Autore: Giorgio Gregori

  • La Fabbrica – il Cotonificio Schiannini

    La Fabbrica
    Piccolo agglomerato così chiamato per la presenza del Cotonificio Schiannini a ridosso del Naviglio Cerca del quale utilizzava le acque per la produzione di elettricità. La cascina Pagani, la cascina Colombini e il cascinale abitato dalla numerosa famiglia Albini, dagli Scalvenzi, dagli Alberti e Piovanelli completavano il nucleo.

    Il cotonificio Schiannini ha rappresentato per lunghi anni il più importante centro dell’economia a S. Polo, pertanto è significativo conoscerne brevemente la storia, l’evoluzione, la decadenza.
    L’Avv. Giulio Schiannini (per i Sanpolesi che lo conoscono è Giancarlo) ha svolto un’interessantissima ricerca sullo sviluppo dell’industria tessile nel bresciano, quindi anche sul cotonificio di S. Polo, a partire dalla prima metà dell’Ottocento.
    Il cotonificio sorse nel 1847 ad opera di due imprenditori milanesi : Giovambattista Bianconi e Giorgio Leixel, che per primi uscirono dal comprensorio tessile milanese-varesotto-comasco, per volgere lo sguardo verso un territorio, quello bresciano, ricco di acqua (Oglio, Mella, Chiese, Naviglio Grande) e quindi di potenzialità motrice per le nuove macchine industriali. Essi acquistarono in S. Eufemia, località S. Polo, un’antica “razzica” (segheria), nella quale già dal Duecento­-Trecento, si lavorava il legno proveniente dal Trentino. La “razzica” sorgeva su un canale ricavato dal Naviglio Cerca, a sua volta canale secondario del Naviglio Grande Bresciano, le cui acque provenivano dal Chiese.
    Fu la “prima fabbrica bresciana”.
    “Non poteva infatti esser considerato un insieme di fabbriche il coacervo di laboratori nei quali si svolgeva ancora la produzione metallurgica e quella meccanica nelle valli, né le filande ad andamento stagionale sparse nella pianura o le piccole concerie attive alle porte di Brescia e le cartiere gestite, lungo il Toscolano ed il Garza, da una miriade di minuscoli imprenditori secondo i criteri della gestione familiare” (2).

    La fabbrica fu costruita nel 1848 ma non entrò mai in funzione a causa di eventi storici (prima guerra di indipendenza, “dieci giornate di Brescia”) ed una profonda crisi del settore a seguito di tali eventi.
    L’opificio destò l’attenzione da imprenditore di Ercole Lualdi, che fu a lungo deputato del neonato Parlamento italiano, e nel 1852 rilevò la fabbrica di moderna concezione, sia nella struttura, sia nei nuovi criteri di sfruttamento dell’energia elettrica, sia per la dotazione di moderne macchine svizzere, austriache ed inglesi tecnicamente all’avanguardia: due turbine muovono un albero che attraversa verticalmente l’intero edificio costruito su diversi piani; ad esso fa capo un sistema complesso di trasmissioni, una selva di ingranaggi, pulegge e cinghie che raggiunge ogni macchina e la anima (3). Inoltre era “posto in luogo opportunissimo per vicinanza alla città e abbondanza di acqua”(4). L’industriale volle immortalare l’immagine della fabbrica ed incaricò a tale compito il pittore Luigi Ashton. ll quadro di notevoli dimensioni è tuttora visibile nello studio dell’Avv. Giulio Schiannini.

    Purtroppo anche l’opera del Lualdi è destinata ad attraversare un grande periodo di congiuntura ed alla sua morte nel 1890 la fabbrica è chiusa da cinque anni.
    A questo punto fanno la loro comparsa i fratelli Schiannini (Giulio, Alberto, Luigi), che nel 1892 rilevano la fabbrica e danno nuovo impulso all’industria del cotone. Essi aprono nel 1902 un cotonificio anche a Ponte S. Marco e per alimentare la fabbrica scavano dal Chiese un canale, che porta il loro nome ed esiste tuttora: il Canale Schiannini. Al cotonificio era annessa un’officina elettrica, da cui partì nel 1907 una linea che servì per l’illuminazione pubblica di Brescia.

    Dissapori fra i fratelli portò alla divisione della proprietà nel 1927: Luigi ed Alberto ebbero assegnato il cotonificio di Ponte S. Marco, Giulio il cotonificio di S. Eufemia (in S. Polo). Il cotonificio ebbe anni di intensa attività fino al dopoguerra, occupando oltre un centinaio di lavoratori di S. Polo

    Lo sviluppo delle fabbriche nella campagna, con il conseguente sfruttamento delle acque, portò a diverse controversie con i contadini, con proteste, anche vivaci, da parte di questi ultimi.
    «La storia del cotonificio di S. Polo è accompagnata da una leggenda e, come affermava ancora negli anni trenta del novecento il proprietario del cotonificio ex Lualdi, non fu mai troncata. I grossi proprietari terrieri credevano che lo stabilimento non lasciasse defluire le acque, quindi nei mesi di fine estate e di scarsa portata mandavano i contadini alla fabbrica per reclamare le acque, sostenendo addirittura che l’acqua entrando nelle turbine “si schissava” (si schiacciava)(5) Nel dopoguerra iniziò un lento declino fino alla chiusura a metà degli anni sessanta. La proprietà dell’immobile, in parte, è tuttora della famiglia Schiannini e grazie al notevole carteggio ivi rinvenuto è stato possibile al Dott. Giulio ricostruire l’interessante storia della “Fabbrica”.

    Il portone di ingresso nel 2025 (foto Giorgio Gregori 2025)
    Vista dall’interno del cortile (foto Giorgio Gregori 2025)
    Il Naviglio Cerca che lambisce il lato est, diroccato (foto Giorgio Gregori 2025)
    Il lato est (foto Giorgio Gregori 2025)

    Testimonianze di
    Orsola Gafforini, Romanina e Fausta (Gina) Massardi, Angela Roversi, Giulia Copetta.

    La filatura del cotone seguiva un preciso percorso, che partiva dalla balla grezza al filo ritorto o al tessuto. Il cotone veniva ripulito dallo sporco nel battitoio e trasformato in garza bianca (striscia stirata), poi negli stiratoi trasformato in grosse morbide corde. Passava quindi nei filatoi, dove, dalle rocche su cui era avvolta, la grossa corda veniva rimpicciolita sempre più. C’era quindi il passaggio al “rinc” e qui il cotone veniva trasformato in fili sottili sui fusi e quindi sui ritorti, dove veniva data la diversa consistenza, oppure passava alle “aspe” per la trasformazione in matasse. In un altro reparto il filo veniva trasformato in tela lavorata (ad esempio in salviette). C’era pure il reparto tintura. Il lavoro non era particolarmente pesante, ma richiedeva costante attenzione. La polvere era un problema.

    Le testimoni ricordano come uscivano dalla filanda, al termine del turno, imbiancate dalla stessa, emessa dal cotone nella fase di lavorazione. L’unica protezione era una cuffia in testa, usata dalle donne, i cui lunghi capelli potevano impigliarsi nelle macchine.
    Altro problema serio era il freddo invernale. L’ambiente non era riscaldato, per non seccare ed indebolire il cotone mentre veniva lavorato. I proprietari fornivano comunque delle stufette per attenuare il freddo. La maggior parte del personale era composta da donne; i pochi uomini erano addetti soprattutto alla manutenzione dei macchinari ed impianti. Capitava anche che alcune lavoranti venissero chiamate a prestare servizio nella casa padronale, incarico accettato volentieri.
    I rapporti sindacali, per dirimere le questioni contrattuali con i titolari, si risolvevano solitamente senza contrasti e con reciproca soddisfazione. Il rapporto con i datori di lavoro era ottimo . Gli Schiannini erano sempre disponibili verso i dipendenti e non disdegnavano, specie negli ultimi tempi di crisi, di lavorare al loro fianco. In tale periodo spesso i dipendenti ricevevano solo un acconto per mancanza di liquidità da parte dell’impresa.
    I proprietari organizzavano frequentemente gite gratuite per i dipendenti (Genova, Madonna di Campiglio…). Ogni lavoratore aveva il proprio reparto ed il proprio turno e nessuno era invidioso dell’altro. Questo cementava il loro già buon rapporto. Gli uomini facevano spesso i “galletti” con le donne, ma senza esagerare.
    Fra tutti gli uomini le signore ricordano con particolare dolcezza Fausto Albini , persona di grande rettitudine, disponibilità e comprensione verso le donne.
    Un bel ricordo hanno anche dei figli dei datori: Giulio (conosciuto come Giancarlo), Alessandro e Romano, che spesso si intrufolavano fra le lavoranti con grande divertimento per tutti.
    In questo ambiente non sono mancati aneddoti divertenti.
    “Era morto il cagnolino della signora Carola Schiannini e Fausto Albini eseguì un vero e proprio funerale, trasportandolo alla sepoltura su una carriola, fra i pianti della signora”.
    “I fusi erano contenuti in grandi e profondi cassoni dai quali le lavoranti li prelevavano. Quando il cassone era quasi vuoto, capitava che un’operaia, nel chinarsi a prelevare i fusi, vi cadesse dentro a gambe levate, fra le risate delle compagne che andavano a prelevarla”.
    “Poteva capitare che a causa di un forte temporale l’elettricità improvvisamente venisse a mancare. Erano momenti di allegria e divertimento nell’attesa che gli addetti individuassero e riparassero il guasto, meglio se tardavano”.

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

    integrazione di Giorgio Gregori:

    Il cotonificio Schiannini si trovava in Via Canneto 11, nella località di Sant’Eufemia, Brescia. Anche se oggi è parte dell’area urbana, storicamente questa zona era vicina al quartiere San Polo. Il nome completo era : Filatura e ritorcitura cotone e lana Carlo Alberto Schiannini.

    Epoca di costruzione: Risale al 1860. L’edificio era strutturato attorno a un cortile chiuso su tre lati, tipico delle architetture industriali dell’epoca. Attualmente parte dell’edificio è stata ristrutturata e adibita ad abitazioni. La parte a est invece, che costeggia il Naviglio Cerca, è in rovina. Non sono riuscito ad individuare il punto del canale dove era la ruota di trasmissione. Ringrazio Guglielmo Pagani che durante il nostro colloquio mi ha chiarito vari dubbi.

    in questa immagine da Google Earth, è chiara la struttura dell’edificio, lambito sulla destra dal Naviglio Cerca. Nei pressi, il Laghetto Canneto, che fa parte del Parco delle Cave.

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    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • Le vie di comunicazione

    Il territorio di S. Polo confina a nord-ovest con via Foro Boario, a nord-est con S. Eufemia, a sud con Bettole e Castenedolo, ad ovest con Borgosatollo, Volta e Porta Cremona.


    La viabilità a San Polo fino agli inizi del secondo dopoguerra


    La strada principale, detta “lo stradone”, partiva dalla città e, tagliando a metà la frazione di San Polo, portava nel mantovano; la toponomastica la indicava appunto come via Mantova. Fiancheggiavano lo stradone i binari del tram che collegava Brescia a Montichiari. Altre strade erano la via Maggia, che portava alla frazione Volta; le vie Vittorio Arici e Fiorentini conducevano a Sant’Eufemia; Borgosatollo era raggiunto attraverso le vie Cadizzoni e Finiletto; alla località Fenarola portavano le vie Casotti e Lapidario, infine la via Ponte conduceva alla Campagna. Oltre a queste vie erano presenti altri sentieri o stradicciole di campagna utilizzate abitualmente per recarsi al lavoro nei campi e per gioiose passeggiate all’aria aperta. Ne citiamo alcune: il sentiero delle “montagne russe”, che dalla fine di via Ponte proseguiva fino alla chiesetta della Fusera; Il sentiero delle “masuchine” (fiori del croco), che dal fondo di via Chioderolo, coperto dagli alberi e ingentilito dal profumo dei fiori primaverili e dal mormorio della acque del vicino Naviglio, proseguiva fino alla Chiesa delle Gerole; la strada delle “ache” (vacche) che dal giardino dei “musigni” (frutti degli alberi di tasso), si inoltrava in un lungo viale alberato e terminava alla Chiesa di Buffalora in via San Benedetto; la via dei “discaric”, che dalla via Arici portava ai “discaric”, una chiusa sul Naviglio, che portava acqua al cotonificio Schiannini ed in estate era meta gradita ai ragazzi per i bagni.


    La viabilità oggi


    Nei nostri giorni S. Polo è collegato alla città dai diversi servizi pubblici, su vie di comunicazione efficienti e moderne. Alcune strade e sentieri sono scomparsi, per far strada a costruzioni e villaggi, altre sono rimaste, completamente cambiate per adeguarsi alle nuove esigenze. Rimane un po’ di nostalgia dei filari di platani che costeggiavano via Arici o di gelso della via Fiorentini, o degli ampi spazi prativi verso Brescia, ma il progresso ha un suo prezzo da pagare.

    1. Via S. Polo-Via Bettole (lo “stradone”)
      S. Polo è attraversato da nord a sud dalla via S. Polo poi via Bettole, la ex statale 236 Goitese (SS 236), oggi Strada Provinciale BS 236 nel bresciano, SP 236 nel mantovano. La ex SS 236 Goitese unisce le città di Brescia e Mantova. Essa venne realizzata agli inizi del XIX secolo da Napoleone Bonaparte, per favorire gli spostamenti delle truppe e dei carriaggi dalla fortezza di Mantova verso il nord e fu perciò chiamata Strada Napoleonica interprovinciale Mantova-Brescia. Dal 2001 la gestione della ex SS 236 è passata dall’ ANAS alla Regione Lombardia, che ha ulteriormente devoluto le competenze alle provincie di Brescia e Mantova. Non esistendo in Lombardia la classificazione di Strada Regionale, la ex SS 236 è diventata strada provinciale SP 236, con ulteriori denominazioni nei vari tratti (via S. Polo, via Bettole…).
    2. Via Lucio Fiorentini
      Dalla SP236 Goitese si snoda verso est fino al cimitero di S. Eufemia, attraversando le Case di S. Polo. La via è intitolata al Dottor Lucio Fiorentini, patriota legato al Comitato insurrezionale e combattente a Porta Torrelunga (oggi Piazzale Arnaldo) durante le “Dieci giornate” di Brescia dal 23 marzo al 1 aprile 1849.
      Nato a Vestone nel 1829, fu compagno d’infanzia di Tito Speri, con il quale partecipò alle dieci giornate citate, durante le quali salvò la vita ad alcuni feriti austriaci, che qualche facinoroso avrebbe voluto eliminare. Al termine della guerra di indipendenza del 1859 rientrò in patria dal Piemonte, in cui era esule. Dopo il 1859 la Lombardia, che fino a tale anno era parte del Regno Lombardo-Veneto sotto l’Austria, divenne parte del Regno d’Italia. Iniziò la sua carriera nell’amministrazione statale fino a diventare prefetto a Sassari nel 1882 ed a Bergamo 1885-1891. Nel 1901 fu nominato senatore, ma mori l’anno dopo, 1902.
    3. Via Vittorio Arici
      Dal centro di S. Polo storico, dalla SP Goitese, si snoda fino alle Case, intersecando la Via L. Fiorentini. La via è stata intitolata nel 1931 al benefattore Vittorio Arici di S. Eufemia, che lasciò l’immobile di sua proprietà, l’ex Palazzo Truzzi, alla Congregazione di carità di S. Eufemia con fini filantropici. Prima del 1931 la via portava il nome di “Strada comunale della Razzica” (“Rasega”). Infatti sul Naviglio Cerca o Resegotta, sorgeva una “razzica” (segheria), poi diventata mulino ed infine cotonificio (Schiannini). Il proprietario del cotonificio chiese che la via portasse il nome di Ercole Lualdi, il fondatore del cotonificio, forse la prima vera fabbrica bresciana, ma non ottenne il desiderata dal comune di Brescia, che nel frattempo si era annesso quello di S. Eufemia.
    4. Via Ponte
      Presso il ponte sul Naviglio, inizia la via Ponte, che dalla Goitese, attraversando il Borgo, si inoltra fra i campi verso sud, collegando il centro di S. Polo con le cascine e le cave oltre il Borgo. Come si può facilmente intuire, la via prende il nome dal ponte sul Naviglio posto sulla Goitese e da cui inizia la via stessa.
    5. Via Cadizzoni
      Dalla Goitese si inoltra da est ad ovest verso la campagna congiungendo il centro con le cascine fino alla località Gerole. Il nome “Cadizzoni” deriva da “Cà de Zoni” (casa degli Zoni) dal nome della famiglia Zoni, anticamente proprietaria della cascina omonima.
    6. Via Lapidario-Via Casotti
      Dalla via Ponte al Borgo si riuniscono per proseguire verso sud, congiungendo il centro con le varie cave di sabbia ed il Dancing “Paradiso”, fino ad incrociare la via Santi. Risalire all’origine della toponomastica di luoghi
      o vie, quando l’origine si perde nel tempo, è sempre molto difficile e spesso non v’è traccia documentaria di ciò. Si può ipotizzare per la denominazione “Lapidario” l’esistenza nei paraggi di una lavorazione di lapidi o simili. Dal medioevo, in special modo, ma già prima, i nomi di persone o luoghi facevano spesso riferimento al lavoro svolto da queste o alla loro provenienza o ad un patronimico (es.: Ferrari, coloro che lavoravano il ferro; Bresciani, che provenivano da Brescia; Alighieri, della famiglia di Alighiero; Cesari da Cesare; Casari che lavoravano il latte, dal latino “caseum” ecc.). La via Casotti fa supporre che nella zona esistessero casupole adibite a ricovero degli attrezzi contadini, se non addirittura, come più probabile, catapecchie (casotti) abitate da famiglie molto povere.
      Alle vie storiche di S. Polo, se ne sono aggiunte molte altre, con l’espandersi del centro abitativo ed il sorgere del villaggio “La Famiglia” (via Ostiglia, via Canneto, via Piadena …).
    7. Il tram a S. Polo
      Fino al 1952 per S. Polo passava la tramvia o semplicemente il “Tram”. La tramvia univa la città di Brescia con Castiglione delle Stiviere. Il tratto Brescia-Montichiari-Castiglione fu inaugurato il 25 giugno 1882. Nel 1911 fu costruito il tratto Montichiari-Carpenedolo-­Castiglione. La costruzione della tramvia non fu semplice; c’erano da superare diversi problemi: il livellamento del saliente Castenedolo, le frequenti esondazioni del Garza in zona S. Polo, il ponte sul Chiese a Montichiari. Le esondazioni del Garza creavano danni a tal punto che nel 1893 il Tribunale condannava l’amministrazione provinciale a pagare i danni alla belga Societé Anonyme, che gestiva la tramvia. Nel 1899 si innalzò la strada dall’imbocco per Mantova fino a S. Polo, rinforzando gli argini del Garza e risolvendo il problema delle esondazioni. Nel 1896 fu costruito il ponte sul Chiese a Montichiari.
      La tramvia funzionava con motrici a vapore fino al 1932. Tra il 1932 ed il 1934 fu installata la catenaria fra Brescia e Carpenedolo per l’impiego di elettromotrici. Verso gli anni ’30 del Novecento la tramvia Brescia-Mantova perse progressivamente interesse e fu gradualmente dismessa, tanto che dal 1932 funzionava solo il tratto Carpenedolo­Montichiari-Castenedolo-Brescia. Nel luglio del 1952 furono sospese anche le corse della Brescia-Carpenedolo ed i binari furono rimossi fra luglio ed ottobre dell’anno successivo.
    8. Mezzi di trasporto “speciali”. Nel dopoguerra era attivo a S. Polo il trasporto persone a mezzo autocarri, per lunghi tragitti. Il cassone di un autocarro, adibito solitamente al trasporto sabbia, veniva coperto da un telone e dotato di panche fissate alle pareti su cui sedevano i viaggiatori.
      Diventava un vero e proprio servizio trasporto persone ed era effettuato dai possessori di autocarri (i mitici “Dodge” eredità dell’esercito americano alla fine della seconda guerra mondiale, 1945).

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringraziano gli autori che ne hanno concessa la riproduzione.

  • Le vie d’acqua e i laghetti

    I corsi d’acqua più importanti che attraversano San Polo sono due: il Garza ed il Naviglio Cerca.

    In questa cartina del 1722 vengono evidenziate le vie d’acqua del bresciano. Il Naviglio inizia da Gavardo (Guardo) , arriva a Brescia passando tra S. Eufemia e S. Polo (S. Paolo) per poi affluire nell’Oglio a Canneto.


    Il Garza
    «Nasce nel Comune di Lumezzane, a circa metà strada fra Lumezzane ed Agnosine e percorre in successione la Val Bertone, la Valle del Garza, area di interesse storico che prende il nome dal corso d’acqua, e la Bassa Val Trompia. Attraversa i territori comunali di Caino, Nave e Bovezzo e, seguendo il percorso della Statale 237 del Caffaro, giunge fino a Brescia. Il torrente aggira il percorso delle antiche mura venete si allontana all’altezza di Canton Mombello per poi affiancare la Statale 236 Goitese e giungere presso il quartiere di S. Polo. Prosegue il suo percorso lungo l’alta pianura bresciana, attraversando i territori comunali di Borgosatollo, Castenedolo e Ghedi, dove si spaglia presso la località Santa Lucia (*). Fino al Cinquecento il Garza attraversava le vecchie mura medioevali lungo via S. Faustino, passando sotto la chiesa di S. Agata, ove si può osservare la traccia di un’arcata in mattoni: qui esisteva un porticciolo-attracco. Fra Cinquecento e Seicento furono costruite le mura venete ed il percorso del Garza fu deviato all’esterno delle nuove mura, corrispondente all’attuale attuale percorso.

    Il Naviglio
    «La struttura del Naviglio è molto complessa. Nonostante non vi siano soluzioni di continuità lungo tutto il percorso, il canale cambia notevolmente la sua morfologia per la ‘presenza di derivazioni secondarie che riducono o aumentano la sua portata. Le diverse denominazioni che il canale possiede lungo il suo cammino segnalano questi cambiamenti morfologici: Naviglio Grande Bresciano, Naviglio Cerca, Canale Naviglio, Naviglio S. Zeno, Naviglio Inferiore, Naviglio Isorella, Canale Naviglio (o seriola Aspiana) (*)
    Nei pressi di Canneto Sull’Oglio si immette nel fiume Oglio. Il suo percorso, dalla nascita a Gavardo all’immissione nell’Oglio a Canneto, è fatto di diramazioni, spagli, riunione di rogge in cui si era diviso, impoverimenti di portata e nuovi arricchimenti di portata, specie nella bassa pianura per opera dei fontanili.


    Naviglio Cerca
    Nasce a S. Eufemia da una diramazione del Naviglio Grande Bresciano ed è la parte che interessa S. Polo.

    In questa immagine da Google Earth, nel cerchio rosso ho evidenziato il punto nel quale a S. Eufemia si dirama il Naviglio Cerca.

    Da S. Eufemia prosegue per Sanpolino e S. Polo Vecchio toccando il cotonificio Schiannini alla Fabbrica, dividendosi poi in due tronconi presso il ponte di via Ponte: uno passando accanto alla via Chioderolo si immette nel Garza, ma prima si divide nel canale che, sottopassando il Garza tramite il “salt del gatt”, serviva il Mulino e poi la campagna delle Gerole e nei pressi di Piffione si spaglia nella campagna; l’altro troncone, la “Sampolä”, prosegue costeggiando la via Ponte (oggi è completamente coperto); sotto passa il Garza con un “salt del gatt”, simile a quello del Chioderolo, in località “Fontana” e si spaglia nella campagna di Borgosatollo. La località “Fontana”, al Borgo in via Ponte presso il ponte del Garza vicino alla Colombera, è così chiamata perché anticamente c’era una risorgiva, che dava acqua fresca e pura. Altri tempi, in cui le “surtie” (falde acquifere) eran poco profonde e non inquinate.

    Il “salt del gatt” è un sottopasso di un torrente ripetto a un altro. Esso è basato sul principio dei vasi comunicanti e consiste in un canale in cemento scavato sotto il letto di un altro torrente, lo attraversa riemergendo dalla parte opposta. Vale la pena ricordare che anticamente il canale Naviglio ed il torrente Garza erano navigabili da piccole imbarcazioni e chiatte, adibite al trasporto di merci e materiale (es.: la ghiaia dalla zona di S. Polo per la costruzione di edifici e mura della città).

    Nella immagine da Google Earth, in rosso il punto del “salt del gatt” in Via Chioderolo
    Il Naviglio Cerca (in primo piano) prima del “salt del gatt” si divide in due
    Il “salt del gatt”. In primo piano il Naviglio Cerca che riemerge dopo essere passato sotto il Garza. La cascata è quella parte del Naviglio che si getta nel Garza (la parte a destra nella foto precedente)
    Il Naviglio Cerca, riemerso dal “salt del gatt”, dopo pochi metri viene diviso per alimentare la ruota del mulino
    Il vecchio mulino di Via Chiodarolo, ormai in disuso.


    le Cave, i laghetti
    San Polo è la località dei “mille laghetti” per i numerosi specchi d’acqua formatisi dalla escavazione della sabbia utilizzata per le costruzioni edilizie.
    La sabbia, di cui il nostro sottosuolo è tanto ricco, è l’eredita dell’ultima azione di erosione dei fiumi dalle montagne, azione durata milioni di anni, che hanno portato alla formazione della Pianura Padana, di cui il nostro territorio fa parte.
    Anticamente l’escavazione avveniva con “pic e badìl”, cioè a mano ed il lavoro di escavazione era preceduto dal “disquarciare”, cioè dal togliere lo strato di terra che ricopriva, e ricopre, la ghiaia affinché non si mescolasse ad essa. Il lavoro di escavazione si fermava non appena si raggiungeva la “sortiif’ (falda acquifera).

    A partire dagli anni ’50 furono costruite le “draghe”. Carrelli d’acciaio venivano lasciati cadere dall’alto di una tramoggia sul fondo della cava e trainati da funi d’acciaio con carrucole situate sulla tramoggia, estraevano sabbia, lavata nel tragitto del carrello sott’acqua.

    Il nuovo impianto di escavazione F.lli Rezzola. In alto a destra l ‘impianto vecchio. Sotto: la cava Gaffurini (inserire le foto)
    Le prime imprese di escavazione furono quelle di Lino Bersini, Alghisi, Arici, Salvi, Leoni, “Paletä”, Gaffurini, Ottavio Rezzola …
    Oggi sono molte di più, molto più grandi e con impianti di escavazione ultramoderni: Stabiumi, Sergio Gaffurini, Franzoni, F.lli Rezzola … la lista sarebbe lunga.

    NOTE: (*) Tratto da: Wikipedia

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

  • Le alluvioni


    Il 1950 è tristemente ricordato per le disastrose alluvioni che colpirono il Polesine.
    Anche San Polo ebbe, purtroppo, il proprio Polesine con le alluvioni dell’ex cava di via Vittorio Arici e del Chioderolo, causate dall’esondazione del Naviglio e del Garza.

    Alluvione ex cava via Arici
    Ricordi di Primo Gaffurini
    “AI tempo lo via Arici era una strada sterrata di campagna, che si snodava fra due filari di alti alberi (soprattutto platani, ma anche olmi, ontani e salici) e delimitata da due canali irrigui (fossi). Seguendo un percorso, che rispecchia l’attuale, costeggiava nel tratto iniziale una vasta depressione, oggi quasi completamente occupata da abitazioni, che era una ex cava dismessa alla fine degli anni ’40. Persisteva una sola piccola cava, lo “draga” Alghisi, che funzionava con il carrello a fune, che dragava lo sabbia sotto il livello della falda acquifera, formando il caratteristico laghetto da cava, di cui era, ed è, costellato il suolo di San Polo. Allegato alla draga lo ditta Alghisi aveva anche un frantoio per lo produzione di bitume per l’asfalto delle strade. La cava si estendeva verso sud fino all’argine della “fossa”, un canale di derivazione dal Naviglio.
    A detta di molti, all’epoca, l’eccessiva vicinanza dell’escavazione all’argine, lo indebolì e fu concausa del disastro awenuto. La depressione si estendeva a sud della via Arici dalla casa dei Pagani (ramo del “Borgo”) fino alla casa dei Cantaboni. Fra queste due abitazioni ve n’erano poche altre: lo casa dei Ghidoni (oggi Zanoni), lo casa dei Gaffurini {Gino} e lo casa degli Spagnoletti.
    Tali abitazioni erano costruite sul fondo della depressione ed avevano lo parte abitata a livello della strada, tranne lo nostra casa (Gaffurini), abitata nella parte bassa perché non era ancora stato costruito il piano a livello strada.
    L’autunno del 1950 fu caratterizzato da piogge torrenziali, che provocarono l’esondazione di vari fiumi. Tra questi anche il Naviglio. In via Arici riversò le proprie acque nella depressione ex cava, iniziando ad erodere l’argine della “fossa”, finché, in piena notte, cedette e le acque del Naviglio invasero lo depressione. Quella notte, sotto una pioggia torrenziale, con il fosso passante davanti a casa che straripava creando un torrentello lungo lo rampa di accesso alla nostra abitazione e l’acqua del Naviglio che iniziava ad invadere lo casa, fummo costretti ad abbandonarla. Caricammo le nostre povere e poche masserizie sul “Dodge” di “Bigiolu” Cantaboni e ci rifugiammo dai nostri parenti. “
    Il giorno dopo agli occhi di chi passava in via Arici si presentava l’angosciante spettacolo di un lago su cui galleggiavano le cose non portate in salvo dalla nostra casa e dalle cantine delle altre abitazioni: tutta lo depressione era invasa da tre metri d’acqua. Solo dopo oltre un anno, riparato l’argine della “fossa”, potemmo ritornare a lavorare alla nostra casa per costruire il piano superiore. La “fossa”, il cui argine cedette, iniziava ad est del Cotonificio Schiannini, in località “discaric”, ove esisteva una chiusa che permetteva l’immissione dell’acqua del Naviglio nella “fossa” stessa. Essa alimentava turbine per lo produzione di energia elettrica per il Cotonificio e si ricongiungeva con il Naviglio poco oltre lo cava Alghisi.
    Nella striscia di terra compresa fra Naviglio e “fossa” sorgevano il Cotonificio, la “Fabbrica”, piccolo nucleo di abitazioni di buona parte degli operai del cotonificio e un terreno coltivato.

    “El salt del gatt” il “salto del gatto” inserire immagine
    Nella parte terminale della striscia di terra di mezzo si era formato un cuneo boschivo: “la cuä” (coda) o “Boschetta”, regno di giochi di noi ragazzi della via Arici. Vi si accedeva, per i più coraggiosi, tramite una “liana” volante formata da vecchi copertoni di bicicletta, appesa ad un albero. La “fossa” (larga circa due metri), si superava al volo aggrappati alla “liana’: Non erano infrequenti i bagni dovuti ad errato calcolo dello stacco. Il calcolo matematico si sperimentava anche così. Nella “boschetta” “Gino Gafurì” in autunno al momento della “pasadä” (passo, migrazione) degli uccelli, erigeva il suo capanno da caccia, la cui costruzione era demandata a noi ragazzi, con nostra grande soddisfazione!!.

    Allagamento Chioderolo
    Nello stesso periodo il Naviglio esondava anche al Chioderolo, piccolo agglomerato di case ad nord-est del Borgo che sorge proprio all’incrocio fra Garza e Naviglio. Prima del ponte sul Garza esisteva, ed esiste tuttora, un attraversamento a sifone “el salt del gatt” (salto del gatto), un sistema di comunicazione dei canali, basato sul principio dei vasi comunicanti. Il Naviglio confluisce nel Garza al Chioderolo. Pochi metri prima della confluenza si divide formando un canale che sotto passa il Garza, appunto “el salt del gatt”. Questo canale andava poi ad azionare la ruota del mulino delle famiglie Bandera.

    la ruota del mulino, ormai non funzionante (foto Giorgio Gregori 2025)

    Negli autunni molto piovosi Garza e Naviglio esondavano, allagando le vicine case, che erano ad un livello inferiore alla strada.
    Dalle memorie di Renato Lelio Saetti:
    “L’attuale sponda del Garza era molto più bassa dalla parte della nostra casa. Quando Garza e Naviglio esondavano lo nostra casa era invasa da oltre un metro d’acqua. Si cercava di fermarla chiudendo lo porta, ma lo forza era tale che lo sfondava irrompendo in casa con una violenza da far paura. Per ovviare a questi frequenti disastri, dapprima mio padre costruì davanti alla porta d’ingresso una chiusa con guarnizioni, che potesse resistere alla furia dell’acqua.

    La confluenza del Naviglio nel Garza al “salt del gatt” in Via Chiodarolo (foto Giorgio Gregori 2025)

    Il sistema funzionò in parte. All’interno si rimaneva isolati e si doveva buttar fuori a secchi l’acqua che si infiltrava, ma i danni erano meno rilevanti. Era poi costruita una passerella di assi e cavalletti, che dalla strada arrivava alle nostre finestre: attraverso questa passerella la gente ci portava gli alimenti, finché le acque del Garza, diminuendo di livello, defluivano dal brolo che circondava lo nostra casa.

    Più avanti negli anni innalzammo a spese nostre e delle famiglie Bandera, interessate dallo stesso preoccupante fenomeno, le sponde del Garza, ponendo fine all’angoscia che ci prendeva ad ogni autunno e, soprattutto, ai disagi e danni derivanti”

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

  • Il Palazzo del Mago

    Nel “palass del mago” un concentrato di storia
    di Don Angelo Cretti

    Al n. 255 di via S. Polo, si impone un palazzo rinascimentale; è inconfondibile, un 1500 puro con tutti i colonnati al posto giusto.
    A S. Polo il suo nome è uno solo, nessuno ne conosce un altro : “El Palass del Mago’.
    Uno dei tanti toponimi popolari, uscito forse da un banale fatto di contrada o da un nomignolo affibbiato a qualche residente un po’ eccentrico, o da qualcosa di più serio, chi lo sa?
    Comunque fino al Catasto Napoleonico portava il nome signorile di “S. Paolo” e pare conglobasse in una unica proprietà, anche la cascina gestita dai Lorini, altro complesso architettonico di grande interesse.
    Il Palazzo, con la attigua chiesetta, ha dato il nome al quartiere. S. Polo non è certamente derivazione del francese “Paul”, ma del veneziano “Polo”, come il classico Marco Polo; uno dei sestieri (quartieri) di Venezia porta ancora il nome S. Polo. In secondo luogo il complesso riassume tutta la storia del quartiere dal medioevo ad oggi.
    Il complesso congloba la chiesetta, prima parrocchiale di S. Polo, carica di una lunga storia, spesso travolta da vicende infelici. Oggi ridotta a ristorante, non conserva della sua struttura originale che alcuni resti medioevali sul cortile interno del palazzo ed un grazioso campanile rinascimentale.

    Analisi della facciata
    Ad uno sguardo superficiale della facciata risultano evidenti due elementi: un bel portale a finti conci ed un elegante portalino ornato da losanghe a taglio di diamante in botticino, sormontato da un grazioso poggiolo in botticino su mensole e ringhiera panciuta in ferro battuto. La struttura alta del palazzo presenta tre elementi degni di nota : uno spigolo ad intonaco imitante pietre intrecciate, i doccioni, miseri resti di antichi mostri in ferro battuto ed un elegante comignolo, tutto in perfetto stile rinascimentale.
    Ad uno sguardo più attento la facciata dice molto di più: innanzitutto era finita a malta fine, bianca, che emerge ancora in più punti sotto due o tre strati successivi di intonaci. In secondo luogo uno spigolo in medolo (spigolo nord), un portale romanico troncato sul lato destro dal portale cinquecentesco ed infine due screpolature verticali, segni delle successive fasi di costruzione. Partiamo dallo spigolo nord. Sempre più evidente, in seguito alle continue sbrecciature, appaiono i grossi medoli squadrati, legati a croce, che formano lo spigolo più antico della costruzione. Da qui parte il primo abitato per un tratto di circa 10 metri, con pietre vagamente a strati paralleli, appena visibili sotto gli intonaci.
    Esso comprende: il grosso spigolo a medoli incrociati, un grazioso portale con spalla in pietra, ghiera di mattoni e bardelloni, ma purtroppo troncato sul lato destro dal più evidente portale del ‘500.
    Tutto fa pensare all’XI secolo. Non va però dimenticato il piccolo resto di affresco a figure geometriche sullo stipite dell’arco romanico. A pochi metri a destra del grande portale del rinascimento, la prima screpolatura in senso verticale con tracce di spigolo in medoli intrecciati, probabilmente limite della prima costruzione.

    Seconda fase di costruzione
    La seconda fase di costruzione è databile tra il XIII ed il XIV secolo. Si estende in facciata per uno spazio di 4-5 metri, è interamente composta da pietre rotonde, ciotolo grosso di fiume, disposto a spina di pesce in strati paralleli ed una finestrella strombata dai contorni in mattone, oggi murata.

    Terza fase di costruzione
    Altra screpolatura indicante congiunzione di fabbricato e siamo alla terza fase di costruzione, quella preponderante. E’ la fase del 1500, con elegante portalino al centro e finte pietre agli spigoli.

    Il grande cortile interno
    Il cortile interno è occupato su tre lati da un porticato-magazzino formato da semi pilastri in un unico blocco di botticino scanditi a distanza regolare. Oggi un lato è adibito ad abitazione (nord), e due ad uso commerciale (ben restaurati fanno bella mostra di ciò che potrebbe diventare tutto il complesso, se si procedesse con saggezza al suo recupero). Il lato ovest corrispondente a via S. Polo è certamente il più importante: sette colonne scandiscono otto archi a tutto sesto con cornice di intonaco bianco e, verso l’ingresso principale, un’elegante lesena in botticino a conci sovrapposti, perfettamente squadrati, così regolari ed eleganti da richiamare il 1400.

    Tra il curioso e lo strano sono vari segni di croci uniti ai soliti graffiti di misura delle derrate alimentari, presenti sul solaio, cosa che fa dell’ambiente, secondo la gente, sicuramente un convento. Le stanze del piano nobile non presentano nulla di particolare, ampie ed alte, prendono accesso da un ampio loggione.
    Ma ancora una sorpresa, e non piccola, ci attende sul lato nord, evidentemente il più antico. Due costruzioni si affiancano per buona parte a distanza ravvicinatissima, 15-20 centimetri. La parte riguardante il palazzo è completamente diroccata, l’altra costituisce il muro meridionale della chiesetta di S. Paolo. In parte dal cortile, in parte tra le macerie, emergono sul fianco della chiesa i segni inconfondibili del medioevo : muro a strati paralleli di conci rozzamente squadrati e alternati da ciotolo grosso di fiume disposto a lisca di pesce e una porta mutila e murata composta da grossi medoli a formare spalletta ed architrave.

    La chiesetta è stata evidentemente raddoppiata in epoca successiva dalla parte absidale. Il lato est del palazzo sul brolo verso via Sabbioneta, ci riserva la bella facciata a capanna di stile non ben identificabile, con piccionaia murata, forse da collocare al medioevo, ma più facilmente al rinascimento.
    Dulcis in fundo, il lato sud, prospiciente via Ostiglia.
    Il porticato completamente restaurato e occupato da negozi, ci offre molto più di un semplice muro con pietre a vista. Nei pressi del portale ed a sinistra del medesimo fanno bella vista una finestrina ridottissima, 30×40, e una finestrella paralume in medolo, con elegante archetto, dimensioni 15×30 cm. Nella stanza interna corrispondente si notano un camino in legno e varie finestrelle porta oggetti triangolari, formate da tre mattoni giustapposti; purtroppo il restauro non li ha risparmiati.

    Conclusione
    Toponimo popolare a parte, “El Palass del Mago” costituisce il monumento architettonico più significativo del vecchio quartiere di S. Polo, ha dato il nome al quartiere e ne raccoglie tutta la storia dal medioevo ad oggi.
    N.B. l’articolo è stato redatto in momenti antecedenti l’attuale ristrutturazione esterna (n.d.r.).
    l. Il lato su via Ostiglia con i negozi


    1. L’angolo del vicolo che si dirige verso il deposito di bibite Morandi

    2. Finestrella porta oggetti

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

  • La storia di S. Polo dal punto di vista ecclesiastico

    dalla Enciclopedia Bresciana di Mons. Fappani (aggiornata al 1999) www.enciclopediabresciana.it

    Ecclesiasticamente il territorio appartenne fin dalle origini alla Pieve della Cattedrale di Brescia passando poi per destinazione del vescovo Landolfo II alle dipendenze del Monastero di S. Eufemia della Fonte e alla parrocchia da esso dipendente, acquistando dopo il trasferimento nel 1438 del monastero fra le mura della città per la distanza e per le cure prestate dalla popolazione, una certa autonomia.

    Così ad esempio l’8 maggio 1506 con suo testamento Bernardino Calzavacca lascia al monastero di S. Eufemia tutti i beni, case, mulino e diritti che ha sul territorio di S. Eufemia, nella contrada di S. Polo, con l’obbligo di dare 6 ducati al cappellano che nei giorni festivi è tenuto a celebrare le messe nella chiesa di S. Polo e 14 ducati ai “patroni” della chiesa. Nel 1566 gli Atti della visita del vescovo Bollani segnalano la Chiesa come “dotata” con beni provvisti dai Cavalcabò; nel 1568 viene citato un oratorium del Borgo di S. Eufemia sulla via per Castenedolo con un beneficio di 40-50 piò dovuto alla famiglia Cavalcabò di Viadana alla quale sono passati i beni del monastero e che con testamento del 28 agosto 1575 del nob. Bernardino (rogato dal notaio Pietro Trappa) fonda la Cappellania di S. Polo con l’obbligo della celebrazione quotidiana di una S. Messa. Quando la nob. Camilla Cavalcabò vendette ai Fratelli Rovetta i beni siti in contrada S. Polo e successivamente con la vendita di parte di detti beni fatta da Pietro Rovetta a Giulio e Giorgio Gagliardi (1633) rimase sempre l’obbligo della celebrazione della S. Messa, obbligo che venne assunto, dietro supplica dei Gagliardi, da parte dei Deputati del P.L. Ospitale dei Mendicanti detto Casa di Dio, che tuttora sussiste.

    Nel frattempo alla chiesa si interessano il 25 gennaio 1621 “molti e diversi gentiluomini et altri che possedono beni nella contrada di S. Polo, territorio di S. Eufemia i quali hanno desiderio di ivi fabricare una chiesa” oltre che adornarla e provvederla di paramenti. Per questo scopo aprivano una sottoscrizione Costanzo Chizzola, Girolamo e Silvio Barbera, Caterina e Lelia Zola (sorelle del Beato Giovanni Battista Zola, martire in Giappone), ecc. La chiesa verrà restaurata nel 1664 per iniziativa della “vicinia” come ricorda una lapide che dice «D.O.M. / AEDEM HANC DIVI PAVLI APOSTOLI NOMINE / DICATAM / DIVTVRNO ICTV TEMPORIS COLLABENTEM / AVGVSTINVS ZONVS PRESB. / AEMILIVS DE AEMILIIS ET / IO. ANTONIVS ZOLA / BRIXIANI CIVES / SINDICI / NOMINE AC SVMPTIBVS VICINIAE / RESTAVRARVNT / ANNO A DEO HOMINE MDCLXIV».

    La situazione religiosa si fa precaria nel sec. XVII a causa della distanza dalla parrocchia. Ma ciò nonostante, non manca il prete che dica messa, sebbene che il rettore di S. Eufemia vorrebbe che tutti i fedeli si recassero alla sua chiesa. Tuttavia gli atti delle visite pastorali attestano come i coadiutori siano di solito diligenti ed esemplari.

    Passati nel 1797 i beni del Monastero all’Ospedale Maggiore di Brescia nel 1804 la chiesa, sempre sussidiaria di S. Eufemia, pur mantenuta dalle spontanee oblazioni e amministrata dai cittadini Francesco Landi, Giuseppe Dusi, Paolo Roversi e Paolo Alberti era di “juspatronato della contrada medesima” mentre il Pio Luogo della Casa di Dio vi manteneva un cappellano. La chiesa inoltre era sempre dotata di una cappellania. Alle Case di S. Polo (100 anime circa) la chiesa di S. Girolamo era invece di giuspatronato della famiglia Trussi che pure vi manteneva un cappellano.

    Della grave situazione di S. Polo riguardo all’assistenza religiosa (due abitanti erano morti senza sacramenti) si faceva carico perfino il sindaco di S. Eufemia che il 18 ottobre 1890 ne scriveva al vescovo ricevendo in risposta dal provicario generale che nessun candidato è disposto ad andare a San Polo, a quei tempi senza elettricità né acqua corrente, e con poca congrua, ed avere a che fare con fedeli zotici e poveri, i quali durante i lavori agricoli disertano massicciamente le funzioni e anche le scuole. Nel frattempo un sacerdote, don Franco Desideri, si presta a celebrare una messa nei giorni festivi a San Polo. Nel gennaio dell’anno successivo, l’amministrazione degli Orfanotrofi e delle Pie Case di ricovero, nell’intento di trovare qualcuno disposto a fare da cappellano, stabilisce (27 gennaio 1890) che il cappellano possa – a sue spese – chiedere all’autorità ecclesiastica la riduzione, per il tempo nel quale sarà a San Polo, delle messe da 300 da celebrarsi annualmente a sole 80, comprese però tutte le festive. In sostanza, un servizio a part-time con grave nocumento per gli abitanti. Ma anche così non si troveranno candidati per lungo tempo. Pur ormai praticamente autonoma la chiesa viene indicata (1914, 1938 ecc.) e sempre citata come sussidiaria di S. Eufemia della Fonte.

    Il vero risveglio religioso e anche sociale si ebbe con la nomina a curato nel 1946 di don Luigi Barberis. Attivissimo, egli costruì per primo il cinema-teatro parrocchiale cui fece seguito la costruzione razionale dell’oratorio maschile e femminile fornito di tutte le più moderne attrezzature sportive ivi compreso il campo sportivo. Nei locali dell’oratorio nacque la Società Sportiva “Ardens” voluta da don Luigi che creò contemporaneamente una valente compagnia filodrammatica. Accanto all’oratorio volle un magnifico ritrovo Acli, l’abitazione del curato e varie sale per le opere oratoriane e dell’Azione Cattolica. Poste in tal modo le premesse, S. Polo venne eretta in parrocchia autonoma mentre nel 1959-1960 su progetto dell’arch. Antonio Zampini veniva eretta la nuova chiesa parrocchiale già postulata nel 1924.

    LA VECCHIA CHIESA PARROCCHIALE ricostruita alla metà del ‘600 era ad una sola navata, con portale in marmo. Di notevole interesse artistico, vi era l’altar maggiore con tabernacolo del sec. XVII, in marmo con intarsio, nel cui paliotto era raffigurato San Paolo sbalzato da cavallo. La soasa, semplice ed elegante, incorniciava una bella pala, opera firmata da Antonio Gandino (1599), che rappresentava in alto la B.V.M. col Bambino, alla cui sinistra – poco sotto – si vedeva S. Antonio di P. in atto di adorazione. In piano, vi era S. Paolo, S. Pietro e S. Fermo. Tra l’altare e la pala, in tre piccole custodie con antelli scolpiti in legno, del sec. XVII, erano custodite le S.S. Reliquie. L’altare laterale, a sinistra di chi entrava presso l’altar maggiore in marmo, del ‘600, era dedicato alla nascita di Gesù. La pala era più antica e ricordava molto la venerata effigie della B.V.M. delle Grazie di Brescia. Molto in alto vi era una piccola nicchia con affresco che rappresenta la Madonna. Costruita la nuova chiesa, la vecchia venne smantellata: l’altare maggiore venne ceduto alla chiesa di Cecina di Toscolano; quello della Madonna alla parrocchiale di Cadignano, la pala dell’altare maggiore rimase in parrocchia.

    CHIESA NUOVA. Dedicata alla Conversione di S.Paolo. Eretta nel 1960, ad unica navata, ha nella linea ogivale che si eleva snella l’elemento caratterizzante. E questa verticalità si riproduce all’interno. Oltre l’altare “che è una gran coppa di onice del Pakistan, effondono una particolare atmosfera di colore le lastre trasparenti di un marmo rosa del Portogallo; di Mario Gatti, scultore, è lo sportello del tabernacolo: unico rimarchevole ornamento”. Il 27 gennaio 1985 veniva benedetta la grande pala (m. 14×6), opera di Oscar Di Prata.

    S.S. PIETRO e PAOLO, via Canneto. Eretta nel sec. XVI-XVIII nell’angolo meridionale di via Fusera. Ha, come sottolinea Riccardo Lonati, «facciata ravvivata da marmoreo portalino, e da vicino ciuffo di alberi; la trabeazione è ornata da croce di ferro e, nello sfondo, da pittoresco campaniletto a vela. Rettangolare l’aula con volta a botte suddivisa da lieve arco innestato sulle lesene alle pareti laterali. Di marmi versicolori e di semplici linee il superstite altare, sul quale permane la cornice sagomata in stucco dov’era la pala dedicata ai Patroni; pala trasferita altrove nel 1956, quando l’azienda agricola e la cappella, da tempo disusata, sono state acquistate dai fratelli Zubani».

    S. GAETANO alle CASE. Eretta nel sec. XVIII, nei primi decenni dell’800 era proprietà dei Valotti.

    S. GIOVANNI BATTISTA, appartiene alla famiglia Zola.

    Alla cascina Maggia esiste in via Fura Maggia una chiesa settecentesca. Tutta dipinta all’interno venne malamente restaurata nell’800 e di nuovo nel 1981. Di proprietà dei Martinengo venne venduta al Comune di Brescia che ne restaurò l’esterno.

    Lo sviluppo urbanistico ed edilizio del territorio di S. Polo ha richiesto il radicamento, nel quartiere di San Polo Nuovo, di nuove comunità parrocchiali: quella di S. Luigi Gonzaga, di S. Angela Merici e quella delle S.S. B. Capitanio e V. Gerosa.

    Parrocchia delle SANTE BARTOLOMEA CAPITANIO e VINCENZA GEROSA, via Botticelli, 5.

    È la prima in ordine di tempo delle tre parrocchie sorte nel quartiere di San Polo nuovo a Brescia. Istituita nel 1978, fu affidata a don Palmiro Crotti ed ospitata presso l’Istituto delle Suore di S. Maria Bambina in via Mantova.

    La prima pietra venne posta il 2 ottobre 1983. La chiesa, costruita dalla ditta geom. Franco Donati su progetto dell’ing. Giovanni Minelli e dell’arch. Alberto Viganò, fu ultimata nel 1984, inaugurata il 24 dicembre dal vescovo mons. Foresti e dedicata in forma ufficiale alle due Sante il 26 settembre 1993.

    Rettangolare, ad una navata, ha il presbiterio sopraelevato, sulla cui parete di fondo spiccano le statue in legno raffiguranti il “Crocifisso” e le “Sante Capitanio e Gerosa” in adorazione, scolpite dai Poisa. Sempre della bottega di Francesco e Giuseppe Poisa sono la colonna portalampada del Santissimo, le colonnine con angeli oranti che sostengono la sacra mensa, le stazioni della Via Crucis e la statua della Madonna collocata sull’altare della cappella invernale che affianca la navata. Le otto vetrate circolari che illuminano la navata, raffiguranti le “Opere di Misericordia”, il “Duomo di Brescia”, il “Santuario di Lovere” sono state realizzate dalla ditta Poli di Verona, su disegno di Augusto Ghelfi che è autore anche dei disegni della vetrata in controfacciata che raffigura le Sante Capitanio e Gerosa, eseguita dalla ditta Gibo di S. Giovanni Lupatoto. All’ingresso vi è una “Pietà” in terracotta patinata color bronzo, opera di Federico Severino. Il complesso parrocchiale è completo di canonica, oratorio e campo sportivo.

    Parrocchia di S. LUIGI GONZAGA, via Carpaccio 28.

    È la seconda parrocchia sorta a “San Polo Nuovo”. Istituita nel 1980, fu affidata a don Fortunato Patroni. Il complesso della nuova chiesa e delle opere parrocchiali fu realizzato tra il 1980 ed il 1990 dalla ditta Lombardi di Rezzato su progetto degli architetti Luigi Fasser e Dario Mettifogo. La prima pietra della parrocchia venne posta il 21 giugno 1981.

    Nel 1981-82 venne realizzato un salone adibito provvisoriamente a chiesa, utilizzato poi come sala riunioni. Nel 1983-85 furono costruiti l’oratorio, inaugurato il 7 ottobre 1984, e la canonica ed infine il 18 maggio 1989 venne posta la prima pietra della nuova chiesa parrocchiale dedicata a S. Luigi Gonzaga, a ricordo del vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini.

    La nuova chiesa è a pianta circolare con soffitto a capanna realizzato in legno. Il presbiterio, di forma semicilindrica, si stacca dal perimetro dell’aula e si eleva sopra la copertura. Sulla parete vi è un “Crocifisso” dipinto, opera di Renato Laffranchi (1990). Ai lati del presbiterio vi sono il tabernacolo e il fonte battesimale. Vi è poi la cappella dedicata alla Madonna, con la statua della “Vergine col bambino” eseguita da religiose di un istituto milanese. In centro alla facciata della chiesa vi è una vetrata a forma di croce. Al sagrato, sopraelevato dal piano stradale, si accede passando sotto un portale in cemento. La chiesa venne consacrata il 25 ottobre 1990 dal vescovo mons. Foresti, nel IV centenario della morte di S. Luigi Gonzaga e dedicata al santo nel novembre 1999.

    La parrocchia di S. Angela Merici, Via Cimabue 271

    in attesa di realizzare una pagina apposita, vedi il sito https://www.santangelamerici.org/

    La Chiesa

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • La metropolitana a San Polo, da Via Volta a Via Fiorentini

    Un estratto da un opuscolo del Comune di Brescia, anno da definire . Si ringrazia Maurizio Frassi per la collaborazione nelle ricerche d’archivio.

    Non tutto è stato semplice…chi si ricorda del “bruco”? e poi…sovrappassi sottopassi?

    Hai riscontrato inesattezze, vuoi approfondire qualche tema, hai altre immagini? Lasciaci un commento a memoriasanpolo@gmail.com, Grazie!

  • Altri fatti luttuosi a San Polo

    1 aprile 1954. Caduta aereo da caccia
    Quattro aerei da caccia dell’aereobase militare di Ghedi sorvolano il cielo di San Polo in formazione per un’esercitazione. Improvvisamente due aerei vengono a contatto: è la tragedia. Uno dei due riesce fortunosamente a rientrare alla base, mentre l’altro precipita, schiantandosi contro un traliccio dell’alta tensione vicino alla cava Bersini, sulla vecchia “strada de le ache”. Un’alta colonna di fumo è visibile da molto lontano e richiama molte persone a vedere cosa è successo.
    Per il pilota Sottotenente Carlo Bisson di 25 anni, era infatti nato il 2-11-1929, è la fine. Il suo aereo si disintegra, spargendo rottami nei campi circostanti.

    A ricordo dell’episodio, sotto il traliccio ricostruito, fu eretto un cippo in pietra, rappresentante un’ala spezzata su base quadrata con foto del pilota. Purtroppo il piccolo monumento ora giace in uno stato di assoluto abbandono, invaso da rovi, erbacce, rami e fogliame.
    3 giugno 1960. Anno “horribilis”. Dario
    di Primo Gaffurini
    “La cava Alghisi fu dismessa nella seconda metà degti anni ’50 e le “mòte” (cumuli di ghiaia) ed il laghetto divennero luoghi di ritrovo dei ragazzi. Purtroppo il laghetto divenne un tragico luogo di giochi: un tristissimo 3 giugno del 7960 l’amico Dario Rossi di anni 74 vi annegò. Era da tempo che giocavamo con una vecchia camera d’aria da camion gonfiata ed usata come canotto. Mi chiedo spesso perché a lui e non a me. Un giorno mentre “navigavo” sul canotto rischiai di ribaltarmi; non so come mi sono salvato, ma giunto a riva giurai a me stesso che non vi sarei mai più salito. Due giorni dopo, mentre tornavo in pulmino da scuola, appresi lo tragica notizia. Mentre Dario “navigava” sul canotto, a causa di un brusco movimento, questi gli sfuggì da sotto ed egli sprofondò nelle acque del laghetto senza possibilità di salvezza, non sapeva nuotare, sotto gli occhi impietriti ed impotenti di alcuni compagni. Fu ripescato dopo 48 ore. Per lungo tempo il pensiero della sua scomparsa mi angosciò. Costruii una croce col suo nome e lo piantai sul luogo ove Dario era annegato. Spesso lo sera al buio mi sedevo sul bordo del laghetto a conversare mentalmente con lui. Quando, sposato, ebbi il primo figlio nessuno si sognò di suggerirmi nomi, nemmeno mia moglie.
    Come si sarebbe chiamato era ovvio: Dario. Ancora oggi a 66 anni, quando penso a lui o vado a fargli visita al cimitero, non vedo un ragazzino di 74 anni, ma “il mio amico Dario”.
    19 giugno. Franco
    del fratello Giulio Zani
    Nel laghetto della cava “Stabiumi”, in via Ponte, un gruppo di amici costruisce uno zatterone e si inoltra sulle acque per pescare. Ad un certo punto Franco Zani, classe 1939, si tuffa per fare un bagno. Le correnti di acqua fredda gli provocano una congestione che gli è fatale: verrà ripescato dai sommozzatori di Bergamo dopo 48 ore, come Dario pochi giorni prima. Franco lascia la moglie con una bimba di circa 10 mesi. Questi specchi d’acqua erano un’attrattiva irresistibile per i giovani, ma hanno preteso un tributo tragico.

    4 maggio 1961. Giambattista Doninelli
    Era un giovane mezzadro della fattoria Bersini e spesso dopo pranzo, prima di riprendere il lavoro nei campi, si avvicinava al laghetto per avvistare le carpe da catturare. Il 4 maggio di quell’anno gli fu fatale: non vi sono stati testimoni nella dinamica di quanto accaduto, ma poche ore dopo sul bordo del laghetto della cava, furono trovate solo le sue scarpe. Il corpo dello sfortunato contadino fu ripescato dalle acque solo dopo parecchie ore, al pari di quanti prima di lui, pagarono un tributo troppo pesante all’attrattiva di quei laghetti.

    Gli infortuni mortali
    Non vanno dimenticati coloro che hanno lasciato la loro vita sul lavoro all’acciaieria Alfa, in un tipo di lavoro nel quale il dramma poteva, e può, in ogni momento materializzarsi: Bettinzoli, Beretti, Bonera … per fare solo alcuni nomi. Anche lo “stradone”, arteria cruciale fra Brescia e Mantova, lungo l’attraversamento del centro di S. Polo ha preteso nell’arco degli anni numerose vittime, per la maggior parte ragazzetti o giovani.

  • Nasce il quartiere di San Polo: il dibattito sulla stampa locale

    di Giorgio Gregori

    Riportiamo una interessante selezione degli articoli apparsi sui quotidiani “Il Giornale di Brescia” e “Bresciaoggi” nel periodo 1974-1979, che ben illustrano il vivace dibattito intorno alla costruzione del nuovo quartiere.
    Il 17 maggio 1974 l’architetto Benevolo illustra il progetto che si inserisce nel nuovo piano regolatore di Brescia. Inizia il dibattito pubblico, stimolato in particolare dall’intervento dell’arch. Fedrigolli, contrario al progetto.
    Seguono poi vari contributi. Il 9 gennaio 1977 l’arch. Benevolo risponde alle varie critiche, il dibattito prosegue fino a quando l’Assessore Bazoli interviene ulteriormente sul progetto del piano regolatore.
    Il via ufficiale alla costruzioni potrebbe essere datato 30 giugno 1977, con l’articolo “il quartiere di San Polo si farà”, a seguito del finanziamento della Regione.

    ringrazio Gianpaolo Mantovani che ha fornito i giornali dell’epoca

  • 1980-1990 San Polo Nuovo.La Parrocchia di S. Luigi Gonzaga

    di Giorgio Gregori

    Inaugurazione Nuova Chiesa Parrocchia
    di S. Luigi Gonzaga 25 Novembre 1990

    Questo volumetto raccoglie la storia del nuovo quartiere di San Polo a Brescia e in particolare della Parrocchia di S. Luigi Gonzaga. La nuova chiesa è stata costruita nel 1990 e consacrata nel 1999, in Via Carpaccio 28 a Brescia, quartiere San Polo Parco.

    E’ molto interessante per conoscere come si evolve la creazione di una comunità, come inizialmente per le funzioni sono utilizzate varie sale e salette concesse o prese in prestito.
    Ci sono anche i piani dettagliati della nuova Chiesa.

    grazie a Silvia Maestri e Gianpaolo Mantovani per la collaborazione

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