da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto
Non si sa mai cosa pensare nella pioggia, mentre cammino le gocce cadono lievi, il cielo d’un grigio cenere avvolge il quartiere, gli alberi hanno perso il verde brillante delle foglie appena nate, scuri piangono gocce più pesanti della pioggia. Questo maggio ha accolto la preghiera delle danze che invocavano acqua nei mesi precedenti e le rose chinano la testa, non hanno la forza per risplendere.
Non so bene cosa vado cercando, dove questi passi mi stanno portando, soltanto cammino, un passo dopo l’altro arrivo inconsapevole al Centro Mela. Nel bar centrale i pochi avventori se ne stanno in piedi sotto il tendone, il fumo delle sigarette non si sperde nell’aria ma resta fermo sulle loro teste.
L’insegna della cartoleria cattura il mio sguardo, Daniela, la proprietaria è sulla porta, dentro c’è la sorella Orietta. Ero passata tempo fa, avevo parlato loro del progetto, erano interessate ma mi avevano chiesto di ritornare in un altro momento.
Ha bisogno? – chiede Orietta, Daniela ora parla al telefono. La domanda mi coglie di sorpresa e ha la capacità di sciogliere la mia indecisione sul restare o proseguire.
Sono qui per chiedervi quando posso passare per fare l’intervista
Lei si guarda intorno, non c’è nessuno dentro, non c’è nessuno fuori, è quasi mezzogiorno, le scuole sono ancora chiuse, la gente lavora o è a casa a preparare da mangiare.
Se vuole possiamo farla ora – dice Orietta allargando un sorriso. Non ho quaderno né penna.
Ho il cellulare, posso registrare?
Va bene.
Il negozio è piccolo, eppure c’è tutto ciò che ci si aspetta in una cartoleria, penne e matite di ogni tipo, carta, materiale vario per segreteria, giochi, peluche, una fotocopiatrice che insieme a uno scaffale divide il piccolo spazio dietro al quale ci sediamo. Mi pare di essere entrata nella casa delle bambole con tutti i pupazzetti che ci guardano. Il profumo della carta. La piccola piazzetta che si vede dalla vetrina è vuota, la pioggia continua a cadere, il cielo fuori contrasta con i colori della cartoleria. Questo piccolo spazio pare proteggerci dal grigiore della giornata. Orietta ha un viso allegro e da come parla ci si rende conto che è abituata a rapportarsi con le persone, ad esprimersi in un linguaggio chiaro e diretto. Il suo racconto non può che iniziare dal 1987, l’anno in cui Daniela aprì la cartoleria. Il quartiere fu scelto perché era nuovo e non aveva nessun tipo di negozi, di strutture, c’era solo una cascina (Aurora) vicino ai carabinieri che vendeva pane, salume, beni primari, poi non c’era altro.
Daniela è mia sorella, la famosa Daniela di San Polo! – Dice con orgoglio Orietta.
Quando nel 1990 lei subentrò nella gestione e andò ad abitare sopra la cartoleria con la madre c’era il Centro commerciale con il bar, la Farmacia, il tabaccaio, il parrucchiere, la macelleria, il fruttivendolo e il fornaio, sotto il portico c’era e c’è ancora l’autoscuola, le onoranze funebri, la pasticceria che poi ha chiuso e ora c’è il negozio dei tatuaggi.
Cambiano i tempi e cambiano i mestieri. Come tutti i negozi nuovi la gente deve prima conoscerti, avere fiducia, però, diciamo che noi siamo subito stati ricambiati dal quartiere con affetto. Tuttora siamo un punto di riferimento anche se le generazioni sono cambiate. Prima c’era un discorso più di amicizia, le persone andavano al bar a prendere un caffè e si fermavano a chiacchierare. Di tanti amici che abbiamo sono amici che abbiamo conosciuto per il negozio, passavano tutti i giorni per una chiacchiera e così ci siamo conosciuti. –
Guarda fuori mentre parla, seguo il suo sguardo e mi pare di scorgere un andirivieni di persone, un cicaleccio allegro di chiacchiere, ma è solo la pioggia che martella la piazza.
Adesso è più un prendi e vai, i figli non escono insieme ai genitori. Le mamme portavano i bambini a scuola perché la maggior parte non lavorava, andavano a prendere il caffè e poi si fermavano qui per scambiare due parole e nel pomeriggio, essendo a casa, portavano il figlio o la figlia a scegliere le cose che servivano per la scuola. Adesso i ragazzi mandano un messaggio, per dire: “Mamma mi prendi questo!” e mandano la foto di quello che serve e quando le mamme escono dal lavoro passano di qui, comprano quello che serve e i ragazzi non li vedi più, stanno in casa. –
Alza di nuovo la testa e guarda oltre la vetrina, dentro i suoi occhi la pioggia non si riflette.
In piazzetta qui davanti c’erano sempre i bambini che giocavano. Adesso no, anche se sono tanti, giocano fin tanto che sono piccoli poi non si vedono più. Una volta i genitori si fidavano a lasciare i figli senza controllo, adesso se non abitano proprio qui di fronte non li lasciano venire anche se questa è una zona piena di negozi, non è una zona isolata, non è il parco, qui è una piazzetta dove abbiamo delle vetrine e quindi vediamo se ci sono dei movimenti strani. Trent’anni fa i ragazzini giravano in bicicletta, giocavano a nascondino, adesso si mettono là in fondo, giocano un po’ a palla, ma arrivano sul tardi. Quei pochi ragazzini che giocano qui in piazzetta si dividono in gruppi: i pakistani con i pakistani, i bambini che vengono dal campo Rom con altri Rom, che non è più campo rom, ma comunque diciamo della ex Jugoslavia, qualche bambino cinese. Certo si integrano poi quando vanno a scuola, però al di fuori del contesto scolastico si trovano in gruppi divisi per etnie. La nostra difficoltà odierna è proprio dovuta al fatto che sono le mamme che vengono al negozio e, a differenza dei mariti, che imparano la lingua sul lavoro, loro non sanno l’italiano, non si sanno spiegare e non capiscono le nostre spiegazioni. Il lavoro diventa difficile proprio per il discorso della comprensione. I figli sono scolarizzati e l’italiano lo sanno, le donne non si integrano, i ragazzini sì. I ragazzini si fanno capire, loro non hanno problemi. Al di là di questo le persone vengono, si fidano di noi, vengono, sanno che se siamo qua da trentasei anni, ci siamo sempre comportate bene, non abbiamo mai cercato di approfittare di nessuno, anzi! Mia figlia, quando era piccolina, giocava con dei ragazzini che abitavano qui sopra e che provengono dall’Africa, centro Africa, si trovavano qui fuori a giocare e dunque non c’erano problemi. Tra di loro si arrangiano. –
C’è un poco di nostalgia nello sguardo al passato e un poco di amarezza in quello presente, soprattutto quando parla dell’isolamento delle donne straniere e dei gruppi divisi in etnie.
Io non sono nativa di questo quartiere vengo da Urago Mella e quando ho detto che venivo ad abitare a San Polo tutti a dire: “Ah! San Polo!” Però mia sorella era già qua a lavorare e anche io già venivo qui, poi è più tranquillo qui che dove abitiamo noi. Non abbiamo mai avuto problemi, la sera si poteva girare tranquillamente. Un solo fatto increscioso ci è capitato trenta- trentadue anni fa quando ci hanno sfondato la vetrina e hanno portato via un po’ di cose che erano arrivate. Abbiamo messo l’allarme e poi non è successo mai più niente anche perché qui portar via robe di valore non ce ne sono. Sono tutte cose che costano, tra virgolette, poco, non sono cose appetibili. Solo che in quel periodo erano arrivate delle penne nuove abbastanza costose durante il periodo di Natale e le hanno portate via, era una cosa su commissione, sicuramente lo sapevano che in quei giorni erano arrivate, è stata quella l’unica volta che ci hanno fatto un furto. Poi altri problemi non ne abbiamo avuti, tranquillo come quartiere, io l’ho sempre trovato un quartiere a misura d’uomo con le bellissime strutture, i ragazzini possono attraversare tutto il quartiere senza passare dalla strada con tutti i ponti, è stato studiato bene, poi purtroppo è stato tenuto male, perché tutte le cose bisogna curarle come i marciapiedi che le radici degli alberi hanno sollevato in vari punti infatti mia madre è inciampata ed è caduta. Però come quartiere è comodo anche per i diversamente abili, persone che hanno sedie a rotelle e carrozzine, prendendo i ponti si può passare dal Margherita D’Este fino a via Tiziano, fino alla cascina Maggia senza andare mai sulla strada. Era stato studiato bene come quartiere poi come tutte le cose bisogna fare manutenzione, averne cura e questo spesso non avviene, se non fosse per le persone che ci abitano, che fanno un po’ di manutenzione … anche perché chiami e fanno le cose un po’ male o a metà. Io ci ho abitato per sette anni e ci lavoro da più di trent’anni! –
Sorrido un poco quando parla dei cavalcavia, a me sono sempre sembrati brutti e ho visto e vedo poche persone camminarci sopra, ma è proprio vero che ognuno ha uno sguardo diverso sulle cose e penso che abbia ragione quando dice che il quartiere era stato studiato bene, forse era proprio questo l’intento dell’ideatore del progetto: camminare a piedi in sicurezza e senza barriere architettoniche. Mi riprometto di riconsiderare il mio concetto di bellezza.
Mi piacerebbe che ci fosse più attenzione per la nostra scuola pubblica perché l’hanno lasciata proprio andare, non è stata pubblicizzata abbastanza, tanti scappano dalla nostra scuola, dalle nostre elementari, a me dispiace perché la nostra scuola negli anni 80 – 90 era piena di ragazzi.
Certo il quartiere è invecchiato, e i giovani rimasti fanno pochi figli, però è anche vero che qualcosa sta cambiando, le persone anziane che vivono nelle casette a schiera non riescono più a fare le scale così vendono le case e arrivano coppie giovani, si sta verificando un ricambio come succede in tutti i quartieri vecchi. Io ho abitato e vissuto a Urago Mella per tanti anni ed è un quartiere vecchio che è rimasto vecchio mentre San Polo no, tra questo quartiere e Urago io preferisco San Polo, è più paese e poi ci sono tanti spazi verdi, questo è un punto di forza, è un bel polmone verde, un quartiere così verde a dire la verità non so se c’è in città. È stato strutturato bene. –
Parla in fretta e con foga, poi si ferma, anche le mani si fermano, sta in silenzio un attimo poi dice:
È bello! Il quartiere è bello! –
Alza lo sguardo verso l’alto, da dentro non si vede il loggiato di sopra, ma lo si immagina mentre conclude con quella punta di rimpianto e nostalgia che ricopre sempre i ricordi belli:
La sera sul loggiato si stava tutti insieme. –
Mi avvio nella pioggia verso casa. Insieme alle gocce d’acqua danzano tranquille le parole, sono rotonde, sorridenti, calde. Tra le rose con la testa china sotto il peso dell’acqua si fa spazio un bocciolo, dritto come una lancia, punta il cielo sfidandolo con la sua bellezza.
19 maggio 2023
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