Tag: Viaggio in Periferia

  • Memorie

    Un progetto ideato da Giorgio Gregori per l’Associazione Culturale Celacanto APS, in collaborazione con l’Associazione Amici della Cascina Riscatto ODV.

    Il punto di partenza è la pubblicazione curata da Lucia Marchitto e dagli Amici della Cascina Riscatto in occasione di BGBS 2023, contenente alcune memorie dei primi abitanti del quartiere di San Polo.

    Il nostro obiettivo è coinvolgere gli abitanti del quartiere integrando questo lavoro con nuove memorie (fotografie, video, canzoni) e con le esperienze di chi ha vissuto e sta vivendo in questo quartiere in grande trasformazione.

  • Dario e Gianna – il primo matrimonio

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto


    In mezzo al pantano nasce il mondo nuovo con la celebrazione del primo matrimonio.
    L’ingresso agli appartamenti della cascina è oscurato da due maestosi alberi di gelso nero, la loro ombra spezza un poco l’arsura di queste giornate di luglio e invita alla sosta dei veicoli. Una macchina si ferma, scende una donna, si avvicina al cancello d’ingresso della biblioteca e aspetta, ha una grossa sportina che tiene con due mani, il guidatore la raggiunge e quasi insieme, loro ed io, entriamo in biblioteca e sono proprio loro due i protagonisti dell’incontro: Dario e Gianna che furono tra i primi dieci abitanti del quartiere, i pionieri di San Polo nuovo, perché quello storico appartiene a Paride, Liliana e Silvana.
    Saliamo le scale, ci sediamo e Dario tira fuori dalla sportina un enorme e pesante testo della Grafo Edizioni: Brescia moderna – la formazione e la gestione urbanistica di una città industriale. Ha voglia di raccontare e nel farlo si accarezza la barba, lei lo guarda e a volte interviene.

    Abbiamo comprato la casa nel 1978, lavoravamo in banca perciò abbiamo comprato ad occhi chiusi per la convenienza, per il tasso di interesse sui mutui molto più conveniente che in altre zone e a un prezzo convenzionato. Il capomastro tracciava gli impianti col gesso e noi cancellavamo e ridisegnavamo come ci serviva in quanto avevamo già l’arredamento. A sua volta il capomastro ripristinava il tutto. Noi rientravamo nel cantiere a correggere come intendevamo dovesse essere. Questo duello è durato un poco, ma alla fine abbiamo vinto noi. Come geometra ero un po’ amico di Gaidoni, l’impresario, che ci ha lasciato fare le modifiche non cose sostanziali, però fondamentali per noi. –
    Apre il libro, chini tutti e tre sulla pagina a guardare le prime fotografie del quartiere dove c’è la sua casa a spina, mi ricorda quando, prima di un viaggio, si apriva la cartina stradale per decidere quale percorso fare, ora le cartine giacciono come pezzi preistorici dentro una scatola in cantina, mi viene un poco di malinconia pensando a quanto tempo è passato, a come è cambiata la nostra vita ora che su un piccolo schermo non solo ci viene indicata la strada, ma ci parla, dice “vai dritto, alla rotonda prendi la seconda uscita ecc. …”, se devi fare benzina ti indica il benzinaio più vicino, se hai fame i ristoranti nei dintorni. Non devi più fermarti e chiedere a un passante: mi scusi, dove trovo …? Mi accorgo che sto divagando, mi scrollo i pensieri di dosso e di nuovo concentro tutta la mia attenzione sulla sua voce che ha fretta di raccontare, di arrivare al punto, e il punto è il loro matrimonio.

    Prima abitavamo in viale Piave e non eravamo sposati, siamo stati tra i primi dieci abitanti del quartiere, ci siamo sposati il due febbraio del 1981. –
    Tira fuori dalla sportina due fotocopie, una è un articolo di giornale che recita:
    “Nella chiesetta di cascina Maggia – <Affreschi del ‘700 > il primo matrimonio a San Polo”, l’altra recita:
    “2/2/81 si inaugura il registro dei matrimoni”
    Gianna e Dario descrivono le vicissitudini e gli ostacoli che affrontarono per sposarsi in un quartiere nuovo dove la chiesa non esisteva, anche se Don Fortunato era già stato nominato parroco non si era ancora insediato e alloggiava in una traversa di via Cremona in attesa di una sistemazione nel nuovo quartiere. Lo cercarono e lo trovarono spiegandogli le loro intenzioni, per il Don fu l’occasione buona per cominciare a conoscere qualcuno perché il quartiere era un enorme cantiere e gli insediamenti erano pochi. Il Comune di Brescia assegnò a Don Fortunato una saletta della cascina Aurora per le messe domenicali e per gli incontri settimanali possibili soltanto quando la sala non era occupata per le riunioni condominiali. Era una piccola sala non adatta per un matrimonio così si decise di celebrarlo alla cascina Maggia che era in fase di ristrutturazione e sarebbe stata pronta entro un mese. Stabilirono la data delle nozze e iniziarono i preparativi. Il primo ostacolo fu quello di non sapere dove affiggere le pubblicazioni, poi arrivò l’ostacolo più grosso: l’interruzione dei lavori alla cascina per il ritrovamento degli affreschi del 700, quindi non era più possibile utilizzarla per la cerimonia, fortunatamente le suore Mariste vennero loro incontro proponendo di farlo nella loro chiesetta immersa nel meraviglioso parco di via San Polo. Fu così che il due febbraio 1981 si celebrò il primo matrimonio a San Polo nuovo.
    Si legge sui loro volti l’orgoglio per essere stati i primi a sposarsi nel quartiere, e penso che gli anni passando lasciano segni profondi sui nostri corpi, ma, a volte, lasciano intatta l’emozione di un momento particolare, pare che le loro voci, unite nel racconto, vadano oltre le parole e che a volte quel “per sempre” non è soltanto una frase, due parole messe vicine, ma una condizione, pare che dicano: eravamo lì e ora siamo qui e qui saremo anche domani, e domani ancora, e ancora.

    Mio marito è geometra ed è stato il primo amministratore, quindi sa tutto. –
    Lo dice guardandolo, uno sguardo che lo spinge a dire il tutto, che lui coglie con gratitudine e sollecitudine.

    Gaidoni, l’impresario, mi chiese di fare l’amministratore di condominio perché aveva bisogno di trovare qualche responsabile e io accettai. Poi fui contatto dall’Ufficio Tecnico del Comune di Brescia che si era stabilito alla cascina Aurora e, man mano che le villette e i condomini erano pronti, dava il mio nominativo per fare da tramite tra i proprietari e il comune stesso nell’individuare criticità o esigenze. Ci furono anche problemi legati al teleriscaldamento in quanto era il primo impianto costruito in città, uno di questi problemi fu la lettura dei dati sui contatori che segnavano le ore, ma non le calorie consumate, per cui il Comune obbligò l’A2A a gestirlo cosa che, invece, sarebbe spettata agli amministratori. Per cui quando facevo il bilancio di chiusura non avevo dentro il riscaldamento perché l’A2A emetteva direttamente, in base alle misurazioni, le bollette ai singoli proprietari, ed ero scaricato da una parte del lavoro, mentre dall’altra parte era un continuo vedere come risolvere i problemi contingenti di viabilità, di luce, di mezzi per andare in città. In questo modo ho contribuito alla nascita del quartiere, infatti all’epoca ero abbastanza conosciuto, adesso non più perché sono passati tanti anni.
    All’inizio si poteva portare fuori i tavolini davanti a casa e mangiare tutti insieme anche perché i giardini non erano ancora chiusi. Le costruzioni non sono state consegnate tutte insieme, ma fatte a cascate anche perché al Comune non era ben chiaro come andava a finire il quartiere, quindi, andavano anche loro con i piedi di piombo perché il progetto era molto contestato. Lo chiamavano quartiere dormitorio, molti non compravano, di fatto le prime case le hanno vendute a prezzi convenienti proprio per attirare la gente.
    C’era una parte della politica che diceva che diventava un quartiere dormitorio tipo le banlieue francesi dove si rifugiava un po’ di gente, veniva poi dimenticato e così via, altri invece erano positivi pensando che sarebbe andata avanti bene. Da parte nostra eravamo positivi. –

    Dopo il matrimonio la famiglia si allargò, nacquero due figli e le rispettive nonne furono convinte, soprattutto per la convenienza, a comprare casa in via Raffaello, nella stessa fila di case a spina dove Gianna e Dario abitavano. Quando i bambini cominciarono ad andare a scuola a piedi, da soli, visto la vicinanza dell’edificio scolastico, le nonne li controllavano dalle finestre. Giocavano nel parco, andavano e tornavano da soli tanto le case si affacciano sul parco: abitare lì è come avere un enorme giardino. L’unico elemento che diede loro un poco di fastidio fu la costruzione della torre.

    Il palazzo è stato l’unico elemento che ci ha dato un po’ fastidio perché non ne sapevamo niente, non era previsto nelle carte che ci avevano fatto vedere a suo tempo, quello è stato un po’ un fastidio, l’abbiamo visto crescere questo bestione. Poi il passaggio che, secondo il concetto di Benevolo, doveva collegare tutto il quartiere anche attraverso la torre, era molto rumoroso per chi abitava negli appartamenti sotto perché non erano stati ben coibentati. All’inizio era solo di raccordo tra la chiesa e la scuola, doveva essere tutto un camminando, ma bambini e biciclette che corrono davano proprio fastidio. Siamo andati per avvocati chiedendone la chiusura. C’è stata un po’ di tensione però alla fine sono stati messi i cancelli. L’inizio è stato un momento difficile, dopo, anche lì, lo IACP è riuscito a individuare abbastanza correttamente chi doveva andare ad abitarci e quindi sono venute meno le tensioni, perché poi questo è un quartiere abitato all’80% da proprietari privati e quindi si è riuscito a controllare la cosa.
    Noi abbiamo fatto sempre parte di organizzazioni al di fuori del quartiere. Quelli che non abitano qui, quando vengono a trovarci e gli proponiamo una passeggiata, scoprono i parchi che sono nascosti tra le case e poi: “ma guarda che bel parco!” Alle spalle di ogni grattacielo c’è un parco, “ma che bello! Sembra di essere in campagna!”. Quindi molti sono prevenuti e basta. Anche a livello di delinquenza c’è stato qualche passaggio strano, uno che vendeva droga nei pressi della cascina Aurora, secondo noi la Polizia è arrivata lì apposta, lo conoscevano tutti, perciò anche ai nostri figli dicevamo: “stai lontano da quello!”, arrivava, lo vedevi … ma dopo non c’è mai stato nulla di particolare. Era la paura che si aveva all’inizio per il palazzone poi anche lì si è sgonfiato tutto. Molti forse si spaventano per l’acciaieria, adesso ha i depuratori che all’epoca non aveva, si sentiva l’odore e poi vedevi il fumo, poi il comune ha obbligato a fare la collina con i depositi degli scavi vari, dopo una decina d’anni dall’inizio del quartiere, man mano che scavavano portavano il materiale di discarica lì, infatti, adesso non si vede più niente, poi è stato piantumato.

    Raccolgono il libro, i fogli, scendiamo per le scale, arriviamo davanti a uno degli sportelli della biblioteca e Gianna tira fuori da quella sportina un album fotografico in cuoio, di quelli che usavano negli anni ‘80, e mi mostra le fotografie del suo matrimonio. Ammiro la chiesetta, mi soffermo su loro due, sulle loro chiome scure che oggi sono bianche, sull’orgoglio che ieri e oggi si legge sui loro volti per essere stati i primi a sposarsi nel mondo nuovo dove dal pantano sarebbero sorte case, palazzi, vie, chiese, parchi, sarebbero nati bambini. La vita che si spalanca davanti, con tutto quello che la parola vita rappresenta: gioia, fatica, amore e dolore, vittorie e sconfitte, la vita che devi costruire giorno dopo giorno, insieme.

    Brescia, 25 luglio 2023

  • Francesco sempre in movimento

       da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto                                                                                          

    Fa caldo, il ventilatore acceso, la tenda abbassata, la penombra avvolge la stanza, il frinire delle cicale è la musica dell’estate, le parole accompagnano la musica come il testo in una canzone. Francesco parla della sua infanzia segnata da tappe, da luoghi diversi, dalla figura del padre che ne determinò il cammino.

    -          Sono nato a Belluno, mio padre era di Gianico e mia mamma è di Brescia Centro. Dopo un anno dalla mia nascita siamo andati a Vicenza, poi a Rimini dove siamo rimasti tre anni, da Rimini a Chioggia dove siamo rimasti 5 anni, sono arrivato a Brescia nel 1962 che avevo dieci anni. Ho fatto fino alla IV elementare a Chioggia, la V elementare a Brescia, le medie le ho fatte a Brescia in due posti diversi, una volta abitavamo da una parte, una volta dall’altra, la nostra era una famiglia sempre in movimento. Appena arrivati siamo andati ad abitare in via del Sebino vicino alla vecchia sede dei vigili del fuoco, ci sono rimasto tre anni. Poi ci siamo trasferiti vicino all’Ospedale per altri tre anni, dove ho fatto la terza media, la prima e la seconda superiore, poi da lì siamo tornati in città in contrada delle Bassiche, ci sono rimasto fino alla morte del mio papà, avevo 18 anni e lui 50 anni. Mia madre non voleva più abitare nella casa dove era morto mio padre e ci siamo trasferiti in via Francesco Lana, ho vissuto lì dai 18 ai 23 anni quando mi sono sposato nel 1975 e sono andato ad abitare in fondo a via Volta, che ora è via Lamarmora, dove ho abitato fino al 1981 quando sono venuto qui (via Tiziano). –

    L’idea iniziale era quella di andare ad abitare a San Polo Case perché ci abitava sua sorella, si era iscritto alla cooperativa ma, quando arrivarono i progetti non avendo abbastanza soldi, dovette rinunciare. Dopo due – tre anni fu promulgata la legge 167 sulla edilizia economico popolare, tra le aree designate c’era anche San Polo e Francesco colse al volo l’occasione.

    -          Acquistai questa casa che era disegnata in terra, e insieme agli altri acquirenti cominciammo a vedere cosa c’era da fare. Tre schiere di queste qui (via Tiziano) le abbiamo seguite dall’inizio, sia dal punto di vista degli incontri che delle cose da fare, dalla fase dei progetti al capitolato, fino a tutte le varie cose. Siamo venuti ad abitare il 28 febbraio dell’81. –

    Le difficoltà che incontrarono, durarono circa un anno e furono legati principalmente alla mancanza di servizi come il trasporto e i negozi e alle strade non ancora asfaltate.

    -          Quando siamo venuti sembrava di entrare nel lager perché la strada non c’era ancora, non c’erano i lampioni, c’era un palo in fondo alla via con un grande lampione che tentava di illuminarla, era desolante, poi quando pioveva c’era fango da tutte le parti, i giardini non erano ancora fatti, mancavano ancora tutti i muri perimetrali. Uno è venuto ad abitare che c’era ancora il cantiere da cui si attaccò alla corrente, abbiamo dovuto fare una riunione per deliberare il fatto perché aveva lo sfratto e, dato che i tempi della costruzione si erano allungati, fummo tutti d’accordo. –

    A sentirlo parlare e descrivere dettagliatamente i particolari sembra che racconti le gesta degli eroi, come gli antichi cantori popolari.

    -          Andare in città era abbastanza complicato. A piedi passavi dalla stradina che c’è qui che è rimasta la stessa per arrivare alla cascina Maggia ed era la strada principale, questa era la strada principale. Di bello, diciamo così, era che la cascina Maggia era piena di animali, e si portavano i bambini piccoli a vederli. I miei figli sono nati qua tutti e tre. Tra l’altro il trasloco ha fatto nascere il primo figlio perché era due anni che cercavamo di avere figli e non ci riuscivamo. Mia figlia è nata nell’81, poi tornando indietro con le date abbiamo stabilito che era stata concepita proprio con il trasloco. Probabilmente con il fatto della casa c’era una tensione che non favoriva il concepimento, infatti, nell’arrivare qui tac! e Valentina è arrivata. Michele nell’86 e Patrizia nell’87. I miei figli hanno fatto tutti e tre le scuole qui, si sono trovati bene, sia con gli insegnanti dell’asilo che dell’elementari, abbiamo ancora dei contatti con loro, ci si sente ancora, ci si parla. Noi non abbiamo mai avuto problemi con la nostra schiera. I primi anni e, anche quando c’erano i bambini piccoli, alla sera eravamo sempre fuori, fino a che i bambini hanno avuto una certa età la sera c’era sempre gente fuori, si facevano le tavolate sotto il portico, quando ancora c’era il vecchio. Abbiamo organizzato il primo torneo di pallone nel campo (giardini Borghetti), abbiamo chiesto e ottenuto dal comune le due porte per giocare che ci sono ancora oggi. La cosa positiva che ho vissuto è il fatto che, essendo un quartiere nuovo, la gente non si è chiusa, perché noi bresciani siamo un po’ chiusi, un po’ introversi, essendo poi arrivate soprattutto coppie giovani con bambini piccoli si è creata una compartecipazione, un legame che c’è ancora oggi, anche perché le persone sono arrivate e ci sono rimaste per 30 – 40 anni. Per quanto mi riguarda non ho mai voluto cambiare casa, forse dieci anni fa l’avrei cambiata con una casa su un unico piano perché la mia è su tre livelli, abbiamo anche la cucina sfalsata rispetto alla sala. All’inizio erano le case più belle e ricercate però poi col tempo … perché quando si è giovani è una cosa poi quando se ne ha 60 la cosa è un po’ diversa. Però sin dall’inizio io, avendo avuto un’infanzia dove non ho mai radicato amicizie, ho voluto rimanere e dare la possibilità ai miei figli di poter crescere nello stesso ambiente; una volta adulti si sono trasferiti però parlano sempre bene di quando erano qua, perché il quartiere lo hanno vissuto e qui hanno ancora amicizie. Questo è stato sicuramente positivo, la cosa migliore in assoluto. –

    Più che alle gesta degli eroi popolari ora mi sovviene la canzone di Francesco Guccini: Radici

    … La casa sul confine dei ricordi /La stessa sempre, come tu la sai / E tu ricerchi là le tue radici / Se vuoi capire l’anima che hai / Se vuoi capire l’anima che hai …

    Il racconto di Francesco prosegue con l’accurata descrizione di chi ha partecipato, ha visto, ed ha vissuto la nascita di un quartiere.

    – Non c’era niente, la chiesa è nata come un capannone. I palazzi erano tutti in costruzione. Alla cascina Riscatto ci abitava la famiglia Scaroni, uno degli Scaroni era quello che gestiva il bar di fronte all’oratorio, dove c’è il centro commerciale la Mela. Lui ha gestito la cascina per tanti anni, poi è morto e l’ha gestita suo figlio. Erano 4 o 5 fratelli, abitavano lì, dietro avevano un pezzo di campo che utilizzavano e che era ancora del loro nonno, probabilmente. Loro volevano comprarla quella cascina lì, ma non è stato possibile, perché in quell’area era previsto che non si poteva vendere ai privati. A loro fu data la possibilità di costruire delle casette diverse dalle nostre, che sono appena passato il parco, le prime tre o quattro case, sono leggermente diverse dalle altre, sono state costruite a compensazione del fatto di lasciare la cascina, che poi la cascina metà l’hanno ristrutturata e hanno fatto degli appartamenti con una cooperativa, mentre la parte storica, diciamo così, è rimasta perché nell’idea iniziale ci doveva essere un centro di accoglienza e servizi per il quartiere. So anche che c’era la scuola bottega ma non me la ricordo, la mia collega, con cui faccio i turni con il Touring, faceva l’insegnante alla scuola bottega e inizialmente era alla cascina, dove c’è la biblioteca, poi si sono trasferiti a san Polo case, storico. Il primo negozio alimentari era dove adesso c’è la sala delle riunioni del quartiere, alla cascina Aurora dal versante di via Raffaello e poi ce n’era un altro al primo piano della torre dei postali, c’era anche una cartolibreria e un giornalaio, hanno creato tre o quattro negozi lì sotto, intanto che cresceva tutto il quartiere. È durato poco perché poi è cominciata la costruzione del Centro Margherita e della Mela e quindi quei negozi sono spariti. Durante i primi anni potevi fare tutti i camminamenti poi hanno cominciato a girare con le biciclette e i motorini, facevano le gare avanti e indietro e allora hanno messo i cancelli, pertanto, tutto quello che era il progetto iniziale, che potevi salire da una parte e scendere da un’altra parte, fu cambiato. Inizialmente era quella l’idea di copiare i quartieri che c’erano in Francia, perché il quartiere nasce da un progetto francese, là non so come è finita, qui di fatto hanno dovuto chiudere. (1) –

    I problemi, che si crearono all’interno delle torri, dove alloggiavano inquilini che venivano da situazioni di disagio sociale, fece sì che San Polo acquisisse la cattiva nomea che perdura ancora oggi.

    -          Quando è cominciato il problema all’inizio ne abbiamo risentito, anche chi voleva vendere casa aveva qualche difficoltà, alcuni si trasferirono perché c’era questa delinquenza anche minorile che girava. Diciamo che noi, qui in fondo, l’abbiamo sentita poco, c’è stato qualche episodio ma niente di particolare, mentre nelle torri la cosa era un po’ più evidente.

    Se il padre era sempre in movimento con le case Francesco è sempre in movimento tra le cose da fare, soprattutto volontariato. In principio, quando arrivò a San Polo, diede una mano all’oratorio, oggi segue un gruppo di anziani al Centro Pampuri con il quale fa la cenetta agostana, lo spiedo, delle uscite in città andando per chiese e musei, è volontario con il Touring dove fa accoglienza ai visitatori seguendoli lungo il percorso con informazioni sui luoghi che si visitano. Ogni tanto va anche alla Croce Blu occupandosi della parte amministrativa relativa alla sicurezza. Infine, fa parte del gruppo di lettura presso la biblioteca.

    -          La biblioteca la frequentavo poco, lavoravo, poi non sono mai stato un gran lettore. Mi piace leggere la storia di Brescia, mi piace leggere su quei fatti accaduti, sulla storia e poi ho deciso di far parte del gruppo di lettura per fare un’esperienza diversa. Erano anni che ci pensavo, ma non mi sentivo all’altezza. Ho sempre avuto una lettura tecnica per me i libri erano libri tecnici, non avevo l’idea del romanzo, il romanzo non mi ha mai attirato. I libri che ho letto con il gruppo solo alcuni mi hanno lasciato delle tracce e sono quelli collegati a dei fatti realmente accaduti. Comunque, è un’esperienza positiva perché si conoscono persone e modi di vedere le cose, inoltre qualsiasi esperienza ti lascia qualcosa di buono, di positivo. –

    Da una associazione all’altra, da un impegno all’altro, tra cui non manca la palestra del Centro Margherita, Francesco il quartiere lo vive e ne coglie anche le mancanze.

    – Manca un centro di aggregazione, manca la classica piazza che in linea teorica poteva essere il parco. Tutto quello che si fa si fa all’interno delle strutture. Potrebbero fare dei corsi di ginnastica come fanno al parco Tarello o un cinema all’aperto. Però secondo me questo quartiere è debole da quel punto di vista. C’è poco movimento anche perché è diventato vecchio e quindi fa difficoltà a cambiare. Alla cascina Riscatto le cose sono sempre limitate, lì potrebbe esserci un cinema all’aperto perché lo spazio c’è, però anche lì chi ha a cuore questa situazione dovrebbe riuscire a creare un movimento. Quest’anno hanno fatto un po’ di movimento perché c’è stato l’anno della cultura però la problematica è che se tu fai un movimento che dura solo in questo periodo è buttato via, se questo movimento può creare un’onda che poi continua allora sono d’accordo, ma se questo lo hai visto come un momento allora non serve a niente, non credo che possa portare delle situazioni di altro genere. Io non andrei mai in cascina per giocare a carte e a tombola, proprio non mi piace. Anche lì continuano a chiedermi “vieni a darmi una mano” ma cosa vengo a fare, giocate a tombola io so già che mi stuferei dopo dieci minuti che sono lì. Poi all’interno gli spazi son piccoli, è piccolo rispetto al quartiere, diciamo che l’ideale sarebbe la cascina Maggia come centro di aggregazione, gli spazi sono grandi, dentro e fuori, sarebbe un’ottima location per un cinema all’aperto. –

    La chiacchierata è finita, Francesco si alza, saluta e se ne va, lasciando tra queste mura le parole che si sono fatte racconto e movimento.

    (1) Il progetto di L. Benevolo, per questo quartiere a funzione prevalentemente residenziale, si basa sull’ individuazione di “Unità di abitazione” (ripresa da Le Corbusier) ripetibili e integrate ai servizi, che costituiscono una Unità di vita privata e di relazione sociale significativa nell’ambito dei rapporti molteplici in cui si esprime il vivere in un agglomerato urbano. Tali “Unità di abitazione” sono ripetute e integrate ai servizi. Da: Urbanistica, paesaggio e territorio Università di Parma, scritto da Beatrice Toledi http://www.urbanistica.unipr.it/?option=com_content&task=view&id=426

    Brescia, 12 luglio 2023

  • Albarosa

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto


    Albarosa ha una camicetta bianca, immacolata, perfettamente stirata, è sobria, elegante, luminosa, contrasta con il cielo di oggi che annuncia tempesta. Mi commuovo davanti alla sua camicia che mi riporta a un tempo perduto, eppure mai dimenticato. La pioggia ha già cominciato a cadere e picchietta il cortile, le fronde degli alberi oscillano ma non si piegano, il suono della pioggia accompagna il suo racconto.
    Albarosa nacque a Edolo, si trasferì a Brescia in via Crocifissa di Rosa, per lavoro, era infermiera alla Città di Brescia dove ha svolto il suo servizio per quarantuno anni.

    Cercavo sempre di fare la notte perché avendo due figli di giorno potevo seguirli, quando sono venuta qui i miei figli erano già grandi e le scuole le hanno frequentato in via Zadei. –
    Aveva cinquant’anni quando, insieme al marito, ai due figli e alla mamma, andò ad abitare in una villetta a schiera a San Polo.

    Abito vicino alla farmacia Sozzi, dove c’è la banca, in via Bramante, abbiamo comprato una villetta, è una villetta a schiera, l’ho comprata che la stavano ancora costruendo e tutto intorno c’erano i fossi e campi di papavero, la schiera è composta da sedici villette. Non abbiamo mai avuto problemi, niente! Ci sono arrivata col marito, due figli e anche mia mamma. Mia mamma prima abitava in paese su in montagna e dopo è venuta qui, abbiamo tre camere. Quando sono venuta qui i miei figli erano già grandi. Uno si è trovato bene e l’altro no, il primo ha ancora tutti gli amici in via Trento, il più piccolo tutti qua a San Polo. Ora uno abita dove ci sono le scuole Canossiane e il secondo a Rezzato. –
    Lei e Maria sono amiche da circa trent’anni, da quando il suo secondo figlio e i figli di Maria strinsero un’amicizia che dura ancora nonostante il lungo tempo trascorso. Insieme a Maria faceva un corso di ginnastica quando conobbe Silvana, ed è stata Maria a farla venire in cascina.

    Ci vengo due volte a settimana. Vado e vengo con la Maria perché io non ho la macchina. Durante gli altri giorni esco perché ho delle amiche. Non cambierei mai questo quartiere sono ambientata bene, ho le mie amiche e nel vecchio quartiere ognuno si faceva i fatti suoi e basta. –
    A Edolo ha ancora la casa di famiglia e ci andrebbe volentieri, ma da quando due anni fa è caduta i suoi figli non vogliono che ci vada anche perché è una casa isolata enorme, e lei è sola, ma non si sente sola, ha tante amiche qui, e qui ha la sua casa: il suo posto nel mondo.
    La guardo allontanarsi serena, raggiunge le sue amiche e io penso che mai nome fu più appropriato: Albarosa.

    Cascina Riscatto, 30 giugno 2023

  • Marisa: la cascina come riparo dalla tempesta

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto


    Marisa ha una voce calda, leggermente roca, molto flebile tanto che a volte si fa sussurro.
    Vissuta per molti anni in una casa in via Labus nel centro storico di Brescia, una casa che amava e che non avrebbe mai voluto lasciare ma che, per motivi economici, ha dovuto abbandonare e con grande rammarico ha accettato di trasferirsi in una casa dall’Aler a San Polo, in via Robusti. Sebbene fosse stato doloroso lasciare la casa di via Labus si trovò comunque bene nella nuova casa:

    Mi sono trovata molto bene in via Robusti anche se il mio cuore è ancora là in via Labus! Era un bell’appartamento grande, con tre camere, un poggiolino, non era grande però c’era, poi davanti c’era questo palazzone i cui abitanti non hanno mai rotto le scatole a me e io non ho rotto le scatole a loro, allora lavoravo con le cooperative. –
    Nel frattempo, il marito è deceduto, i figli ormai grandi sono andati a vivere altrove, lei si è ritrovata sola in quella grande casa e non riuscendo più a sostenerne le spese ha dovuto di nuovo traslocare in via Giotto al quarto piano, una casa che non le piace, che non le è mai piaciuta e non ha stretto amicizia con i vicini. Quando è andata in pensione, trovandosi in una casa che non amava, in un contesto non ostile ma neanche amichevole, Marisa è andata in crisi.

    Quando sono andata in pensione sono andata in crisi, stavo proprio male e ho cominciato a cercare qualcosa, sono andata dai frati, ho chiesto di poter fare qualcosa, qualsiasi cosa. Sono andata in un sacco di posti, non occorrevo a nessuno”. –
    Queste parole quasi sussurrate sono un grido che si alza nel cielo scuro che porta tempesta, la stessa tempesta che si è abbattuta nella sua vita.
    A volte però nell’oscurità si illumina un faro che ci guida verso la salvezza e Marisa trovò il suo faro andando alla torre Cimabue dove incontrò Silvana.

    Sono andata alla Cimabue e ho detto alla Silvana: ascolti io sono in pensione e mi chiedevo se magari aveva bisogno di me, e lei mi ha detto “non c’è problema, lei domani viene in cascina”, così sono venuta subito, le persone mi hanno accolto bene. La cascina mi sta proprio nel cuore, vengo due volte la settimana e, siccome sono a casa sempre, mi fa piacere, mi rilassa e le persone sono amichevoli, mi ci trovo bene e passo due o tre ore in buona compagnia. Poi se c’è bisogno di fare delle cose io come volontaria ci sono. Oggi ho partecipato alla tombola e adesso stanno giocando a carte: è sciocco però passo la giornata. Ho trovato la cascina e sono contenta. –
    Ora, oltre alla cascina frequenta il supermercato che ha sotto casa:

    Ho confidenza con il personale dell’Euro Spin, ci parliamo, ci salutiamo, ormai mi vedono spesso. Andrei ad abitare da un’altra parte però tirandomi dietro la cascina e dato che non posso trascinarmela dietro allora non cambio quartiere. –
    Ride di gusto mentre dice di volersi tirare dietro la cascina come se fosse un carretto con le ruote!
    Marisa nella tempesta ha trovato riparo nella cascina che l’ha accolta.
    Mi alzo, apro l’ombrello, guardo il cielo, la tempesta non è arrivata, si è trasformata in pioggia.

    Cascina Riscatto, 30 giugno 2023

  • Maria e le coperte della cura

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto

    Quando, due giorni fa, suo marito, al termine della nostra chiacchierata, me l’ha presentata, Maria, elegantemente vestita di verde, si è proposta per raccontare la sua storia, non in quel momento perché c’era una festa di compleanno e l’attendevano per spegnere le candeline. Oggi è impegnata con la tombola, ma appena mi vede, fa le consegne, e viene sorridendo sotto il portico.
    Ha una voce calda e un eloquio fluente, di persona colta. Nata in Calabria da genitori Irpini si trasferì a soli tre anni in Umbria, poi a Todi da qui a Pesaro e infine a Roma dove frequentò il magistrale e l’Università. Da tutti questi spostamenti Maria ha raccolto esperienze, usi e costumi dei luoghi, conosciuto persone diverse e ne ha fatto tesoro di vita.

    A Brescia ci sono arrivata per amore!
    Lo dice illuminandosi tutta.
    Arrivata nel 1974 abitò prima a Chiesanuova, faceva l’insegnante e tra il lavoro e la famiglia c’era poco tempo per le relazioni con i vicini anche perché in quel quartiere trovò poca comunicativa, poi si trasferì a San Polo, in via del Verrocchio, dove da subito si stabilì un rapporto diverso con le persone, trovandole più aperte, lavorava ancora e i suoi figli frequentavano le scuole medie. Ora ha tre nipoti: due ragazzi, uno di diciassette anni e l’altro di dodici e una nipotina di sedici anni.

    Sono una nonna vecchia. Poi se i miei figli mi telefonano e mi dicono che i ragazzi vengono a cena preparo la pappa ai miei bambini! –
    Dopo aver smesso di insegnare andava a fare ginnastica alla torre Cimabue dove conobbe Silvana.

    La Silvana mi disse: “Maria vieni alla cascina, vieni alla cascina!” e Maria è venuta alla cascina! E ho trascinato dietro anche il marito. Ho cominciato a giocare e, col carattere che ho io, ho socializzato abbastanza facilmente con le signore, poi ho preso l’incarico della tombola che gestisco, poi si gioca a carte, poi la merenda, alla ricerca volta per volta dei regali per la tombola, quindi, sono sempre in movimento e sono molto soddisfatta!
    Non solo fa la volontaria in cascina ma anche alla Croce Blu di Buffalora, quando era più giovane andava sulle ambulanze ora sta in segreteria, risponde al telefono e inserisce i dati nel computer. Il martedì, il mercoledì e il venerdì mattina va alla Croce Blu e il pomeriggio viene in cascina.

    Nella mia vita ho acquistato serenità, sono contenta di quello che ho ottenuto sia del lavoro sia di tutto, sono serena e tranquilla. Sinceramente non cambierei il mio quartiere, mi trovo bene. Ci sono i giardini per i bambini, poi ci sono i negozi, insomma c’è tutto. –
    Nei giorni liberi, insieme al marito, va a comprare i regali per la tombola o per i compleanni scegliendo con cura qualcosa che i destinatari vorrebbero avere.

    Oggi per la tombola ho preso dei plaid: uno rosa, uno blu e uno bianco pensando alle persone che in settembre andranno in montagna, ho pensato a una signora e infatti uno dei plaid lo ha vinto proprio lei, l’altro lo ha vinto la signora che oggi compie gli anni e quando lo ha visto ha detto “Questo rosa lo voglio io!” e lo ha vinto proprio lei. Sono soddisfatta. –
    Ora deve tornare a seguire la tombola, mi saluta, e mi dice che ci sono due sue amiche che vogliono fare anche loro l’intervista. La vedo allontanarsi felice e soddisfatta.
    Penso alla cura nella scelta dei regali a quelle coperte che non solo scaldano il corpo, ma anche l’anima di chi le riceve.

    Cascina Riscatto, 30 giugno 2023

  • Mauro e le case del tubo

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto

    Entro nella cascina, c’è movimento, nella stanza accanto si sentono voci e risate, Mauro risponde al telefono, prende cose, le porta nell’altra stanza, parla con Eugenio, è indaffarato, poi mi vede, e con quel suo sorriso ampio mi saluta, usciamo sotto il portico, ci sediamo.
    Mauro nasce a Brescia e vive in Maddalena fino a tre anni. Le difficoltà quotidiane costrinsero la sua famiglia a trasferirsi a Villaggio Ferrari, perché dalla Maddalena non c’era la strada che portava in città e sua madre doveva scendere tutte le mattine a piedi per fare la spesa. Poi soltanto pochi anni più tardi si traferirono alla Volta dove Mauro visse fino a quando si sposò e andò a vivere con la sua sposa a Chiesanuova. Circa venticinque – trent’anni fa comprarono casa a San Polo in via del Verrocchio dove vive ancora con la moglie Maria.

    Abbiamo scelto San Polo perché era più economico che in altre zone, avevamo il mutuo agevolato e un aiuto dallo Stato. Non avevo mai visto il quartiere. L’impresa che costruiva la nostra casa non ci faceva avvicinare però ugualmente l’abbiamo vista crescere. Durante la costruzione si tenevano delle assemblee con i futuri condomini ed è per questo che, quando siamo andati ad abitarci, ci conoscevamo già e quindi ci siamo trovati subito bene. La nostra casa non è una villetta a schiera, siamo in quattro per ogni scala, uno sotto e uno sopra, col giardino sotto e il poggiolo sopra un po’ più grande, ognuno ha l’ingresso per conto suo. –


    Il senso di unione e comunità forgiatosi durante la costruzione della casa fece sì che Mauro e la sua famiglia si inserirono molto bene nel nuovo quartiere e ogni quindici giorni insieme agli altri condomini si ritrovavano la sera a cenare tutti insieme e tutti insieme guardando il loro condominio decisero di dargli un nome.

    Un giorno guardando le nostre case ci chiedemmo: “Come le chiamiamo?” e le abbiamo chiamate le case del tubo perché gli scarichi dei camini non sono come al solito, ma hanno un tubo in acciaio fuori da ogni abitazione; per questo le abbiamo chiamate le case del tubo fra di noi. –
    Sulla parola tubo allarga un sorriso e nello sguardo si accende una luce mista di ironia e allegria.
    Quando arrivò in via del Verrocchio aveva già due figli grandicelli che frequentavano le scuole medie per cui non furono iscritti a quelle del quartiere, ma lo frequentarono lo stesso, questo grazie anche a un prete che, ogni sera, andava per le strade del quartiere raccogliendo i ragazzi portandoli all’oratorio della Chiesa di Sant’Angela Merici. Tra i ragazzi nacquero amicizie che sono resistite nel tempo e durano ancora oggi. In questo quartiere non solo si è trovato sempre bene ma lo ha anche vissuto appieno, a differenza di quello di Chiesanuova che era molto dispersivo e non c’era quell’unione che ha trovato al Verrocchio. Tra l’altro la sua casa è stata una delle ultime costruzioni per cui quando la sua famiglia è arrivata c’erano già tutti i servizi e anche da quel lato non ha avuto problemi.
    Mauro si ritiene un uomo fortunato perché prima di andare in pensione ha svolto sempre lavori che gli piacevano.

    Quando sono andato in pensione, io lavoravo alla A2A, servizio fognature, tenevo controllate le imprese che pulivano, e le dirò che nella mia vita ho avuto fortuna, perché prima di lavorare all’ASM lavoravo in Comune e prima del Comune lavoravo in ditte private, però ho sempre fatto lavori che mi piacevano e non mi sono mai pesati. Poi sono arrivato al periodo della pensione quasi senza accorgermene; per cui il giorno che ho detto “non vado più a lavorare!” non mi è pesato. –
    E io mi chiedo se fu per merito della fortuna o del suo carattere a non fargli pesare il lavoro. Ora fa il volontario alla cascina Riscatto, ci viene tre o quattro giorni alla settimana e si trova bene, e ringrazia Silvana e sua moglie che lo hanno convinto a farlo.

    La cosa bella che mi è successa in questi anni in cui ho abitato nel quartiere è stato il matrimonio dei miei figli, è stato bello accompagnare mia figlia all’altare di Sant’Angela Merici e anche mio figlio si è sposato nella stessa chiesa. Mia figlia essendo femmina si è sposata nella sua chiesa, mio figlio abitando a San Polo anche lui si è sposato lì. –
    Lo dice con aria sognante, e pare di vederlo questo padre che dà il braccio alla figlia e l’accompagna all’altare, impettito nell’abito nuovo e con l’orgoglio non solo dipinto sul viso ma che traspare in tutto il corpo, in quell’incedere verso un futuro rappresentato dalla nascita di quella nuova famiglia, a cui, forse, è arrivato, come quel giorno che giunse alla pensione, quasi senza accorgersene, con leggerezza, senza peso.
    Dalla porta e dalla finestra aperta giungono voci allegre, qualcuno spia sulla soglia, Mauro mi spiega che c’è un compleanno da festeggiare, capisco che lo stanno aspettando per iniziare la festa, sto per salutarlo quando arriva sua moglie, si legge sui loro volti e nelle loro parole l’armonia che li lega ed è bello vedere in una coppia di così lunga data tanta sintonia e qualcosa d’altro che, a ben vedere, possiamo chiamare amore.

    Cascina Riscatto, 28 giugno 2023

  • Maria e il canto degli uccelli

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto


    Sono le 10,30 del mattino, un mattino carico di luce e di calore, lei arriva, occhiali scuri, sorriso splendente, passo svelto, respiro affannoso, entriamo nel parco facendo concorrenza agli uccelli con le nostre parole. Cip, ci, ci cantano tra i rami.
    A quest’ora ci sono poche persone che camminano tra i viali, una giovane coppia è seduta poco distante dalla nostra panchina, le fronde imponenti ci riparano dal sole, davanti a noi un laghetto, uno specchio d’acqua che il lieve vento non riesce a increspare ma che, come uno specchietto per le allodole, pare raffrescare l’aria.
    Sedute di fronte, macchie di luce tremolano tra le foglie e si depositano sul suo viso, come pezzi di un puzzle che deve essere ricomposto, la guardo e ascolto il suo racconto.

    Mi chiamo Maria e abito in via della Strada Antica Mantovana
    Maria è originaria di Salerno, arrivò a Brescia nei primi anni del 1980 e iniziò a lavorare alle Poste come impiegata. Ma nel quartiere arrivò soltanto qualche anno dopo.

    Sono arrivata nel quartiere nell’83, prima della grande nevicata, sono andata ad abitare in via Tiziano nel palazzo delle poste perché lavoravo alle poste. Non c’era niente perché era un quartiere appena nato. Nel palazzo mi sono trovata subito bene, eravamo arrivati tutti nello stesso periodo quindi si è creato un po’ di solidarietà tra di noi, come succede tra chi arriva insieme nello stesso posto e deve affrontare gli stessi problemi. Mio marito faceva il caposcala, quindi conoscevo tutti quelli della scala. Mi trovavo bene anche se dicevano che il posto era un po’ malfamato e nessuno ci voleva venire. Eravamo in tanti meridionali anche nel palazzo, però a me andava bene così, non ho sentito nessun problema. Prima abitavo in una casa singola, in un quartiere già vecchio dove c’erano tutte le comodità e arrivare qui era come abitare in un quartiere dormitorio. Ero all’undicesimo piano ed era bellissimo, vedevo tutto il quartiere da sopra, l’esperienza bellissima è stata quella di vedere la nebbia sotto, la mattina ti alzavi e vedevi la nebbia di sotto e sopra non c’era nulla. –
    Le scelte sono sempre difficili e a volte ci portano su strade accidentate che ci fanno tornare indietro, forse fu questo che successe a Maria che da Brescia se ne tornò a Salerno, la sua città, per ritornare a Brescia dopo un paio d’anni. Si stabilì prima in città e poi di nuovo alla torre e dall’undicesimo piano passò al quattordicesimo. Nel frattempo, il quartiere si era completamente sviluppato con servizi e negozi. A carnevale vestiva i suoi due bimbi e andava al Centro Margherita a festeggiare, lo ricorda con grande gioia e felicità. Visse anche di più il quartiere iscrivendosi a un corso di ballo alla cascina Aurora e a un corso di yoga alla Cascina Riscatto.
    Successivamente, nei primi anni del 2000, comprò casa in via della Strada Antica Mantovana e lasciò la torre.

    Eravamo in sette famiglie che abitavamo nella piccola schiera, ci siamo conosciuti, non dico che siamo diventati amici ma quasi, con la mia vicina lo siamo diventate. Quando siamo arrivati in questa via non c’era nulla, infatti i miei figli si ricordano del campo, delle rane, si sono divertiti da matti perché andavano fuori e giocavano tantissimo su quelle montagnole di terra. Il parco Ducos due è venuto dopo, i miei figli hanno vissuto molto il fuori. Alle elementari andavano a scuola in centro e poi per fargli vivere il quartiere li ho iscritti qua alla scuola media. –
    Il primo dei suoi due figli non ha un buon ricordo della scuola media e neanche del quartiere in generale, frequentò gli scout, fu anche capo scout, venne in contatto con realtà poco piacevoli, molti bambini e ragazzi venivano da famiglie disagiate e si portavano dietro problematiche che si ripercuotevano sui loro comportamenti. In particolare, Maria ricorda un fatto:

    Mio figlio aveva una bicicletta bellissima, era bianca e rossa, l’aveva parcheggiata davanti alla Chiesa di Sant’Angela Merici, quando ritornò a prenderla la ritrovò distrutta, era accartocciata, non abbiamo mai saputo perché e chi fosse stato. Lui sente la nostalgia del posto come ambiente verde, ma per quanto riguarda la scuola e i compagni non ha ricordi belli. –
    Ora Maria è in pensione, si gode questo splendido parco dove insieme ad altre signore fa ginnastica all’aperto, le piace molto perché è un modo per stare insieme, per chiacchierare e scambiarsi delle cose, ogni tanto andare a mangiare una pizza o a fare una gita fuori porta.
    Passa un gruppo di ragazzini con un insegnante, sono allegri e camminano svelti verso il sottopasso, il caldo si è fatto più intenso, la coppia è andata via, e noi siamo giunte alla fine dell’intervista che si conclude con queste parole:

    Io non cambierei quartiere innanzitutto perché c’è questo parco, c’è questo verde tutto attorno che io amo. Da quando sono in pensione la mattina mi metto la mia cuffietta e vado a camminare nel verde, nella quiete e sento gli uccellini cantare. Sono appena tornata da Salerno, ci sono stata due settimane e non sopportavo più il rumore della città. Qui ci sono gli uccellini la mattina che fanno ci ci ci. Vorrei anche frequentarlo ancora di più, magari andare alla Caritas per fare qualcosa per gli altri, per vivere il quartiere nelle sue realtà. –
    Ci alziamo, ci avviamo verso l’uscita, il suo viso nella luce si ricompone, noi due, come gli uccelli, cantiamo la canzone della nostra vita che si è fatta racconto.

    Parco Ducos due, 20 giugno 2023

  • La saracinesca di Gino

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto

    Piccolo, magro, scattante. L’ho visto prima entrare ed uscire dall’ombra della cascina al sole del piazzale, ora si siede di fronte e me e parla. Anche le sue parole al pari delle gambe sono di corsa, escono con un filo di voce argentina, sembrano scivolare tra le labbra.

    - Mi chiamo Gino, vengo da Vipiteno dove vissi fino all’età di diciassette, diciotto anni, poi per necessità lavorative di mio padre ci trasferimmo ad Iseo, ho vissuto lì per quarant’anni, poi ci siamo trasferiti in città, in via Valotti a Mompiano, ora sono qui vicino alla Poliambulanza, lì a Mompiano eravamo in affitto, qui abbiamo comprato casa e lo abbiamo fatto perché la casa ci è piaciuta molto, io abito poi in una zona dove c’è un parco enorme e tutta la zona si sta rivalutando tantissimo perché c’è l’ospedale. –

    Gino era un imprenditore edile, sempre in movimento, sempre in giro per lavoro:

    Ho lavorata dappertutto, tornavo a casa il sabato o la domenica, tutta la settimana stavo via. Poi ho voluto venire in città perché mi piace, non mi piace la montagna, non mi piace il paese piccolo, desideravo venire in città. Ho avuto una casa per dieci anni a Desenzano, bella! Però Desenzano o Iseo per me non c’è una grande differenza. Io ho voluto di mia iniziativa non guidare più la macchina perché per lavoro ho fatto tanta strada, stare in paese senza macchina … invece qui sono autonomo, mi muovo come voglio. –

    E si muove soprattutto per andare in centro, ha una vita piena e anche un cane. Ci tiene a precisarlo, d’altra parte guardandolo si capisce che non è una persona che se ne sta sul divano a guardare la televisione. Fu il caso che lo portò qui in cascina, forse un amico con cui giocava a bocce, ci venne per un aperitivo e conobbe Silvana che lo convinse a fare il volontario.

    -Io mi sono trovato bene qui con la Silvana. Qui c’è tanto da fare anche se adesso il lavoro è diminuito per via della società. Lei pensi che in vita mia io il thè non l’ho mai bevuto, qui faccio tanti di quei thè e qualche tonnellata di caffè! Prima avevo un’attività importante, piena di problemi, alti e bassi, andare in pensione … tiri giù una saracinesca e chiudi la vita. –

    Tiri giù la saracinesca e chiudi la vita: sono come una pietra tombale le sue parole, il prima in cui non c’era mai tempo e il dopo del tempo vuoto, il prima: essere protagonisti produttivi nella società, il secondo: esserne fuori, con la sensazione di essere inutili, che tutto è finito, che non c’è futuro solo passato e il passato non lo puoi rivivere una seconda volta.

    Ma poi succede qualcosa, un giorno va a giocare a bocce con un amico che lo porta alla cascina Riscatto per un aperitivo, incontra una persona e la saracinesca si alza, la vita ricomincia.

    - È stato importante trovare la cascina perché mi ha dato la possibilità di essere impegnato il pomeriggio, se non avessi trovato qui, avrei dovuto trovarmi qualcosa sennò io divento matto, con la pensione si è creato un muro, qui ho trovato la serenità. Io sono qui per la Silvana, non ho legami particolari con nessuno, sono tutti amici ma niente di importante. Parto da casa all’una e un quarto e all’una e mezza apro io qui, ripetiamo sempre le medesime cose, qua è bello, so che trovo le determinate persone, che si gioca a scopa tutti i giorni e basta.

    Non cambierei niente della mia vita che è abbastanza complessa, piena. –

    Tornando a casa penso che il volontariato aiuta chi lo fa e chi lo riceve, e queste due storie, questi due volontari della cascina Riscatto, ne sono la prova.

    Brescia, 31 maggio 2023

  • Il volontariato come cura di sé e aiuto per gli altri

    da “Viaggio in periferia San Polo si racconta” a cura di Lucia Marchitto


    Il cortile tra la cascina e la biblioteca collega via Tiziano con il parco Fabrizio De André, si potrebbe definire un luogo da cartolina: le cinque campate ad arco della facciata, le piante che si affacciano dalle case a fianco, i vasi in terracotta, l’ingresso della biblioteca, dal cancello si coglie lo splendore maestoso dei pini e delle querce, e già sento nell’aria il profumo del fico che cresce addossato alla parete esterna della biblioteca.
    La cascina Riscatto accoglie sotto il porticato una fila di tavoli occupati da donne anziane che giocano a carte, nell’aria si sente la tensione e l’allegria del gioco, ma anche la curiosità di chi, vedendomi arrivare, non riconoscendomi come abituale frequentatrice del luogo, mi guarda curioso sollevando gli occhi dal fascino delle carte. Entro nell’ufficio chiedendo di Silvana.

    Ah – dice il signore che prima ho notato mentre con passo svelto entrava e usciva indaffarato – lei è qui per le interviste, un momento! –
    Parla con un altro uomo poi si guarda intorno, i tavoli sono tutti occupati, sposta le tende da sole e si avvicina a uno dei tavoli posti nello spazio all’aperto, apre l’ombrellone, sorride e quasi correndo se ne va. L’altro signore è davanti a me, restiamo in piedi sotto l’ombrellone, gli spiego il progetto, ci sediamo e si presenta:

    Mi chiamo Eugenio
    Eugenio abita in un appartamento dell’Aler nella torre di via Michelangelo da circa quarant’anni, arrivò quando il quartiere stava nascendo, prima della costruzione del Centro Margherita. In un primo momento si trovò abbastanza spaesato e fu anche difficoltoso viverci per la mancanza di negozi. Poi man mano che il quartiere cresceva, cresceva anche la figlia che, frequentando la scuola e l’oratorio, gli permise di conoscere un poco le persone del posto.
    Eugenio è seduto distante dal tavolo, ha un’espressione seriosa, ma nel parlare della figlia si anima:

    Mia figlia si è sempre trovata bene, ha frequentato il quartiere, d’estate faceva il Grest e suora Assunta gli ha insegnato a fare l’uncinetto e la maglia, ora ha 49 anni, si è laureata in Economia e Commercio e vive a Milano, mi ricordo ancora la suora molto rigida, ma che le ha insegnato tante cose, la suora era molto brava anche a rubare a carte!
    E ricordando sorride. Sul suo viso si legge la soddisfazione e l’orgoglio per quella figlia che, studiando e lavorando sodo, è riuscita ad ottenere un posto importante nella società dove lavora. Quella figlia cresciuta in questo quartiere, istruita nelle nostre scuole che, insieme ad altri uomini e donne nati e cresciuti qui, si distinguono nel lavoro e nella vita per onestà, impegno e capacità, col loro esempio cambiano la narrazione sul quartiere, quella narrazione che lo descrive come luogo malfamato.
    Le mie domande in un certo senso lo costringono a staccarsi dal ricordo di sua figlia bambina, dalla suora, ma ritrova vigore nel parlare del lavoro che svolgeva, che sebbene lo costringesse a lunghi periodi distaccato a Torino, gli dava soddisfazione. E se durante la vita lavorativa non aveva vissuto appieno il quartiere una volta andato in pensione, circa vent’anni fa, lo ha fatto e si è inserito molto bene; spesso si trova con gli amici a fare quattro chiacchiere, frequenta come volontario la cascina Riscatto che gli ha dato anche delle soddisfazioni e soddisfatto si guarda intorno, ha da fare, non lo trattengo, lo ringrazio e ritorna ai suoi compiti di volontario.

    Brescia, 31 maggio 2023