Tag: Coltiviamo la memoria

  • Le vie di comunicazione

    Il territorio di S. Polo confina a nord-ovest con via Foro Boario, a nord-est con S. Eufemia, a sud con Bettole e Castenedolo, ad ovest con Borgosatollo, Volta e Porta Cremona.


    La viabilità a San Polo fino agli inizi del secondo dopoguerra


    La strada principale, detta “lo stradone”, partiva dalla città e, tagliando a metà la frazione di San Polo, portava nel mantovano; la toponomastica la indicava appunto come via Mantova. Fiancheggiavano lo stradone i binari del tram che collegava Brescia a Montichiari. Altre strade erano la via Maggia, che portava alla frazione Volta; le vie Vittorio Arici e Fiorentini conducevano a Sant’Eufemia; Borgosatollo era raggiunto attraverso le vie Cadizzoni e Finiletto; alla località Fenarola portavano le vie Casotti e Lapidario, infine la via Ponte conduceva alla Campagna. Oltre a queste vie erano presenti altri sentieri o stradicciole di campagna utilizzate abitualmente per recarsi al lavoro nei campi e per gioiose passeggiate all’aria aperta. Ne citiamo alcune: il sentiero delle “montagne russe”, che dalla fine di via Ponte proseguiva fino alla chiesetta della Fusera; Il sentiero delle “masuchine” (fiori del croco), che dal fondo di via Chioderolo, coperto dagli alberi e ingentilito dal profumo dei fiori primaverili e dal mormorio della acque del vicino Naviglio, proseguiva fino alla Chiesa delle Gerole; la strada delle “ache” (vacche) che dal giardino dei “musigni” (frutti degli alberi di tasso), si inoltrava in un lungo viale alberato e terminava alla Chiesa di Buffalora in via San Benedetto; la via dei “discaric”, che dalla via Arici portava ai “discaric”, una chiusa sul Naviglio, che portava acqua al cotonificio Schiannini ed in estate era meta gradita ai ragazzi per i bagni.


    La viabilità oggi


    Nei nostri giorni S. Polo è collegato alla città dai diversi servizi pubblici, su vie di comunicazione efficienti e moderne. Alcune strade e sentieri sono scomparsi, per far strada a costruzioni e villaggi, altre sono rimaste, completamente cambiate per adeguarsi alle nuove esigenze. Rimane un po’ di nostalgia dei filari di platani che costeggiavano via Arici o di gelso della via Fiorentini, o degli ampi spazi prativi verso Brescia, ma il progresso ha un suo prezzo da pagare.

    1. Via S. Polo-Via Bettole (lo “stradone”)
      S. Polo è attraversato da nord a sud dalla via S. Polo poi via Bettole, la ex statale 236 Goitese (SS 236), oggi Strada Provinciale BS 236 nel bresciano, SP 236 nel mantovano. La ex SS 236 Goitese unisce le città di Brescia e Mantova. Essa venne realizzata agli inizi del XIX secolo da Napoleone Bonaparte, per favorire gli spostamenti delle truppe e dei carriaggi dalla fortezza di Mantova verso il nord e fu perciò chiamata Strada Napoleonica interprovinciale Mantova-Brescia. Dal 2001 la gestione della ex SS 236 è passata dall’ ANAS alla Regione Lombardia, che ha ulteriormente devoluto le competenze alle provincie di Brescia e Mantova. Non esistendo in Lombardia la classificazione di Strada Regionale, la ex SS 236 è diventata strada provinciale SP 236, con ulteriori denominazioni nei vari tratti (via S. Polo, via Bettole…).
    2. Via Lucio Fiorentini
      Dalla SP236 Goitese si snoda verso est fino al cimitero di S. Eufemia, attraversando le Case di S. Polo. La via è intitolata al Dottor Lucio Fiorentini, patriota legato al Comitato insurrezionale e combattente a Porta Torrelunga (oggi Piazzale Arnaldo) durante le “Dieci giornate” di Brescia dal 23 marzo al 1 aprile 1849.
      Nato a Vestone nel 1829, fu compagno d’infanzia di Tito Speri, con il quale partecipò alle dieci giornate citate, durante le quali salvò la vita ad alcuni feriti austriaci, che qualche facinoroso avrebbe voluto eliminare. Al termine della guerra di indipendenza del 1859 rientrò in patria dal Piemonte, in cui era esule. Dopo il 1859 la Lombardia, che fino a tale anno era parte del Regno Lombardo-Veneto sotto l’Austria, divenne parte del Regno d’Italia. Iniziò la sua carriera nell’amministrazione statale fino a diventare prefetto a Sassari nel 1882 ed a Bergamo 1885-1891. Nel 1901 fu nominato senatore, ma mori l’anno dopo, 1902.
    3. Via Vittorio Arici
      Dal centro di S. Polo storico, dalla SP Goitese, si snoda fino alle Case, intersecando la Via L. Fiorentini. La via è stata intitolata nel 1931 al benefattore Vittorio Arici di S. Eufemia, che lasciò l’immobile di sua proprietà, l’ex Palazzo Truzzi, alla Congregazione di carità di S. Eufemia con fini filantropici. Prima del 1931 la via portava il nome di “Strada comunale della Razzica” (“Rasega”). Infatti sul Naviglio Cerca o Resegotta, sorgeva una “razzica” (segheria), poi diventata mulino ed infine cotonificio (Schiannini). Il proprietario del cotonificio chiese che la via portasse il nome di Ercole Lualdi, il fondatore del cotonificio, forse la prima vera fabbrica bresciana, ma non ottenne il desiderata dal comune di Brescia, che nel frattempo si era annesso quello di S. Eufemia.
    4. Via Ponte
      Presso il ponte sul Naviglio, inizia la via Ponte, che dalla Goitese, attraversando il Borgo, si inoltra fra i campi verso sud, collegando il centro di S. Polo con le cascine e le cave oltre il Borgo. Come si può facilmente intuire, la via prende il nome dal ponte sul Naviglio posto sulla Goitese e da cui inizia la via stessa.
    5. Via Cadizzoni
      Dalla Goitese si inoltra da est ad ovest verso la campagna congiungendo il centro con le cascine fino alla località Gerole. Il nome “Cadizzoni” deriva da “Cà de Zoni” (casa degli Zoni) dal nome della famiglia Zoni, anticamente proprietaria della cascina omonima.
    6. Via Lapidario-Via Casotti
      Dalla via Ponte al Borgo si riuniscono per proseguire verso sud, congiungendo il centro con le varie cave di sabbia ed il Dancing “Paradiso”, fino ad incrociare la via Santi. Risalire all’origine della toponomastica di luoghi
      o vie, quando l’origine si perde nel tempo, è sempre molto difficile e spesso non v’è traccia documentaria di ciò. Si può ipotizzare per la denominazione “Lapidario” l’esistenza nei paraggi di una lavorazione di lapidi o simili. Dal medioevo, in special modo, ma già prima, i nomi di persone o luoghi facevano spesso riferimento al lavoro svolto da queste o alla loro provenienza o ad un patronimico (es.: Ferrari, coloro che lavoravano il ferro; Bresciani, che provenivano da Brescia; Alighieri, della famiglia di Alighiero; Cesari da Cesare; Casari che lavoravano il latte, dal latino “caseum” ecc.). La via Casotti fa supporre che nella zona esistessero casupole adibite a ricovero degli attrezzi contadini, se non addirittura, come più probabile, catapecchie (casotti) abitate da famiglie molto povere.
      Alle vie storiche di S. Polo, se ne sono aggiunte molte altre, con l’espandersi del centro abitativo ed il sorgere del villaggio “La Famiglia” (via Ostiglia, via Canneto, via Piadena …).
    7. Il tram a S. Polo
      Fino al 1952 per S. Polo passava la tramvia o semplicemente il “Tram”. La tramvia univa la città di Brescia con Castiglione delle Stiviere. Il tratto Brescia-Montichiari-Castiglione fu inaugurato il 25 giugno 1882. Nel 1911 fu costruito il tratto Montichiari-Carpenedolo-­Castiglione. La costruzione della tramvia non fu semplice; c’erano da superare diversi problemi: il livellamento del saliente Castenedolo, le frequenti esondazioni del Garza in zona S. Polo, il ponte sul Chiese a Montichiari. Le esondazioni del Garza creavano danni a tal punto che nel 1893 il Tribunale condannava l’amministrazione provinciale a pagare i danni alla belga Societé Anonyme, che gestiva la tramvia. Nel 1899 si innalzò la strada dall’imbocco per Mantova fino a S. Polo, rinforzando gli argini del Garza e risolvendo il problema delle esondazioni. Nel 1896 fu costruito il ponte sul Chiese a Montichiari.
      La tramvia funzionava con motrici a vapore fino al 1932. Tra il 1932 ed il 1934 fu installata la catenaria fra Brescia e Carpenedolo per l’impiego di elettromotrici. Verso gli anni ’30 del Novecento la tramvia Brescia-Mantova perse progressivamente interesse e fu gradualmente dismessa, tanto che dal 1932 funzionava solo il tratto Carpenedolo­Montichiari-Castenedolo-Brescia. Nel luglio del 1952 furono sospese anche le corse della Brescia-Carpenedolo ed i binari furono rimossi fra luglio ed ottobre dell’anno successivo.
    8. Mezzi di trasporto “speciali”. Nel dopoguerra era attivo a S. Polo il trasporto persone a mezzo autocarri, per lunghi tragitti. Il cassone di un autocarro, adibito solitamente al trasporto sabbia, veniva coperto da un telone e dotato di panche fissate alle pareti su cui sedevano i viaggiatori.
      Diventava un vero e proprio servizio trasporto persone ed era effettuato dai possessori di autocarri (i mitici “Dodge” eredità dell’esercito americano alla fine della seconda guerra mondiale, 1945).

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringraziano gli autori che ne hanno concessa la riproduzione.

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • Le vie d’acqua e i laghetti

    I corsi d’acqua più importanti che attraversano San Polo sono due: il Garza ed il Naviglio Cerca.

    In questa cartina del 1722 vengono evidenziate le vie d’acqua del bresciano. Il Naviglio inizia da Gavardo (Guardo) , arriva a Brescia passando tra S. Eufemia e S. Polo (S. Paolo) per poi affluire nell’Oglio a Canneto.


    Il Garza
    «Nasce nel Comune di Lumezzane, a circa metà strada fra Lumezzane ed Agnosine e percorre in successione la Val Bertone, la Valle del Garza, area di interesse storico che prende il nome dal corso d’acqua, e la Bassa Val Trompia. Attraversa i territori comunali di Caino, Nave e Bovezzo e, seguendo il percorso della Statale 237 del Caffaro, giunge fino a Brescia. Il torrente aggira il percorso delle antiche mura venete si allontana all’altezza di Canton Mombello per poi affiancare la Statale 236 Goitese e giungere presso il quartiere di S. Polo. Prosegue il suo percorso lungo l’alta pianura bresciana, attraversando i territori comunali di Borgosatollo, Castenedolo e Ghedi, dove si spaglia presso la località Santa Lucia (*). Fino al Cinquecento il Garza attraversava le vecchie mura medioevali lungo via S. Faustino, passando sotto la chiesa di S. Agata, ove si può osservare la traccia di un’arcata in mattoni: qui esisteva un porticciolo-attracco. Fra Cinquecento e Seicento furono costruite le mura venete ed il percorso del Garza fu deviato all’esterno delle nuove mura, corrispondente all’attuale attuale percorso.

    Il Naviglio
    «La struttura del Naviglio è molto complessa. Nonostante non vi siano soluzioni di continuità lungo tutto il percorso, il canale cambia notevolmente la sua morfologia per la ‘presenza di derivazioni secondarie che riducono o aumentano la sua portata. Le diverse denominazioni che il canale possiede lungo il suo cammino segnalano questi cambiamenti morfologici: Naviglio Grande Bresciano, Naviglio Cerca, Canale Naviglio, Naviglio S. Zeno, Naviglio Inferiore, Naviglio Isorella, Canale Naviglio (o seriola Aspiana) (*)
    Nei pressi di Canneto Sull’Oglio si immette nel fiume Oglio. Il suo percorso, dalla nascita a Gavardo all’immissione nell’Oglio a Canneto, è fatto di diramazioni, spagli, riunione di rogge in cui si era diviso, impoverimenti di portata e nuovi arricchimenti di portata, specie nella bassa pianura per opera dei fontanili.


    Naviglio Cerca
    Nasce a S. Eufemia da una diramazione del Naviglio Grande Bresciano ed è la parte che interessa S. Polo.

    In questa immagine da Google Earth, nel cerchio rosso ho evidenziato il punto nel quale a S. Eufemia si dirama il Naviglio Cerca.

    Da S. Eufemia prosegue per Sanpolino e S. Polo Vecchio toccando il cotonificio Schiannini alla Fabbrica, dividendosi poi in due tronconi presso il ponte di via Ponte: uno passando accanto alla via Chioderolo si immette nel Garza, ma prima si divide nel canale che, sottopassando il Garza tramite il “salt del gatt”, serviva il Mulino e poi la campagna delle Gerole e nei pressi di Piffione si spaglia nella campagna; l’altro troncone, la “Sampolä”, prosegue costeggiando la via Ponte (oggi è completamente coperto); sotto passa il Garza con un “salt del gatt”, simile a quello del Chioderolo, in località “Fontana” e si spaglia nella campagna di Borgosatollo. La località “Fontana”, al Borgo in via Ponte presso il ponte del Garza vicino alla Colombera, è così chiamata perché anticamente c’era una risorgiva, che dava acqua fresca e pura. Altri tempi, in cui le “surtie” (falde acquifere) eran poco profonde e non inquinate.

    Il “salt del gatt” è un sottopasso di un torrente ripetto a un altro. Esso è basato sul principio dei vasi comunicanti e consiste in un canale in cemento scavato sotto il letto di un altro torrente, lo attraversa riemergendo dalla parte opposta. Vale la pena ricordare che anticamente il canale Naviglio ed il torrente Garza erano navigabili da piccole imbarcazioni e chiatte, adibite al trasporto di merci e materiale (es.: la ghiaia dalla zona di S. Polo per la costruzione di edifici e mura della città).

    Nella immagine da Google Earth, in rosso il punto del “salt del gatt” in Via Chioderolo
    Il Naviglio Cerca (in primo piano) prima del “salt del gatt” si divide in due
    Il “salt del gatt”. In primo piano il Naviglio Cerca che riemerge dopo essere passato sotto il Garza. La cascata è quella parte del Naviglio che si getta nel Garza (la parte a destra nella foto precedente)
    Il Naviglio Cerca, riemerso dal “salt del gatt”, dopo pochi metri viene diviso per alimentare la ruota del mulino
    Il vecchio mulino di Via Chiodarolo, ormai in disuso.


    le Cave, i laghetti
    San Polo è la località dei “mille laghetti” per i numerosi specchi d’acqua formatisi dalla escavazione della sabbia utilizzata per le costruzioni edilizie.
    La sabbia, di cui il nostro sottosuolo è tanto ricco, è l’eredita dell’ultima azione di erosione dei fiumi dalle montagne, azione durata milioni di anni, che hanno portato alla formazione della Pianura Padana, di cui il nostro territorio fa parte.
    Anticamente l’escavazione avveniva con “pic e badìl”, cioè a mano ed il lavoro di escavazione era preceduto dal “disquarciare”, cioè dal togliere lo strato di terra che ricopriva, e ricopre, la ghiaia affinché non si mescolasse ad essa. Il lavoro di escavazione si fermava non appena si raggiungeva la “sortiif’ (falda acquifera).

    A partire dagli anni ’50 furono costruite le “draghe”. Carrelli d’acciaio venivano lasciati cadere dall’alto di una tramoggia sul fondo della cava e trainati da funi d’acciaio con carrucole situate sulla tramoggia, estraevano sabbia, lavata nel tragitto del carrello sott’acqua.

    Il nuovo impianto di escavazione F.lli Rezzola. In alto a destra l ‘impianto vecchio. Sotto: la cava Gaffurini (inserire le foto)
    Le prime imprese di escavazione furono quelle di Lino Bersini, Alghisi, Arici, Salvi, Leoni, “Paletä”, Gaffurini, Ottavio Rezzola …
    Oggi sono molte di più, molto più grandi e con impianti di escavazione ultramoderni: Stabiumi, Sergio Gaffurini, Franzoni, F.lli Rezzola … la lista sarebbe lunga.

    NOTE: (*) Tratto da: Wikipedia

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • Le alluvioni


    Il 1950 è tristemente ricordato per le disastrose alluvioni che colpirono il Polesine.
    Anche San Polo ebbe, purtroppo, il proprio Polesine con le alluvioni dell’ex cava di via Vittorio Arici e del Chioderolo, causate dall’esondazione del Naviglio e del Garza.

    Alluvione ex cava via Arici
    Ricordi di Primo Gaffurini
    “AI tempo lo via Arici era una strada sterrata di campagna, che si snodava fra due filari di alti alberi (soprattutto platani, ma anche olmi, ontani e salici) e delimitata da due canali irrigui (fossi). Seguendo un percorso, che rispecchia l’attuale, costeggiava nel tratto iniziale una vasta depressione, oggi quasi completamente occupata da abitazioni, che era una ex cava dismessa alla fine degli anni ’40. Persisteva una sola piccola cava, lo “draga” Alghisi, che funzionava con il carrello a fune, che dragava lo sabbia sotto il livello della falda acquifera, formando il caratteristico laghetto da cava, di cui era, ed è, costellato il suolo di San Polo. Allegato alla draga lo ditta Alghisi aveva anche un frantoio per lo produzione di bitume per l’asfalto delle strade. La cava si estendeva verso sud fino all’argine della “fossa”, un canale di derivazione dal Naviglio.
    A detta di molti, all’epoca, l’eccessiva vicinanza dell’escavazione all’argine, lo indebolì e fu concausa del disastro awenuto. La depressione si estendeva a sud della via Arici dalla casa dei Pagani (ramo del “Borgo”) fino alla casa dei Cantaboni. Fra queste due abitazioni ve n’erano poche altre: lo casa dei Ghidoni (oggi Zanoni), lo casa dei Gaffurini {Gino} e lo casa degli Spagnoletti.
    Tali abitazioni erano costruite sul fondo della depressione ed avevano lo parte abitata a livello della strada, tranne lo nostra casa (Gaffurini), abitata nella parte bassa perché non era ancora stato costruito il piano a livello strada.
    L’autunno del 1950 fu caratterizzato da piogge torrenziali, che provocarono l’esondazione di vari fiumi. Tra questi anche il Naviglio. In via Arici riversò le proprie acque nella depressione ex cava, iniziando ad erodere l’argine della “fossa”, finché, in piena notte, cedette e le acque del Naviglio invasero lo depressione. Quella notte, sotto una pioggia torrenziale, con il fosso passante davanti a casa che straripava creando un torrentello lungo lo rampa di accesso alla nostra abitazione e l’acqua del Naviglio che iniziava ad invadere lo casa, fummo costretti ad abbandonarla. Caricammo le nostre povere e poche masserizie sul “Dodge” di “Bigiolu” Cantaboni e ci rifugiammo dai nostri parenti. “
    Il giorno dopo agli occhi di chi passava in via Arici si presentava l’angosciante spettacolo di un lago su cui galleggiavano le cose non portate in salvo dalla nostra casa e dalle cantine delle altre abitazioni: tutta lo depressione era invasa da tre metri d’acqua. Solo dopo oltre un anno, riparato l’argine della “fossa”, potemmo ritornare a lavorare alla nostra casa per costruire il piano superiore. La “fossa”, il cui argine cedette, iniziava ad est del Cotonificio Schiannini, in località “discaric”, ove esisteva una chiusa che permetteva l’immissione dell’acqua del Naviglio nella “fossa” stessa. Essa alimentava turbine per lo produzione di energia elettrica per il Cotonificio e si ricongiungeva con il Naviglio poco oltre lo cava Alghisi.
    Nella striscia di terra compresa fra Naviglio e “fossa” sorgevano il Cotonificio, la “Fabbrica”, piccolo nucleo di abitazioni di buona parte degli operai del cotonificio e un terreno coltivato.

    “El salt del gatt” il “salto del gatto” inserire immagine
    Nella parte terminale della striscia di terra di mezzo si era formato un cuneo boschivo: “la cuä” (coda) o “Boschetta”, regno di giochi di noi ragazzi della via Arici. Vi si accedeva, per i più coraggiosi, tramite una “liana” volante formata da vecchi copertoni di bicicletta, appesa ad un albero. La “fossa” (larga circa due metri), si superava al volo aggrappati alla “liana’: Non erano infrequenti i bagni dovuti ad errato calcolo dello stacco. Il calcolo matematico si sperimentava anche così. Nella “boschetta” “Gino Gafurì” in autunno al momento della “pasadä” (passo, migrazione) degli uccelli, erigeva il suo capanno da caccia, la cui costruzione era demandata a noi ragazzi, con nostra grande soddisfazione!!.

    Allagamento Chioderolo
    Nello stesso periodo il Naviglio esondava anche al Chioderolo, piccolo agglomerato di case ad nord-est del Borgo che sorge proprio all’incrocio fra Garza e Naviglio. Prima del ponte sul Garza esisteva, ed esiste tuttora, un attraversamento a sifone “el salt del gatt” (salto del gatto), un sistema di comunicazione dei canali, basato sul principio dei vasi comunicanti. Il Naviglio confluisce nel Garza al Chioderolo. Pochi metri prima della confluenza si divide formando un canale che sotto passa il Garza, appunto “el salt del gatt”. Questo canale andava poi ad azionare la ruota del mulino delle famiglie Bandera.

    la ruota del mulino, ormai non funzionante (foto Giorgio Gregori 2025)

    Negli autunni molto piovosi Garza e Naviglio esondavano, allagando le vicine case, che erano ad un livello inferiore alla strada.
    Dalle memorie di Renato Lelio Saetti:
    “L’attuale sponda del Garza era molto più bassa dalla parte della nostra casa. Quando Garza e Naviglio esondavano lo nostra casa era invasa da oltre un metro d’acqua. Si cercava di fermarla chiudendo lo porta, ma lo forza era tale che lo sfondava irrompendo in casa con una violenza da far paura. Per ovviare a questi frequenti disastri, dapprima mio padre costruì davanti alla porta d’ingresso una chiusa con guarnizioni, che potesse resistere alla furia dell’acqua.

    La confluenza del Naviglio nel Garza al “salt del gatt” in Via Chiodarolo (foto Giorgio Gregori 2025)

    Il sistema funzionò in parte. All’interno si rimaneva isolati e si doveva buttar fuori a secchi l’acqua che si infiltrava, ma i danni erano meno rilevanti. Era poi costruita una passerella di assi e cavalletti, che dalla strada arrivava alle nostre finestre: attraverso questa passerella la gente ci portava gli alimenti, finché le acque del Garza, diminuendo di livello, defluivano dal brolo che circondava lo nostra casa.

    Più avanti negli anni innalzammo a spese nostre e delle famiglie Bandera, interessate dallo stesso preoccupante fenomeno, le sponde del Garza, ponendo fine all’angoscia che ci prendeva ad ogni autunno e, soprattutto, ai disagi e danni derivanti”

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • Il Palazzo del Mago

    Nel “palass del mago” un concentrato di storia
    di Don Angelo Cretti

    Al n. 255 di via S. Polo, si impone un palazzo rinascimentale; è inconfondibile, un 1500 puro con tutti i colonnati al posto giusto.
    A S. Polo il suo nome è uno solo, nessuno ne conosce un altro : “El Palass del Mago’.
    Uno dei tanti toponimi popolari, uscito forse da un banale fatto di contrada o da un nomignolo affibbiato a qualche residente un po’ eccentrico, o da qualcosa di più serio, chi lo sa?
    Comunque fino al Catasto Napoleonico portava il nome signorile di “S. Paolo” e pare conglobasse in una unica proprietà, anche la cascina gestita dai Lorini, altro complesso architettonico di grande interesse.
    Il Palazzo, con la attigua chiesetta, ha dato il nome al quartiere. S. Polo non è certamente derivazione del francese “Paul”, ma del veneziano “Polo”, come il classico Marco Polo; uno dei sestieri (quartieri) di Venezia porta ancora il nome S. Polo. In secondo luogo il complesso riassume tutta la storia del quartiere dal medioevo ad oggi.
    Il complesso congloba la chiesetta, prima parrocchiale di S. Polo, carica di una lunga storia, spesso travolta da vicende infelici. Oggi ridotta a ristorante, non conserva della sua struttura originale che alcuni resti medioevali sul cortile interno del palazzo ed un grazioso campanile rinascimentale.

    Analisi della facciata
    Ad uno sguardo superficiale della facciata risultano evidenti due elementi: un bel portale a finti conci ed un elegante portalino ornato da losanghe a taglio di diamante in botticino, sormontato da un grazioso poggiolo in botticino su mensole e ringhiera panciuta in ferro battuto. La struttura alta del palazzo presenta tre elementi degni di nota : uno spigolo ad intonaco imitante pietre intrecciate, i doccioni, miseri resti di antichi mostri in ferro battuto ed un elegante comignolo, tutto in perfetto stile rinascimentale.
    Ad uno sguardo più attento la facciata dice molto di più: innanzitutto era finita a malta fine, bianca, che emerge ancora in più punti sotto due o tre strati successivi di intonaci. In secondo luogo uno spigolo in medolo (spigolo nord), un portale romanico troncato sul lato destro dal portale cinquecentesco ed infine due screpolature verticali, segni delle successive fasi di costruzione. Partiamo dallo spigolo nord. Sempre più evidente, in seguito alle continue sbrecciature, appaiono i grossi medoli squadrati, legati a croce, che formano lo spigolo più antico della costruzione. Da qui parte il primo abitato per un tratto di circa 10 metri, con pietre vagamente a strati paralleli, appena visibili sotto gli intonaci.
    Esso comprende: il grosso spigolo a medoli incrociati, un grazioso portale con spalla in pietra, ghiera di mattoni e bardelloni, ma purtroppo troncato sul lato destro dal più evidente portale del ‘500.
    Tutto fa pensare all’XI secolo. Non va però dimenticato il piccolo resto di affresco a figure geometriche sullo stipite dell’arco romanico. A pochi metri a destra del grande portale del rinascimento, la prima screpolatura in senso verticale con tracce di spigolo in medoli intrecciati, probabilmente limite della prima costruzione.

    Seconda fase di costruzione
    La seconda fase di costruzione è databile tra il XIII ed il XIV secolo. Si estende in facciata per uno spazio di 4-5 metri, è interamente composta da pietre rotonde, ciotolo grosso di fiume, disposto a spina di pesce in strati paralleli ed una finestrella strombata dai contorni in mattone, oggi murata.

    Terza fase di costruzione
    Altra screpolatura indicante congiunzione di fabbricato e siamo alla terza fase di costruzione, quella preponderante. E’ la fase del 1500, con elegante portalino al centro e finte pietre agli spigoli.

    Il grande cortile interno
    Il cortile interno è occupato su tre lati da un porticato-magazzino formato da semi pilastri in un unico blocco di botticino scanditi a distanza regolare. Oggi un lato è adibito ad abitazione (nord), e due ad uso commerciale (ben restaurati fanno bella mostra di ciò che potrebbe diventare tutto il complesso, se si procedesse con saggezza al suo recupero). Il lato ovest corrispondente a via S. Polo è certamente il più importante: sette colonne scandiscono otto archi a tutto sesto con cornice di intonaco bianco e, verso l’ingresso principale, un’elegante lesena in botticino a conci sovrapposti, perfettamente squadrati, così regolari ed eleganti da richiamare il 1400.

    Tra il curioso e lo strano sono vari segni di croci uniti ai soliti graffiti di misura delle derrate alimentari, presenti sul solaio, cosa che fa dell’ambiente, secondo la gente, sicuramente un convento. Le stanze del piano nobile non presentano nulla di particolare, ampie ed alte, prendono accesso da un ampio loggione.
    Ma ancora una sorpresa, e non piccola, ci attende sul lato nord, evidentemente il più antico. Due costruzioni si affiancano per buona parte a distanza ravvicinatissima, 15-20 centimetri. La parte riguardante il palazzo è completamente diroccata, l’altra costituisce il muro meridionale della chiesetta di S. Paolo. In parte dal cortile, in parte tra le macerie, emergono sul fianco della chiesa i segni inconfondibili del medioevo : muro a strati paralleli di conci rozzamente squadrati e alternati da ciotolo grosso di fiume disposto a lisca di pesce e una porta mutila e murata composta da grossi medoli a formare spalletta ed architrave.

    La chiesetta è stata evidentemente raddoppiata in epoca successiva dalla parte absidale. Il lato est del palazzo sul brolo verso via Sabbioneta, ci riserva la bella facciata a capanna di stile non ben identificabile, con piccionaia murata, forse da collocare al medioevo, ma più facilmente al rinascimento.
    Dulcis in fundo, il lato sud, prospiciente via Ostiglia.
    Il porticato completamente restaurato e occupato da negozi, ci offre molto più di un semplice muro con pietre a vista. Nei pressi del portale ed a sinistra del medesimo fanno bella vista una finestrina ridottissima, 30×40, e una finestrella paralume in medolo, con elegante archetto, dimensioni 15×30 cm. Nella stanza interna corrispondente si notano un camino in legno e varie finestrelle porta oggetti triangolari, formate da tre mattoni giustapposti; purtroppo il restauro non li ha risparmiati.

    Conclusione
    Toponimo popolare a parte, “El Palass del Mago” costituisce il monumento architettonico più significativo del vecchio quartiere di S. Polo, ha dato il nome al quartiere e ne raccoglie tutta la storia dal medioevo ad oggi.
    N.B. l’articolo è stato redatto in momenti antecedenti l’attuale ristrutturazione esterna (n.d.r.).
    l. Il lato su via Ostiglia con i negozi


    1. L’angolo del vicolo che si dirige verso il deposito di bibite Morandi

    2. Finestrella porta oggetti

    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • La metropolitana a San Polo, da Via Volta a Via Fiorentini

    Un estratto da un opuscolo del Comune di Brescia, anno da definire . Si ringrazia Maurizio Frassi per la collaborazione nelle ricerche d’archivio.

    Non tutto è stato semplice…chi si ricorda del “bruco”? e poi…sovrappassi sottopassi?

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  • Altri fatti luttuosi a San Polo

    1 aprile 1954. Caduta aereo da caccia
    Quattro aerei da caccia dell’aereobase militare di Ghedi sorvolano il cielo di San Polo in formazione per un’esercitazione. Improvvisamente due aerei vengono a contatto: è la tragedia. Uno dei due riesce fortunosamente a rientrare alla base, mentre l’altro precipita, schiantandosi contro un traliccio dell’alta tensione vicino alla cava Bersini, sulla vecchia “strada de le ache”. Un’alta colonna di fumo è visibile da molto lontano e richiama molte persone a vedere cosa è successo.
    Per il pilota Sottotenente Carlo Bisson di 25 anni, era infatti nato il 2-11-1929, è la fine. Il suo aereo si disintegra, spargendo rottami nei campi circostanti.

    A ricordo dell’episodio, sotto il traliccio ricostruito, fu eretto un cippo in pietra, rappresentante un’ala spezzata su base quadrata con foto del pilota. Purtroppo il piccolo monumento ora giace in uno stato di assoluto abbandono, invaso da rovi, erbacce, rami e fogliame.
    3 giugno 1960. Anno “horribilis”. Dario
    di Primo Gaffurini
    “La cava Alghisi fu dismessa nella seconda metà degti anni ’50 e le “mòte” (cumuli di ghiaia) ed il laghetto divennero luoghi di ritrovo dei ragazzi. Purtroppo il laghetto divenne un tragico luogo di giochi: un tristissimo 3 giugno del 7960 l’amico Dario Rossi di anni 74 vi annegò. Era da tempo che giocavamo con una vecchia camera d’aria da camion gonfiata ed usata come canotto. Mi chiedo spesso perché a lui e non a me. Un giorno mentre “navigavo” sul canotto rischiai di ribaltarmi; non so come mi sono salvato, ma giunto a riva giurai a me stesso che non vi sarei mai più salito. Due giorni dopo, mentre tornavo in pulmino da scuola, appresi lo tragica notizia. Mentre Dario “navigava” sul canotto, a causa di un brusco movimento, questi gli sfuggì da sotto ed egli sprofondò nelle acque del laghetto senza possibilità di salvezza, non sapeva nuotare, sotto gli occhi impietriti ed impotenti di alcuni compagni. Fu ripescato dopo 48 ore. Per lungo tempo il pensiero della sua scomparsa mi angosciò. Costruii una croce col suo nome e lo piantai sul luogo ove Dario era annegato. Spesso lo sera al buio mi sedevo sul bordo del laghetto a conversare mentalmente con lui. Quando, sposato, ebbi il primo figlio nessuno si sognò di suggerirmi nomi, nemmeno mia moglie.
    Come si sarebbe chiamato era ovvio: Dario. Ancora oggi a 66 anni, quando penso a lui o vado a fargli visita al cimitero, non vedo un ragazzino di 74 anni, ma “il mio amico Dario”.
    19 giugno. Franco
    del fratello Giulio Zani
    Nel laghetto della cava “Stabiumi”, in via Ponte, un gruppo di amici costruisce uno zatterone e si inoltra sulle acque per pescare. Ad un certo punto Franco Zani, classe 1939, si tuffa per fare un bagno. Le correnti di acqua fredda gli provocano una congestione che gli è fatale: verrà ripescato dai sommozzatori di Bergamo dopo 48 ore, come Dario pochi giorni prima. Franco lascia la moglie con una bimba di circa 10 mesi. Questi specchi d’acqua erano un’attrattiva irresistibile per i giovani, ma hanno preteso un tributo tragico.

    4 maggio 1961. Giambattista Doninelli
    Era un giovane mezzadro della fattoria Bersini e spesso dopo pranzo, prima di riprendere il lavoro nei campi, si avvicinava al laghetto per avvistare le carpe da catturare. Il 4 maggio di quell’anno gli fu fatale: non vi sono stati testimoni nella dinamica di quanto accaduto, ma poche ore dopo sul bordo del laghetto della cava, furono trovate solo le sue scarpe. Il corpo dello sfortunato contadino fu ripescato dalle acque solo dopo parecchie ore, al pari di quanti prima di lui, pagarono un tributo troppo pesante all’attrattiva di quei laghetti.

    Gli infortuni mortali
    Non vanno dimenticati coloro che hanno lasciato la loro vita sul lavoro all’acciaieria Alfa, in un tipo di lavoro nel quale il dramma poteva, e può, in ogni momento materializzarsi: Bettinzoli, Beretti, Bonera … per fare solo alcuni nomi. Anche lo “stradone”, arteria cruciale fra Brescia e Mantova, lungo l’attraversamento del centro di S. Polo ha preteso nell’arco degli anni numerose vittime, per la maggior parte ragazzetti o giovani.

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  • Nasce il quartiere di San Polo: il dibattito sulla stampa locale

    di Giorgio Gregori

    Riportiamo una interessante selezione degli articoli apparsi sui quotidiani “Il Giornale di Brescia” e “Bresciaoggi” nel periodo 1974-1979, che ben illustrano il vivace dibattito intorno alla costruzione del nuovo quartiere.
    Il 17 maggio 1974 l’architetto Benevolo illustra il progetto che si inserisce nel nuovo piano regolatore di Brescia. Inizia il dibattito pubblico, stimolato in particolare dall’intervento dell’arch. Fedrigolli, contrario al progetto.
    Seguono poi vari contributi. Il 9 gennaio 1977 l’arch. Benevolo risponde alle varie critiche, il dibattito prosegue fino a quando l’Assessore Bazoli interviene ulteriormente sul progetto del piano regolatore.
    Il via ufficiale alla costruzioni potrebbe essere datato 30 giugno 1977, con l’articolo “il quartiere di San Polo si farà”, a seguito del finanziamento della Regione.

    ringrazio Gianpaolo Mantovani che ha fornito i giornali dell’epoca

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  • 1980-1990 San Polo Nuovo.La Parrocchia di S. Luigi Gonzaga

    di Giorgio Gregori

    Inaugurazione Nuova Chiesa Parrocchia
    di S. Luigi Gonzaga 25 Novembre 1990

    Questo volumetto raccoglie la storia del nuovo quartiere di San Polo a Brescia e in particolare della Parrocchia di S. Luigi Gonzaga. La nuova chiesa è stata costruita nel 1990 e consacrata nel 1999, in Via Carpaccio 28 a Brescia, quartiere San Polo Parco.

    E’ molto interessante per conoscere come si evolve la creazione di una comunità, come inizialmente per le funzioni sono utilizzate varie sale e salette concesse o prese in prestito.
    Ci sono anche i piani dettagliati della nuova Chiesa.

    grazie a Silvia Maestri e Gianpaolo Mantovani per la collaborazione

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  • Dario e Gianna – il primo matrimonio

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” di Lucia Marchitto


    In mezzo al pantano nasce il mondo nuovo con la celebrazione del primo matrimonio.
    L’ingresso agli appartamenti della cascina è oscurato da due maestosi alberi di gelso nero, la loro ombra spezza un poco l’arsura di queste giornate di luglio e invita alla sosta dei veicoli. Una macchina si ferma, scende una donna, si avvicina al cancello d’ingresso della biblioteca e aspetta, ha una grossa sportina che tiene con due mani, il guidatore la raggiunge e quasi insieme, loro ed io, entriamo in biblioteca e sono proprio loro due i protagonisti dell’incontro: Dario e Gianna che furono tra i primi dieci abitanti del quartiere, i pionieri di San Polo nuovo, perché quello storico appartiene a Paride, Liliana e Silvana.
    Saliamo le scale, ci sediamo e Dario tira fuori dalla sportina un enorme e pesante testo della Grafo Edizioni: Brescia moderna – la formazione e la gestione urbanistica di una città industriale. Ha voglia di raccontare e nel farlo si accarezza la barba, lei lo guarda e a volte interviene.

    Abbiamo comprato la casa nel 1978, lavoravamo in banca perciò abbiamo comprato ad occhi chiusi per la convenienza, per il tasso di interesse sui mutui molto più conveniente che in altre zone e a un prezzo convenzionato. Il capomastro tracciava gli impianti col gesso e noi cancellavamo e ridisegnavamo come ci serviva in quanto avevamo già l’arredamento. A sua volta il capomastro ripristinava il tutto. Noi rientravamo nel cantiere a correggere come intendevamo dovesse essere. Questo duello è durato un poco, ma alla fine abbiamo vinto noi. Come geometra ero un po’ amico di Gaidoni, l’impresario, che ci ha lasciato fare le modifiche non cose sostanziali, però fondamentali per noi. –
    Apre il libro, chini tutti e tre sulla pagina a guardare le prime fotografie del quartiere dove c’è la sua casa a spina, mi ricorda quando, prima di un viaggio, si apriva la cartina stradale per decidere quale percorso fare, ora le cartine giacciono come pezzi preistorici dentro una scatola in cantina, mi viene un poco di malinconia pensando a quanto tempo è passato, a come è cambiata la nostra vita ora che su un piccolo schermo non solo ci viene indicata la strada, ma ci parla, dice “vai dritto, alla rotonda prendi la seconda uscita ecc. …”, se devi fare benzina ti indica il benzinaio più vicino, se hai fame i ristoranti nei dintorni. Non devi più fermarti e chiedere a un passante: mi scusi, dove trovo …? Mi accorgo che sto divagando, mi scrollo i pensieri di dosso e di nuovo concentro tutta la mia attenzione sulla sua voce che ha fretta di raccontare, di arrivare al punto, e il punto è il loro matrimonio.

    Prima abitavamo in viale Piave e non eravamo sposati, siamo stati tra i primi dieci abitanti del quartiere, ci siamo sposati il due febbraio del 1981. –
    Tira fuori dalla sportina due fotocopie, una è un articolo di giornale che recita:
    “Nella chiesetta di cascina Maggia – <Affreschi del ‘700 > il primo matrimonio a San Polo”, l’altra recita:
    “2/2/81 si inaugura il registro dei matrimoni”


    Gianna e Dario descrivono le vicissitudini e gli ostacoli che affrontarono per sposarsi in un quartiere nuovo dove la chiesa non esisteva, anche se Don Fortunato era già stato nominato parroco non si era ancora insediato e alloggiava in una traversa di via Cremona in attesa di una sistemazione nel nuovo quartiere. Lo cercarono e lo trovarono spiegandogli le loro intenzioni, per il Don fu l’occasione buona per cominciare a conoscere qualcuno perché il quartiere era un enorme cantiere e gli insediamenti erano pochi.

    Il Comune di Brescia assegnò a Don Fortunato una saletta della cascina Aurora per le messe domenicali e per gli incontri settimanali possibili soltanto quando la sala non era occupata per le riunioni condominiali. Era una piccola sala non adatta per un matrimonio così si decise di celebrarlo alla cascina Maggia che era in fase di ristrutturazione e sarebbe stata pronta entro un mese. Stabilirono la data delle nozze e iniziarono i preparativi. Il primo ostacolo fu quello di non sapere dove affiggere le pubblicazioni, poi arrivò l’ostacolo più grosso: l’interruzione dei lavori alla cascina per il ritrovamento degli affreschi del 700, quindi non era più possibile utilizzarla per la cerimonia.

    Fortunatamente le suore Mariste vennero loro incontro proponendo di farlo nella loro chiesetta immersa nel meraviglioso parco di via San Polo. Fu così che il due febbraio 1981 si celebrò il primo matrimonio a San Polo nuovo.


    Si legge sui loro volti l’orgoglio per essere stati i primi a sposarsi nel quartiere, e penso che gli anni passando lasciano segni profondi sui nostri corpi, ma, a volte, lasciano intatta l’emozione di un momento particolare, pare che le loro voci, unite nel racconto, vadano oltre le parole e che a volte quel “per sempre” non è soltanto una frase, due parole messe vicine, ma una condizione, pare che dicano: eravamo lì e ora siamo qui e qui saremo anche domani, e domani ancora, e ancora.

    Mio marito è geometra ed è stato il primo amministratore, quindi sa tutto. –
    Lo dice guardandolo, uno sguardo che lo spinge a dire il tutto, che lui coglie con gratitudine e sollecitudine.

    Gaidoni, l’impresario, mi chiese di fare l’amministratore di condominio perché aveva bisogno di trovare qualche responsabile e io accettai. Poi fui contatto dall’Ufficio Tecnico del Comune di Brescia che si era stabilito alla cascina Aurora e, man mano che le villette e i condomini erano pronti, dava il mio nominativo per fare da tramite tra i proprietari e il comune stesso nell’individuare criticità o esigenze. Ci furono anche problemi legati al teleriscaldamento in quanto era il primo impianto costruito in città, uno di questi problemi fu la lettura dei dati sui contatori che segnavano le ore, ma non le calorie consumate, per cui il Comune obbligò l’A2A a gestirlo cosa che, invece, sarebbe spettata agli amministratori. Per cui quando facevo il bilancio di chiusura non avevo dentro il riscaldamento perché l’A2A emetteva direttamente, in base alle misurazioni, le bollette ai singoli proprietari, ed ero scaricato da una parte del lavoro, mentre dall’altra parte era un continuo vedere come risolvere i problemi contingenti di viabilità, di luce, di mezzi per andare in città. In questo modo ho contribuito alla nascita del quartiere, infatti all’epoca ero abbastanza conosciuto, adesso non più perché sono passati tanti anni.
    All’inizio si poteva portare fuori i tavolini davanti a casa e mangiare tutti insieme anche perché i giardini non erano ancora chiusi. Le costruzioni non sono state consegnate tutte insieme, ma fatte a cascate anche perché al Comune non era ben chiaro come andava a finire il quartiere, quindi, andavano anche loro con i piedi di piombo perché il progetto era molto contestato. Lo chiamavano quartiere dormitorio, molti non compravano, di fatto le prime case le hanno vendute a prezzi convenienti proprio per attirare la gente.
    C’era una parte della politica che diceva che diventava un quartiere dormitorio tipo le banlieue francesi dove si rifugiava un po’ di gente, veniva poi dimenticato e così via, altri invece erano positivi pensando che sarebbe andata avanti bene. Da parte nostra eravamo positivi. –

    Dopo il matrimonio la famiglia si allargò, nacquero due figli e le rispettive nonne furono convinte, soprattutto per la convenienza, a comprare casa in via Raffaello, nella stessa fila di case a spina dove Gianna e Dario abitavano. Quando i bambini cominciarono ad andare a scuola a piedi, da soli, visto la vicinanza dell’edificio scolastico, le nonne li controllavano dalle finestre. Giocavano nel parco, andavano e tornavano da soli tanto le case si affacciano sul parco: abitare lì è come avere un enorme giardino. L’unico elemento che diede loro un poco di fastidio fu la costruzione della torre.

    Il palazzo è stato l’unico elemento che ci ha dato un po’ fastidio perché non ne sapevamo niente, non era previsto nelle carte che ci avevano fatto vedere a suo tempo, quello è stato un po’ un fastidio, l’abbiamo visto crescere questo bestione. Poi il passaggio che, secondo il concetto di Benevolo, doveva collegare tutto il quartiere anche attraverso la torre, era molto rumoroso per chi abitava negli appartamenti sotto perché non erano stati ben coibentati. All’inizio era solo di raccordo tra la chiesa e la scuola, doveva essere tutto un camminando, ma bambini e biciclette che corrono davano proprio fastidio. Siamo andati per avvocati chiedendone la chiusura. C’è stata un po’ di tensione però alla fine sono stati messi i cancelli. L’inizio è stato un momento difficile, dopo, anche lì, lo IACP è riuscito a individuare abbastanza correttamente chi doveva andare ad abitarci e quindi sono venute meno le tensioni, perché poi questo è un quartiere abitato all’80% da proprietari privati e quindi si è riuscito a controllare la cosa.
    Noi abbiamo fatto sempre parte di organizzazioni al di fuori del quartiere. Quelli che non abitano qui, quando vengono a trovarci e gli proponiamo una passeggiata, scoprono i parchi che sono nascosti tra le case e poi: “ma guarda che bel parco!” Alle spalle di ogni grattacielo c’è un parco, “ma che bello! Sembra di essere in campagna!”. Quindi molti sono prevenuti e basta. Anche a livello di delinquenza c’è stato qualche passaggio strano, uno che vendeva droga nei pressi della cascina Aurora, secondo noi la Polizia è arrivata lì apposta, lo conoscevano tutti, perciò anche ai nostri figli dicevamo: “stai lontano da quello!”, arrivava, lo vedevi … ma dopo non c’è mai stato nulla di particolare. Era la paura che si aveva all’inizio per il palazzone poi anche lì si è sgonfiato tutto. Molti forse si spaventano per l’acciaieria, adesso ha i depuratori che all’epoca non aveva, si sentiva l’odore e poi vedevi il fumo, poi il comune ha obbligato a fare la collina con i depositi degli scavi vari, dopo una decina d’anni dall’inizio del quartiere, man mano che scavavano portavano il materiale di discarica lì, infatti, adesso non si vede più niente, poi è stato piantumato.

    Raccolgono il libro, i fogli, scendiamo per le scale, arriviamo davanti a uno degli sportelli della biblioteca e Gianna tira fuori da quella sportina un album fotografico in cuoio, di quelli che usavano negli anni ‘80, e mi mostra le fotografie del suo matrimonio.

    Ammiro la chiesetta, mi soffermo su loro due, sulle loro chiome scure che oggi sono bianche, sull’orgoglio che ieri e oggi si legge sui loro volti per essere stati i primi a sposarsi nel mondo nuovo dove dal pantano sarebbero sorte case, palazzi, vie, chiese, parchi, sarebbero nati bambini. La vita che si spalanca davanti, con tutto quello che la parola vita rappresenta: gioia, fatica, amore e dolore, vittorie e sconfitte, la vita che devi costruire giorno dopo giorno, insieme.

    intervista realizzata a Brescia, 25 luglio 2023

    estratto da: 1980-1990 San Polo Nuovo
    La Parrocchia di S. Luigi Gonzaga
    La nuova Parrocchiale – Documenti e testimonianze

    Coltiviamo la memoria è un progetto ©Giorgio Gregori 2025

  • Francesco sempre in movimento

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” di Lucia Marchitto                                                                                          

    Fa caldo, il ventilatore acceso, la tenda abbassata, la penombra avvolge la stanza, il frinire delle cicale è la musica dell’estate, le parole accompagnano la musica come il testo in una canzone. Francesco parla della sua infanzia segnata da tappe, da luoghi diversi, dalla figura del padre che ne determinò il cammino.

    -          Sono nato a Belluno, mio padre era di Gianico e mia mamma è di Brescia Centro. Dopo un anno dalla mia nascita siamo andati a Vicenza, poi a Rimini dove siamo rimasti tre anni, da Rimini a Chioggia dove siamo rimasti 5 anni, sono arrivato a Brescia nel 1962 che avevo dieci anni. Ho fatto fino alla IV elementare a Chioggia, la V elementare a Brescia, le medie le ho fatte a Brescia in due posti diversi, una volta abitavamo da una parte, una volta dall’altra, la nostra era una famiglia sempre in movimento. Appena arrivati siamo andati ad abitare in via del Sebino vicino alla vecchia sede dei vigili del fuoco, ci sono rimasto tre anni. Poi ci siamo trasferiti vicino all’Ospedale per altri tre anni, dove ho fatto la terza media, la prima e la seconda superiore, poi da lì siamo tornati in città in contrada delle Bassiche, ci sono rimasto fino alla morte del mio papà, avevo 18 anni e lui 50 anni. Mia madre non voleva più abitare nella casa dove era morto mio padre e ci siamo trasferiti in via Francesco Lana, ho vissuto lì dai 18 ai 23 anni quando mi sono sposato nel 1975 e sono andato ad abitare in fondo a via Volta, che ora è via Lamarmora, dove ho abitato fino al 1981 quando sono venuto qui (via Tiziano). –

    L’idea iniziale era quella di andare ad abitare a San Polo Case perché ci abitava sua sorella, si era iscritto alla cooperativa ma, quando arrivarono i progetti non avendo abbastanza soldi, dovette rinunciare. Dopo due – tre anni fu promulgata la legge 167 sulla edilizia economico popolare, tra le aree designate c’era anche San Polo e Francesco colse al volo l’occasione.

    -          Acquistai questa casa che era disegnata in terra, e insieme agli altri acquirenti cominciammo a vedere cosa c’era da fare. Tre schiere di queste qui (via Tiziano) le abbiamo seguite dall’inizio, sia dal punto di vista degli incontri che delle cose da fare, dalla fase dei progetti al capitolato, fino a tutte le varie cose. Siamo venuti ad abitare il 28 febbraio dell’81. –

    Le difficoltà che incontrarono, durarono circa un anno e furono legati principalmente alla mancanza di servizi come il trasporto e i negozi e alle strade non ancora asfaltate.

    -          Quando siamo venuti sembrava di entrare nel lager perché la strada non c’era ancora, non c’erano i lampioni, c’era un palo in fondo alla via con un grande lampione che tentava di illuminarla, era desolante, poi quando pioveva c’era fango da tutte le parti, i giardini non erano ancora fatti, mancavano ancora tutti i muri perimetrali. Uno è venuto ad abitare che c’era ancora il cantiere da cui si attaccò alla corrente, abbiamo dovuto fare una riunione per deliberare il fatto perché aveva lo sfratto e, dato che i tempi della costruzione si erano allungati, fummo tutti d’accordo. –

    A sentirlo parlare e descrivere dettagliatamente i particolari sembra che racconti le gesta degli eroi, come gli antichi cantori popolari.

    -          Andare in città era abbastanza complicato. A piedi passavi dalla stradina che c’è qui che è rimasta la stessa per arrivare alla cascina Maggia ed era la strada principale, questa era la strada principale. Di bello, diciamo così, era che la cascina Maggia era piena di animali, e si portavano i bambini piccoli a vederli. I miei figli sono nati qua tutti e tre. Tra l’altro il trasloco ha fatto nascere il primo figlio perché era due anni che cercavamo di avere figli e non ci riuscivamo. Mia figlia è nata nell’81, poi tornando indietro con le date abbiamo stabilito che era stata concepita proprio con il trasloco. Probabilmente con il fatto della casa c’era una tensione che non favoriva il concepimento, infatti, nell’arrivare qui tac! e Valentina è arrivata. Michele nell’86 e Patrizia nell’87. I miei figli hanno fatto tutti e tre le scuole qui, si sono trovati bene, sia con gli insegnanti dell’asilo che dell’elementari, abbiamo ancora dei contatti con loro, ci si sente ancora, ci si parla. Noi non abbiamo mai avuto problemi con la nostra schiera. I primi anni e, anche quando c’erano i bambini piccoli, alla sera eravamo sempre fuori, fino a che i bambini hanno avuto una certa età la sera c’era sempre gente fuori, si facevano le tavolate sotto il portico, quando ancora c’era il vecchio. Abbiamo organizzato il primo torneo di pallone nel campo (giardini Borghetti), abbiamo chiesto e ottenuto dal comune le due porte per giocare che ci sono ancora oggi. La cosa positiva che ho vissuto è il fatto che, essendo un quartiere nuovo, la gente non si è chiusa, perché noi bresciani siamo un po’ chiusi, un po’ introversi, essendo poi arrivate soprattutto coppie giovani con bambini piccoli si è creata una compartecipazione, un legame che c’è ancora oggi, anche perché le persone sono arrivate e ci sono rimaste per 30 – 40 anni. Per quanto mi riguarda non ho mai voluto cambiare casa, forse dieci anni fa l’avrei cambiata con una casa su un unico piano perché la mia è su tre livelli, abbiamo anche la cucina sfalsata rispetto alla sala. All’inizio erano le case più belle e ricercate però poi col tempo … perché quando si è giovani è una cosa poi quando se ne ha 60 la cosa è un po’ diversa. Però sin dall’inizio io, avendo avuto un’infanzia dove non ho mai radicato amicizie, ho voluto rimanere e dare la possibilità ai miei figli di poter crescere nello stesso ambiente; una volta adulti si sono trasferiti però parlano sempre bene di quando erano qua, perché il quartiere lo hanno vissuto e qui hanno ancora amicizie. Questo è stato sicuramente positivo, la cosa migliore in assoluto. –

    Più che alle gesta degli eroi popolari ora mi sovviene la canzone di Francesco Guccini: Radici

    … La casa sul confine dei ricordi /La stessa sempre, come tu la sai / E tu ricerchi là le tue radici / Se vuoi capire l’anima che hai / Se vuoi capire l’anima che hai …

    Il racconto di Francesco prosegue con l’accurata descrizione di chi ha partecipato, ha visto, ed ha vissuto la nascita di un quartiere.

    – Non c’era niente, la chiesa è nata come un capannone. I palazzi erano tutti in costruzione. Alla cascina Riscatto ci abitava la famiglia Scaroni, uno degli Scaroni era quello che gestiva il bar di fronte all’oratorio, dove c’è il centro commerciale la Mela. Lui ha gestito la cascina per tanti anni, poi è morto e l’ha gestita suo figlio. Erano 4 o 5 fratelli, abitavano lì, dietro avevano un pezzo di campo che utilizzavano e che era ancora del loro nonno, probabilmente. Loro volevano comprarla quella cascina lì, ma non è stato possibile, perché in quell’area era previsto che non si poteva vendere ai privati. A loro fu data la possibilità di costruire delle casette diverse dalle nostre, che sono appena passato il parco, le prime tre o quattro case, sono leggermente diverse dalle altre, sono state costruite a compensazione del fatto di lasciare la cascina, che poi la cascina metà l’hanno ristrutturata e hanno fatto degli appartamenti con una cooperativa, mentre la parte storica, diciamo così, è rimasta perché nell’idea iniziale ci doveva essere un centro di accoglienza e servizi per il quartiere. So anche che c’era la scuola bottega ma non me la ricordo, la mia collega, con cui faccio i turni con il Touring, faceva l’insegnante alla scuola bottega e inizialmente era alla cascina, dove c’è la biblioteca, poi si sono trasferiti a san Polo case, storico. Il primo negozio alimentari era dove adesso c’è la sala delle riunioni del quartiere, alla cascina Aurora dal versante di via Raffaello e poi ce n’era un altro al primo piano della torre dei postali, c’era anche una cartolibreria e un giornalaio, hanno creato tre o quattro negozi lì sotto, intanto che cresceva tutto il quartiere. È durato poco perché poi è cominciata la costruzione del Centro Margherita e della Mela e quindi quei negozi sono spariti. Durante i primi anni potevi fare tutti i camminamenti poi hanno cominciato a girare con le biciclette e i motorini, facevano le gare avanti e indietro e allora hanno messo i cancelli, pertanto, tutto quello che era il progetto iniziale, che potevi salire da una parte e scendere da un’altra parte, fu cambiato. Inizialmente era quella l’idea di copiare i quartieri che c’erano in Francia, perché il quartiere nasce da un progetto francese, là non so come è finita, qui di fatto hanno dovuto chiudere. (1) –

    I problemi, che si crearono all’interno delle torri, dove alloggiavano inquilini che venivano da situazioni di disagio sociale, fece sì che San Polo acquisisse la cattiva nomea che perdura ancora oggi.

    -          Quando è cominciato il problema all’inizio ne abbiamo risentito, anche chi voleva vendere casa aveva qualche difficoltà, alcuni si trasferirono perché c’era questa delinquenza anche minorile che girava. Diciamo che noi, qui in fondo, l’abbiamo sentita poco, c’è stato qualche episodio ma niente di particolare, mentre nelle torri la cosa era un po’ più evidente.

    Se il padre era sempre in movimento con le case Francesco è sempre in movimento tra le cose da fare, soprattutto volontariato. In principio, quando arrivò a San Polo, diede una mano all’oratorio, oggi segue un gruppo di anziani al Centro Pampuri con il quale fa la cenetta agostana, lo spiedo, delle uscite in città andando per chiese e musei, è volontario con il Touring dove fa accoglienza ai visitatori seguendoli lungo il percorso con informazioni sui luoghi che si visitano. Ogni tanto va anche alla Croce Blu occupandosi della parte amministrativa relativa alla sicurezza. Infine, fa parte del gruppo di lettura presso la biblioteca.

    -          La biblioteca la frequentavo poco, lavoravo, poi non sono mai stato un gran lettore. Mi piace leggere la storia di Brescia, mi piace leggere su quei fatti accaduti, sulla storia e poi ho deciso di far parte del gruppo di lettura per fare un’esperienza diversa. Erano anni che ci pensavo, ma non mi sentivo all’altezza. Ho sempre avuto una lettura tecnica per me i libri erano libri tecnici, non avevo l’idea del romanzo, il romanzo non mi ha mai attirato. I libri che ho letto con il gruppo solo alcuni mi hanno lasciato delle tracce e sono quelli collegati a dei fatti realmente accaduti. Comunque, è un’esperienza positiva perché si conoscono persone e modi di vedere le cose, inoltre qualsiasi esperienza ti lascia qualcosa di buono, di positivo. –

    Da una associazione all’altra, da un impegno all’altro, tra cui non manca la palestra del Centro Margherita, Francesco il quartiere lo vive e ne coglie anche le mancanze.

    – Manca un centro di aggregazione, manca la classica piazza che in linea teorica poteva essere il parco. Tutto quello che si fa si fa all’interno delle strutture. Potrebbero fare dei corsi di ginnastica come fanno al parco Tarello o un cinema all’aperto. Però secondo me questo quartiere è debole da quel punto di vista. C’è poco movimento anche perché è diventato vecchio e quindi fa difficoltà a cambiare. Alla cascina Riscatto le cose sono sempre limitate, lì potrebbe esserci un cinema all’aperto perché lo spazio c’è, però anche lì chi ha a cuore questa situazione dovrebbe riuscire a creare un movimento. Quest’anno hanno fatto un po’ di movimento perché c’è stato l’anno della cultura però la problematica è che se tu fai un movimento che dura solo in questo periodo è buttato via, se questo movimento può creare un’onda che poi continua allora sono d’accordo, ma se questo lo hai visto come un momento allora non serve a niente, non credo che possa portare delle situazioni di altro genere. Io non andrei mai in cascina per giocare a carte e a tombola, proprio non mi piace. Anche lì continuano a chiedermi “vieni a darmi una mano” ma cosa vengo a fare, giocate a tombola io so già che mi stuferei dopo dieci minuti che sono lì. Poi all’interno gli spazi son piccoli, è piccolo rispetto al quartiere, diciamo che l’ideale sarebbe la cascina Maggia come centro di aggregazione, gli spazi sono grandi, dentro e fuori, sarebbe un’ottima location per un cinema all’aperto. –

    La chiacchierata è finita, Francesco si alza, saluta e se ne va, lasciando tra queste mura le parole che si sono fatte racconto e movimento.

    (1) Il progetto di L. Benevolo, per questo quartiere a funzione prevalentemente residenziale, si basa sull’ individuazione di “Unità di abitazione” (ripresa da Le Corbusier) ripetibili e integrate ai servizi, che costituiscono una Unità di vita privata e di relazione sociale significativa nell’ambito dei rapporti molteplici in cui si esprime il vivere in un agglomerato urbano. Tali “Unità di abitazione” sono ripetute e integrate ai servizi. Da: Urbanistica, paesaggio e territorio Università di Parma, scritto da Beatrice Toledi http://www.urbanistica.unipr.it/?option=com_content&task=view&id=426

    Brescia, 12 luglio 2023

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