da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto
In mezzo al pantano nasce il mondo nuovo con la celebrazione del primo matrimonio.
L’ingresso agli appartamenti della cascina è oscurato da due maestosi alberi di gelso nero, la loro ombra spezza un poco l’arsura di queste giornate di luglio e invita alla sosta dei veicoli. Una macchina si ferma, scende una donna, si avvicina al cancello d’ingresso della biblioteca e aspetta, ha una grossa sportina che tiene con due mani, il guidatore la raggiunge e quasi insieme, loro ed io, entriamo in biblioteca e sono proprio loro due i protagonisti dell’incontro: Dario e Gianna che furono tra i primi dieci abitanti del quartiere, i pionieri di San Polo nuovo, perché quello storico appartiene a Paride, Liliana e Silvana.
Saliamo le scale, ci sediamo e Dario tira fuori dalla sportina un enorme e pesante testo della Grafo Edizioni: Brescia moderna – la formazione e la gestione urbanistica di una città industriale. Ha voglia di raccontare e nel farlo si accarezza la barba, lei lo guarda e a volte interviene.
Abbiamo comprato la casa nel 1978, lavoravamo in banca perciò abbiamo comprato ad occhi chiusi per la convenienza, per il tasso di interesse sui mutui molto più conveniente che in altre zone e a un prezzo convenzionato. Il capomastro tracciava gli impianti col gesso e noi cancellavamo e ridisegnavamo come ci serviva in quanto avevamo già l’arredamento. A sua volta il capomastro ripristinava il tutto. Noi rientravamo nel cantiere a correggere come intendevamo dovesse essere. Questo duello è durato un poco, ma alla fine abbiamo vinto noi. Come geometra ero un po’ amico di Gaidoni, l’impresario, che ci ha lasciato fare le modifiche non cose sostanziali, però fondamentali per noi. –
Apre il libro, chini tutti e tre sulla pagina a guardare le prime fotografie del quartiere dove c’è la sua casa a spina, mi ricorda quando, prima di un viaggio, si apriva la cartina stradale per decidere quale percorso fare, ora le cartine giacciono come pezzi preistorici dentro una scatola in cantina, mi viene un poco di malinconia pensando a quanto tempo è passato, a come è cambiata la nostra vita ora che su un piccolo schermo non solo ci viene indicata la strada, ma ci parla, dice “vai dritto, alla rotonda prendi la seconda uscita ecc. …”, se devi fare benzina ti indica il benzinaio più vicino, se hai fame i ristoranti nei dintorni. Non devi più fermarti e chiedere a un passante: mi scusi, dove trovo …? Mi accorgo che sto divagando, mi scrollo i pensieri di dosso e di nuovo concentro tutta la mia attenzione sulla sua voce che ha fretta di raccontare, di arrivare al punto, e il punto è il loro matrimonio.
Prima abitavamo in viale Piave e non eravamo sposati, siamo stati tra i primi dieci abitanti del quartiere, ci siamo sposati il due febbraio del 1981. –
Tira fuori dalla sportina due fotocopie, una è un articolo di giornale che recita:
“Nella chiesetta di cascina Maggia – <Affreschi del ‘700 > il primo matrimonio a San Polo”, l’altra recita:
“2/2/81 si inaugura il registro dei matrimoni”
Gianna e Dario descrivono le vicissitudini e gli ostacoli che affrontarono per sposarsi in un quartiere nuovo dove la chiesa non esisteva, anche se Don Fortunato era già stato nominato parroco non si era ancora insediato e alloggiava in una traversa di via Cremona in attesa di una sistemazione nel nuovo quartiere. Lo cercarono e lo trovarono spiegandogli le loro intenzioni, per il Don fu l’occasione buona per cominciare a conoscere qualcuno perché il quartiere era un enorme cantiere e gli insediamenti erano pochi. Il Comune di Brescia assegnò a Don Fortunato una saletta della cascina Aurora per le messe domenicali e per gli incontri settimanali possibili soltanto quando la sala non era occupata per le riunioni condominiali. Era una piccola sala non adatta per un matrimonio così si decise di celebrarlo alla cascina Maggia che era in fase di ristrutturazione e sarebbe stata pronta entro un mese. Stabilirono la data delle nozze e iniziarono i preparativi. Il primo ostacolo fu quello di non sapere dove affiggere le pubblicazioni, poi arrivò l’ostacolo più grosso: l’interruzione dei lavori alla cascina per il ritrovamento degli affreschi del 700, quindi non era più possibile utilizzarla per la cerimonia, fortunatamente le suore Mariste vennero loro incontro proponendo di farlo nella loro chiesetta immersa nel meraviglioso parco di via San Polo. Fu così che il due febbraio 1981 si celebrò il primo matrimonio a San Polo nuovo.
Si legge sui loro volti l’orgoglio per essere stati i primi a sposarsi nel quartiere, e penso che gli anni passando lasciano segni profondi sui nostri corpi, ma, a volte, lasciano intatta l’emozione di un momento particolare, pare che le loro voci, unite nel racconto, vadano oltre le parole e che a volte quel “per sempre” non è soltanto una frase, due parole messe vicine, ma una condizione, pare che dicano: eravamo lì e ora siamo qui e qui saremo anche domani, e domani ancora, e ancora.
Mio marito è geometra ed è stato il primo amministratore, quindi sa tutto. –
Lo dice guardandolo, uno sguardo che lo spinge a dire il tutto, che lui coglie con gratitudine e sollecitudine.
Gaidoni, l’impresario, mi chiese di fare l’amministratore di condominio perché aveva bisogno di trovare qualche responsabile e io accettai. Poi fui contatto dall’Ufficio Tecnico del Comune di Brescia che si era stabilito alla cascina Aurora e, man mano che le villette e i condomini erano pronti, dava il mio nominativo per fare da tramite tra i proprietari e il comune stesso nell’individuare criticità o esigenze. Ci furono anche problemi legati al teleriscaldamento in quanto era il primo impianto costruito in città, uno di questi problemi fu la lettura dei dati sui contatori che segnavano le ore, ma non le calorie consumate, per cui il Comune obbligò l’A2A a gestirlo cosa che, invece, sarebbe spettata agli amministratori. Per cui quando facevo il bilancio di chiusura non avevo dentro il riscaldamento perché l’A2A emetteva direttamente, in base alle misurazioni, le bollette ai singoli proprietari, ed ero scaricato da una parte del lavoro, mentre dall’altra parte era un continuo vedere come risolvere i problemi contingenti di viabilità, di luce, di mezzi per andare in città. In questo modo ho contribuito alla nascita del quartiere, infatti all’epoca ero abbastanza conosciuto, adesso non più perché sono passati tanti anni.
All’inizio si poteva portare fuori i tavolini davanti a casa e mangiare tutti insieme anche perché i giardini non erano ancora chiusi. Le costruzioni non sono state consegnate tutte insieme, ma fatte a cascate anche perché al Comune non era ben chiaro come andava a finire il quartiere, quindi, andavano anche loro con i piedi di piombo perché il progetto era molto contestato. Lo chiamavano quartiere dormitorio, molti non compravano, di fatto le prime case le hanno vendute a prezzi convenienti proprio per attirare la gente.
C’era una parte della politica che diceva che diventava un quartiere dormitorio tipo le banlieue francesi dove si rifugiava un po’ di gente, veniva poi dimenticato e così via, altri invece erano positivi pensando che sarebbe andata avanti bene. Da parte nostra eravamo positivi. –
Dopo il matrimonio la famiglia si allargò, nacquero due figli e le rispettive nonne furono convinte, soprattutto per la convenienza, a comprare casa in via Raffaello, nella stessa fila di case a spina dove Gianna e Dario abitavano. Quando i bambini cominciarono ad andare a scuola a piedi, da soli, visto la vicinanza dell’edificio scolastico, le nonne li controllavano dalle finestre. Giocavano nel parco, andavano e tornavano da soli tanto le case si affacciano sul parco: abitare lì è come avere un enorme giardino. L’unico elemento che diede loro un poco di fastidio fu la costruzione della torre.
Il palazzo è stato l’unico elemento che ci ha dato un po’ fastidio perché non ne sapevamo niente, non era previsto nelle carte che ci avevano fatto vedere a suo tempo, quello è stato un po’ un fastidio, l’abbiamo visto crescere questo bestione. Poi il passaggio che, secondo il concetto di Benevolo, doveva collegare tutto il quartiere anche attraverso la torre, era molto rumoroso per chi abitava negli appartamenti sotto perché non erano stati ben coibentati. All’inizio era solo di raccordo tra la chiesa e la scuola, doveva essere tutto un camminando, ma bambini e biciclette che corrono davano proprio fastidio. Siamo andati per avvocati chiedendone la chiusura. C’è stata un po’ di tensione però alla fine sono stati messi i cancelli. L’inizio è stato un momento difficile, dopo, anche lì, lo IACP è riuscito a individuare abbastanza correttamente chi doveva andare ad abitarci e quindi sono venute meno le tensioni, perché poi questo è un quartiere abitato all’80% da proprietari privati e quindi si è riuscito a controllare la cosa.
Noi abbiamo fatto sempre parte di organizzazioni al di fuori del quartiere. Quelli che non abitano qui, quando vengono a trovarci e gli proponiamo una passeggiata, scoprono i parchi che sono nascosti tra le case e poi: “ma guarda che bel parco!” Alle spalle di ogni grattacielo c’è un parco, “ma che bello! Sembra di essere in campagna!”. Quindi molti sono prevenuti e basta. Anche a livello di delinquenza c’è stato qualche passaggio strano, uno che vendeva droga nei pressi della cascina Aurora, secondo noi la Polizia è arrivata lì apposta, lo conoscevano tutti, perciò anche ai nostri figli dicevamo: “stai lontano da quello!”, arrivava, lo vedevi … ma dopo non c’è mai stato nulla di particolare. Era la paura che si aveva all’inizio per il palazzone poi anche lì si è sgonfiato tutto. Molti forse si spaventano per l’acciaieria, adesso ha i depuratori che all’epoca non aveva, si sentiva l’odore e poi vedevi il fumo, poi il comune ha obbligato a fare la collina con i depositi degli scavi vari, dopo una decina d’anni dall’inizio del quartiere, man mano che scavavano portavano il materiale di discarica lì, infatti, adesso non si vede più niente, poi è stato piantumato.
Raccolgono il libro, i fogli, scendiamo per le scale, arriviamo davanti a uno degli sportelli della biblioteca e Gianna tira fuori da quella sportina un album fotografico in cuoio, di quelli che usavano negli anni ‘80, e mi mostra le fotografie del suo matrimonio. Ammiro la chiesetta, mi soffermo su loro due, sulle loro chiome scure che oggi sono bianche, sull’orgoglio che ieri e oggi si legge sui loro volti per essere stati i primi a sposarsi nel mondo nuovo dove dal pantano sarebbero sorte case, palazzi, vie, chiese, parchi, sarebbero nati bambini. La vita che si spalanca davanti, con tutto quello che la parola vita rappresenta: gioia, fatica, amore e dolore, vittorie e sconfitte, la vita che devi costruire giorno dopo giorno, insieme.
Brescia, 25 luglio 2023