Tag: Cascina Lazzarino

  • La Cascina Lazzarino

    (dal volume “dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola)

    La cascina Lazzarino, attualmente proprietà dei coniugi Sergio e Liliana Gaffurini, si trova a sud ­ovest di S. Polo, in via Campagna, tra la cascina Fusera e la cava di sabbia di Gaffurini. Ora, dopo la splendida ristrutturazione, non possiamo più definirla una cascina, ma piuttosto, come lo fu nel ‘700 e ‘800, casa padronale, palazzo. Dallo stato di totale abbandono fino agli anni ’60 del Novecento, gli attuali proprietari l’hanno riportata agli antichi splendori settecenteschi.
    Posta nel verde di un grande parco che si affaccia sul laghetto della cava, cascina Lazzarino si presenta come una grande costruzione su tre ali attorno all’ampio cortile, al cui centro è situata una grande fontana in marmo, di recente fattura ma stilisticamente ben inserita nel contesto.
    Il bianco del marmo di Botticino domina un po’ ovunque, dai grossi pilastri sormontati da vasi di fiori della cancellata in ferro battuto che si apre verso sud, al porticato con cinque colonne dell’ala est, agli stipiti, alle architravi, ai davanzali, creando un’atmosfera di grande eleganza. Due guglie, sempre in “botticino”, svettano sul tetto dell’ala ovest, donando al complesso una particolare nota di signorilità. L’ala ovest doveva servire, probabilmente, a rustico, oggi ristrutturato ad abitazione; l’ala est al piano terra a deposito carrozze ed a fienile al piano superiore; a nord c’era la casa padronale.
    Da notare che nelle mappe napoleoniche dell’inizio Ottocento compare il nome di Palazzino, mentre il nome Lazzarino, che resterà fino ai nostri tempi, compare per la prima volta nelle mappe asburgiche del 1843, epoca in cui gli austriaci rivedono con metodicità e precisione tutto il sistema catastale del Lombardo-Veneto.
    La denominazione Lazzarino deriva sicuramente da “Lazzaretto”, sinonimo di ospedale in cui venivano ricoverati gli ammalati affetti da malattie contagiose (peste, colera, malattie veneree, vaiolo), frequenti nel periodo di guerre della prima metà dell’Ottocento (guerre napoleoniche, di indipendenza, moti rivoluzionari). Nella bassa bresciana i nomi “Lazzarino” e “Lazzaretto” compaiono di frequente, riferiti a cascine o località di campagna isolati da paesi o città, proprio ad indicare luoghi adibiti ad ospedale lontani dalla popolazione onde evitare contagi.
    Che il complesso sia di chiara architettura settecentesca lo conferma la data incisa sulla maniglia della cancellata: “GIO BATT. REBOLDI FECIT 1773”.

    Nell’ala nord ritroviamo gli elementi artisticamente più interessanti con gli affreschi su soffitti e pareti ed i pavimenti in stile palladiano, composto da frammenti di pietra accostati come tessere di un mosaico a comporre motivi geometrici o floreali stiiizzati. Il pavimento è stato purtroppo tolto, perché troppo sconnesso e rovinato, al punto da essere irrecuperabile.
    L’interesse maggiore è destato senz’altro dagli affreschi distribuiti sui due piani, di mano veneta del ‘700. Essi riproducono scene di vita campestre, paesaggi e temi religiosi. Una Madonna, ascensione di santi, contadini e domestiche, gentiluomini e dame adornano pareti, soffitti e scale, illustrano scorci di vita e costumi settecenteschi.

    Per risalire agli antichi proprietari che fecero costruire l’edificio, bisogna osservare e decifrare i due stemmi, uno dipinto sul muro esterno dell’ala est, l’altro scolpito sulla chiave di volta dell’ingresso. Il dipinto rappresenta un leone rampante sormontato da una cotta d’arme, il secondo un bassorilievo con sette stelle poste sopra un ramo con foglie.
    Essi non appartengono però a famiglie bresciane. Potrebbero appartenere ai Panciera di Zoppola, che tennero la cascina fino al ‘900. La panciera è appunto la cotta d’arme presente sopra il leone rampante dello stemma. I Panciera erano nobili conti provenienti da Zoppola nel Friuli e la loro venuta a Brescia è legata ai Martinengo. Resta l’interrogativo del leone rampante che non compare in nessun stemma dei precedenti proprietari; non in quello della nobile Giulietta Mompiani e tantomeno dei Galletti, proprietari fino alla fine dell’Ottocento, e dai quali i Mompiani l’avevano acquistata. Questi non erano nobili e non potevano essere i committenti del Palazzino. Bisogna risalire oltre, ma mancano del tutto documenti, pertanto non resta che concludere che il Palazzino, divenuto poi Lazzarino, sia stato edificato da signori veneti, il cui stemma era quello scolpito sulla chiave di volta del portale est. Questa ipotesi può essere supportata dal fatto che Brescia per lungo tempo fu sotto il dominio di Venezia. I nobili provenivano un po’ dappertutto e tutti ambivano costruirsi una villa in campagna. La Serenissima era poco precisa nel censire la sua gente, pertanto ricostruire con completezza quale era la situazione all’origine diventa arduo. Resta comunque il fatto che la cascina Lazzarino, magnificamente ristrutturata, è una delle più belle testimonianze del passato di S. Polo e merita tutta la nostra attenzione.
    Di seguito sono riportati due esempi di catasto del sito attorno alla cascina Lazzarino. Uno è del catasto napoleonico del 1810, generico e non rispettante distanze e dimensioni in scala; l’altro è del catasto asburgico del 1843, preciso, rispettante distanze e dimensioni in scala, suddiviso e numerato in lotti, indicanti addirittura la destinazione funzionale per ogni lotto.
    Dal catasto austriaco (asburgico) si può rilevare la destinazione funzionale dei lotti attorno alla cascina Lazzarino:

    n. 996 aratorio e vitato (coltivato a vite)

    n. 997 casa di villeggiatura

    n. 998 orto
    n. 999 prato vitato, adacquato, fruttato con moroni {gelsi] e così via.

    Tratto dal volume “dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.

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