un’esperienza positiva perché si conoscono persone e modi di vedere le cose, inoltre qualsiasi esperienza ti lascia qualcosa di buono, di positivo. –
Da una associazione all’altra, da un impegno all’altro, tra cui non manca la palestra del Centro Margherita, Francesco il quartiere lo vive e ne coglie anche le mancanze.
– Manca un centro di aggregazione, manca la classica piazza che in linea teorica poteva essere il parco. Tutto quello che si fa si fa all’interno delle strutture. Potrebbero fare dei corsi di ginnastica come fanno al parco Tarello o un cinema all’aperto. Però secondo me questo quartiere è debole da quel punto di vista. C’è poco movimento anche perché è diventato vecchio e quindi fa difficoltà a cambiare. Alla cascina Riscatto le cose sono sempre limitate, lì potrebbe esserci un cinema all’aperto perché lo spazio c’è, però anche lì chi ha a cuore questa situazione dovrebbe riuscire a creare un movimento. Quest’anno hanno fatto un po’ di movimento perché c’è stato l’anno della cultura però la problematica è che se tu fai un movimento che dura solo in questo periodo è buttato via, se questo movimento può creare un’onda che poi continua allora sono d’accordo, ma se questo lo hai visto come un momento allora non serve a niente, non credo che possa portare delle situazioni di altro genere. Io non andrei mai in cascina per giocare a carte e a tombola, proprio non mi piace. Anche lì continuano a chiedermi “vieni a darmi una mano” ma cosa vengo a fare, giocate a tombola io so già che mi stuferei dopo dieci minuti che sono lì. Poi all’interno gli spazi son piccoli, è piccolo rispetto al quartiere, diciamo che l’ideale sarebbe la cascina Maggia come centro di aggregazione, gli spazi sono grandi, dentro e fuori, sarebbe un’ottima location per un cinema all’aperto. –
La chiacchierata è finita, Francesco si alza, saluta e se ne va, lasciando tra queste mura le parole che si sono fatte racconto e movimento.
(1) Il progetto di L. Benevolo, per questo quartiere a funzione prevalentemente residenziale, si basa sull’ individuazione di “Unità di abitazione” (ripresa da Le Corbusier) ripetibili e integrate ai servizi, che costituiscono una Unità di vita privata e di relazione sociale significativa nell’ambito dei rapporti molteplici in cui si esprime il vivere in un agglomerato urbano. Tali “Unità di abitazione” sono ripetute e integrate ai servizi. Da: Urbanistica, paesaggio e territorio Università di Parma, scritto da Beatrice Toledi http://www.urbanistica.unipr.it/?option=com_content&task=view&id=426
Brescia, 12 luglio 2023
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