Tag: Borgate di S. Polo

  • Edifici e Borgate di S. Polo

    Da completare con nuove fotografie.

    La vecchia Chiesa
    Situata sulla via Mantova era dedicata alla Conversione di San Paolo. Accanto la piccola canonica legata al grande “Palass del Mago”. A nord della Chiesa sorge casa Reboldi.

    Le Scuole
    All’incrocio tra via Mantova e via Fiorentini, un ampio edificio a corte era sede della scuola elementare e dell’asilo infantile. La scuola media unica ancora non esisteva. Due lati contenevano le aule scolastiche a piano terra e primo piano. Nel terzo lato servizi igienici e refettorio. L’abitazione del custode e la stanza dei bidelli esaurivano tutti gli spazi disponibili. Sul lato opposto della strada sorgeva la cascina Miglio (el “Mei”).

    Palass del Mago (vedi articolo dettagliato)

    Nome con il quale la popolazione identifica una costruzione risalente al 1500 e adibita ad abitazione. All’interno trovarono posto il cinema-teatro parrocchiale e la bottega di riparazioni di biciclette e tricicli di Pietro Bandera, meglio conosciuto col soprannome di “Stria” per il suo carattere burlonesco.

    Casa Bonetti
    Situata al centro di San Polo, ospitava un bar e la tabaccheria di Gianni Filippini meglio conosciuto come “Giani tabachì”.

    Accanto, la Pesa pubblica per carri, carretti e, più tardi, i Dodge (camion militari americani dismessi e adibiti al trasporto di ghiaia). La pesa pubblica era situata sotto un porticato che dava nel cortile del palazzo. Ora è chiuso ed è stato trasformato nella sala del bar Pesa.
    “La pesa mi ricorda un episodio divertente accadutomi. Provenivo in bicicletta dalle Bettole, dove ero stato a portare del materiale da lavoro a mio padre. In fondo al cavalcavia mi aspettavano due poliziotti in moto. Mi fermarono ed ispezionarono la bicicletta che, ovviamente, non era in regola: il fanalino posteriore non c’era, quello anteriore c’era, ma non funzionava, le pedivelle non erano a norma, un freno era rotto. Conclusione: 500 lire di multa ed a nulla valse l’osservazione che tanto era ancora chiaro . Non avendo né documenti, né soldi mi scortarono a casa, uno davanti ed uno dietro.
    Giunto davanti alla pesa mi fermai dicendo che abitavo li dentro e non appena scesero dalla moto, lasciandoli di stucco, partii in velocità nel cortile, uscendo nella via Arici e, senza mai voltarmi per il timore di vedermeli dietro, infilai la prima trasversale e scesi per uno scivolo di un garage, aspettando alcuni minuti prima di riprendere la via per casa. L’avevo scampata.” (Primo Gaffurini). Il palazzo fu costruito nel 1911.

    Nel Centro si trovavano casa Venturelli, un cascinale che ospitava l’officina di fabbro ferraio della stessa famiglia ed il Circolo Combattenti e Reduci; la casa del maniscalco Kinì Mainetti; la drogheria Falappi, la forneria, la casa Fogazzi, la trattoria di Bepi Averoldi ed il piccolo cascinale Lodrini-Codenotti.

    La cascina Bersini
    Con alle spalle la stalla dei Bortolotti. Di fronte alla cascina il grande giardino dei “musigni” e, all’incrocio tra via Ponte e via Mantova, l’osteria del Brentatore di “Trani” Marmaglio. Tra la cascina ed il palazzo dei Bersini c’era la Fabbrica Lampadari dei Sigg. Pellegrini. Luigi Pellegrini acquistò l’edificio nel 1961 dal nobile Cesare Luzzago di Brescia. L’interno dell’abitazione era composto da colonne in pietra bianca e volte a vela in cotto: erano le vecchie ed antichissime stalle, magnificamente restaurate e trasformate in abitazione da Mario Pellegrini, subentrato al padre Luigi. La fabbrica chiuse nel 2002 e l’edificio trasformato in nuove residenze.

    Palazzo Bersini: “la casa rosa” (vedi articolo dettagliato)

    La Draga
    Località così chiamata per l’esistenza della cava di sabbia Salvi, funzionante con una funicolare e carrelli ad immersione nel laghetto dal quale si estraeva sabbia “pulita”.

    Vicino alla cava le case Perghem, Lombardi, Beretti, Filippini, Marcon e del “Magiur” (un ex ufficiale dell’Esercito).

    Portale d ‘ingresso est di via Casotti

    Il Borgo
    Grosso agglomerato di case e cascine a sud di S. Polo, che ha sempre avuto una sua identità, spesso sfociante in campanilismo. Un tempo era chiamato “Borgo rosso” in quanto la maggior parte delle persone si dichiarava comunista o socialista. Al Borgo il sentimento di appartenenza era così vivo che è sorta un’associazione chiamata “I s-cècc del Borgo”, formata da persone rigorosamente originarie della zona. Qui erano situate la trattoria “Paletti” ed i suoi giochi di bocce coperti da secolari ippocastani; il cascinale Pagani­Bordiga-Consoli con il pozzo di acqua potabile e, vicino, il forno del pane di Emanuele, con annessa salumeria; il cascinale dei Bravo che periodicamente ospitava spettacoli di burattini (i giupì); la cascina dei “Zola” con una bella ortaglia ed un magnifico vigneto; la trattoria “Gatta” di Apostolo Alberti con annessi giochi di bocce; vicino alla “Gatta” le abitazioni delle famiglie Fra e Gussago, detto “el strasino” (straccivendolo);
    all’incrocio tra le vie Casotti­Ponte-Chioderolo nella casa di “Trani” furono ospitate per qualche tempo le scuole elementari. Il grande cascinale Pagani-Bordiga-Consoli fu proprietà dei Conti Calini e sul grande portale d’ingresso di via Casotti si può vedere, sotto la chiave di volta, la data 1611 e la scritta :
    “SOLI DEO HONORE E GLORIA” (Solo a Dio onore e gloria)
    a testimonianza dell’epoca di appartenenza dell’edificio. Era la casa di campagna con allegate abitazioni dei contadini che lavoravano le terre di proprietà dei signori, secondo uno schema sociale tipico del ‘600-‘800. L’edificio si estendeva in Via Ponte fino al cortile degli “Apostoli” ed era dotato di tre entrate: quello carraio in via Casotti a sud; uno all’inizio di via Casotti ed il terzo in via Ponte. L’interno era un unico grande cortile e vi si poteva accedere da via Casotti uscendo in via Ponte.

    Il Chioderolo

    La ruota del vecchio mulino del Chioderolo
    Situato alla confluenza dei torrenti Garza e Naviglio-Cerca. Torrenti che frequentemente straripavano mandando sott’acqua l’abitazione della famiglia Saetti, il bel brolo annesso e la trattoria Cavallino che la stessa gestiva. Le famiglie Bettinzoli, Rivetta, Bravo, Rezzola, Savoldi, Gerola, Ferrari, Bandera, Bertoletti, Vecchi, rappresentavano il nucleo storico della contrada.
    Ciò che caratterizza più di tutto il Chioderolo è la presenza del vecchio mulino ad acqua, con le grandi pale spinte da una cascatella ricavata dal Naviglio.
    Il mulino era gestito da tre famiglie di cugini Bandera: Angelo, Giacomo e Mario col fratello Luigi. Secondo don Angelo Cretti dall’analisi di mura, travi e strutture, l’edificio si può far risalire al ‘500.
    Il termine Chioderolo pare derivi dalla presenza nella località, anticamente, di un’officina in cui si producevano chiodi.

    La Colombera
    Un grande cascinale abitato dalle famiglie Massardi, Pasinetti, Zizioli e Bandera. Quest’ultima, proprietaria di un grande frutteto e vigneto. Di fronte, la casa Romanenghi, anche loro possidenti di vigneti, periodicamente inondati dagli straripamenti del torrente Garza, perché piantati nel terreno di una ex cava di sabbia, probabilmente la prima di San Polo, nella quale l’estrazione avveniva con piccone e pala, il classico “pic e badil”.

    Il Gerolotto
    Agglomerato comprendente le cascine Bacchetti, Gregorelli e Medeghini, dedite oltre che alla coltivazione dei campi, anche all’allevamento di bovini, spesso lasciati liberi di pascolare nei terreni circostanti. Le vicine famiglie Franzoni e Volpi erano dedite alle cave di ghiaia.

    La Fusera.

    Con il cascinale degli Zubani e la chiesetta dedicata ai SS. Pietro e Paolo, meta di molti pellegrinaggi durante i tridui, sempre ben vissuti dalla gente.

    Le Gerole (vedi articolo dettagliato)
    La frazione è parte del comune di Borgosatollo, ma appartenente alla parrocchia di San Polo. Località totalmente immersa nella campagna lavorata dalle famiglie Ballerini, Boldini, Medeghini e Sandrini residenti nelle rispettive cascine.

    La cascina Cadizzoni (Ca ‘ de Zoni)

    _Segue: antico portale d’ingresso con arco in pietra

    le Cadizzoni
    A metà via sorgeva la grande cascina Orizio con le sue attività agricole, mentre all’inizio della stessa strada vi era l’importante cascina Cavalieri, del conte Cavalieri.
    Fittavoli le famiglie Lorini e Lumini .
    Sulla parete est della stessa, che si affacciava sullo “stradone” (via Mantova), era collocata in bella vista una targa in pietra con la scritta:
    Malghesi di Collio qui non ne voglio”, fatta collocare dal proprietario dopo essere stato gabbato da un malghese valtrumplino che aveva fatto pascolare la propria mandria nei terreni Cavalieri senza rispettare i patti stipulati.
    Secondo la tradizione dell’epoca i valligiani in inverno, con la transumanza, scendevano in pianura per “mangiare il fieno”, cioè portavano le mucche nelle stalle della pianura ricche di fieno.
    Il patto fra malghese e fattore prevedeva che il pagamento awenisse quando il malghese avesse staccato le cavezze delle mucche dalla “traiss”, la tramoggia, al termine della stagione.

    Il furbo malghese di Collio al momento di partire sfilò la cavezza dal collo delle mucche e la lasciò legata alla tramoggia. Nulla poté fare contro di lui il fattore, ma a scanso di ulteriori gabbate fece apporre la targa_

    La Transumanza
    S. Polo fino agli anni cinquanta del Novecento, come già detto, era una realtà prettamente agricola e lo testimoniava la presenza delle numerose cascine situate anche nel centro e pertanto era partecipe diretta del fenomeno della transumanza. Esso avveniva in due momenti: il primo in autunno, quando le mandrie e le greggi scendevano dagli alpeggi, dove il pascolo era terminato, verso la pianura per svernare; il secondo momento consisteva nel fenomeno inverso, quando in primavera le mandrie venivano riportate dalla pianura agli alpeggi. In tali occasioni si vedevano mandrie di decine di mucche condotte dai mandriani attraversare città e paesi per recarsi nelle cascine della pianura, dove svernavano. Veniva allora stipulato un contratto fra il mandriano valligiano ed il proprietario della cascina per cui le mucche potevano pascolare nei campi ad erba per il tardo autunno ed in inverno le mucche venivano nutrite con ilo fieno delle cascine stesse. Il pagamento avveniva nel momento in cui la cavezza delle mucche veniva staccata dalla “traiss” (tramoggia) per il ritorno all’alpeggio. In tale contesto si pone l’episodio avvenuto nella cascina Cavalieri che portò alla famosa targa: “Malghesi di Collio qui non ne voglio” narrato sopra. Era un fenomeno vistoso : per intere giornate si assisteva al passaggio di mandrie scampanellanti, che percorrevano decine di chilometri per portarsi nelle cascine della bassa. Per i ragazzi era sempre una novità e destava meraviglia, in realtà era un fenomeno secolare. La transumanza è scomparsa con l’introduzione degli allevamenti intensivi e con l’aumento del traffico veicolare sulle strade, per cui le poche mandrie presenti negli alpeggi nel nostro tempo in autunno vengono portate nelle stalle di pianura con gli autocarri.

    Corte Manfredi e dintorni
    Nella zona nord e a ridosso della via Mantova oltre alla corte Manfredi esistevano le cascine “Rödä”, “Nssa”, “Scagnel”, “Bridina” e la casa cantoniera, abitata dallo storico “stradino” Gabrieli .
    I terreni adiacenti alle cascine erano lavorati dalle famiglie Frassine, Spagnoli e Spalenza. Un poco più a nord-est era stata abbandonata la cascina “Albrisà”, ora recuperata e sede della comunità CEBS.

    “El Mei”-Cà di Emilio
    Sorge subito dopo l’Acciaieria Alfa, era abitata da varie famiglie fra cui i Fusi, che lavoravano i terreni allegati alla cascina. Oggi versa in una stato di abbandono penoso.

    L’Americana (delle Suore Mariste)
    Proseguendo ancora verso nord si trova un’antica e prestigiosa casa padronale attorniata da uno stupendo parco di cedri del Libano ed altre specie di alberi secolari. Il nome deriva dalla proprietaria, la signora Cellina Botturi, che viveva in Argentina, e perciò americana, e periodicamente veniva con il marito a passare la bella stagione in Italia.
    Secondo quanto testimoniato dalla Signora Cellina, la villa fu vinta dal marito al gioco delle carte. Durante un viaggio di ritorno in America, il marito fu ucciso. La signora si stabilì definitivamente nella villa , che da lei prese il nome di “Villa Cellina Botturi”, meglio conosciuta come “Americana”. Alla fine degli anni cinquanta l’immobile fu ceduto alle Suore Mariste. La Villa ha origini ben più lontane. Fu casa padronale con allegati terreni coltivati risalente al XV secolo, infatti sul muro della facciata d’entrata si può notare il resto di un affresco con la data 1473 ed all’interno sotto il porticato uno stemma. Ad uno sguardo non attento la data sembrerebbe un 1273, ma non sarebbe coeva allo stile dell’edificio. Ad un più attento esame, fatto ingrandendo l’immagine, si può decifrare correttamente il 1473, data che giustifica lo stile del caseggiato, tipico dell’epoca. La scritta, sotto riportata, è di difficile decifrazione in quanto incompleta e rovinata da crepe o intonaco rifatto. Il graffito è una probabile dedica ad un reggente del re in Brescia o a memoria di un fatto legato al reggente nominato.
    Vicino all’Americana la vecchia trattoria “Da Pini”, meta degli amanti del ballo, e le cascine Masserdotti e Zanola. “Da Pinì” divenne poi Birreria 501.

    Partendo dall ‘alto:

    La Cascina Maggia
    A metà dell’ omonima via la grande cascina gestita dagli Scaroni con annessa una piccola chiesetta, e la cascina Salvalai . Poco più avanti, verso la Volta, vi erano “Le Squane”, ossia il deposito del rifiuti urbani della ditta Ceresetti e Rossi, appaltatrice della raccolta rifiuti e pulitura delle strade per conto del Comune di Brescia. Nel deposito avveniva poi la suddivisione e lo smista mento dei materiali, (la plastica ancora non era in uso). Le “squarie” (rifiuti) venivano utilizzate come concime per i campi ed erano oggetto di ulteriore cernita da parte della popolazione, che vi rovistava alla ricerca di materiale riciclabile.

    le Case
    Un borgo compatto, nel passato frazione del comune di Sant’Eufemia. Si caratterizzava per la presenza della chiesa di San Girolamo, la Casa di riposo Arici-Sega, la presenza di una comunità di Suore delle Poverelle che gestiva l’asilo infantile, oltre che dare assistenza agli ospiti della casa di riposo. Il complesso della Casa di riposo non è mai stato ristrutturato per vicende legate prima al fallimento delle ditte appaltatrici, poi per manifesta inidoneità dell’ edificio a rispondere ai requisiti richiesti dalle normative regionali e nazionali introdotte negli ultimi anni. L’amministrazione comunale ha deciso di mettere in vendita l’intero fabbricato e parte del parco e costruire ex novo una nuova RSA accanto a quella preesistente.
    Come tutti i borghi antichi racchiudeva anche alcune cascine: Caraffini, Faini, Sandrini. La casa di riposo Arici-Sega aveva sede in un palazzo di proprietà prima dei nobili Truzzi, poi della famiglia Arici. Vittorio Arici lasciò alla congrega della carità di S. Eufemia l’immobile a fini filantropici. Il lascito, unito a quello della famiglia Sega, permise la realizzazione della casa di riposo che porta il loro nome.

    Cascina Lazzarino (già Palazzino) (vedi articolo dettagliato)

    “Le notizie principali sono tratte dalla ricerca inedita di Romana Bertocchi e liberamente elaborate da P. Gaffurini.

    NOTE:

    (1) Giulio Schiannini e Carlo Simoni: “L’acqua ed il cotone. Ercole Lualdi ed i fratelli Schiannini nell’archivio di una famiglia cotoniera”
    (2) Ibidem.
    (3) Ibidem.
    (4) Giuseppe Zanardelli: “Sulla esposizione bresciana “, pag. 181.
    (5) Archivio Schiannini, lettera 13 aprile 1935-XIIl di Giulio Schiannini al Prefetto di Brescia.

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    Tratto dal volume “Dal ciancol alla playstation”, di Primo Gaffurini e Umberto Gerola (2012). Si ringrazia Primo Gaffurini che ne ha concessa la riproduzione.